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Chi aveva pronosticato un imminente crollo dell’impero americano dopo la ritirata dall’Afghanistan è stato presto smentito. A due anni da quegli accordi, la guerra in Ucraina e i fatti di Taiwan evidenziano tutta la vitalità e il vigore della strategia degli Stati Uniti.

A ben vedere gli accordi di Doha stessi, che sancirono la fine di venti anni di ostilità, furono una prova di forza. Tutti i cosiddetti alleati furono esclusi dall’incontro e dalle decisioni, senza che nessuno di essi se ne lamentasse. In Qatar furono invitati solo i talebani, quelli che Europa e Nato si erano impegnati a combattere con ingenti perdite in termini di vite umane e di denaro. L’ingloriosa pace fu tale, cioè ingloriosa, solo per la popolazione civile afghana, in particolare ne soffriranno i diritti delle donne, e per l’orgoglio occidentale, compensato con l’auto-elogio della “perfetta” evacuazione. In pratica noi europei riuscimmo a scappare con classe e tempestività appena fu dato l’ordine, lasciando sul terreno, oltre a un po’ di dignità, anche un bel po’ di armi e attrezzature per le future avventure talebane.

Gli americani avevano deciso avventurosamente di invadere, inspiegabilmente di rimanere per vent’anni e improvvisamente di rientrare, seguiti a ruota dagli eserciti europei e dagli altri paesi della coalizione. Beninteso nessuna obiezione, tutto rientra nell’ottica di come gira il mondo dal secondo dopoguerra, ma ciò che è interessante sono i dibattiti infiniti con tema il nulla cosmico, che ignorano puntualmente gli inizi e le inconfessabili cause per dedicarsi al colore delle tende delle finestre, un po’ come succede con la nuova guerra europea in Ucraina. Ma sarebbero permessi seri dibattiti che mettessero a nudo cause e pretesti?

Nuova guerra europea perché è la prima dalla fine dell’ultima grande guerra solo se cancelliamo dalla storia le vicende degli anni ’90 dei Balcani, dove la Nato intervenne in prima persona, bombardando e colpendo obiettivi militari e civili, persino l’Ambasciata cinese. Prima esperienza della Nato fuori dai confini dell’articolo 5 del Trattato Atlantico, inizio dell’era dell’interventismo globale a fianco della bandiera a stelle e strisce.

Ma il successo americano in questa ultima guerra è rappresentato prima di tutto dalla risposta europea. L’Europa appena tornata dall’Afghanistan con la coda tra le gambe, ignorata e bastonata da amici e nemici, che si è stretta intorno alle ragioni americane oltre ogni legittima aspettativa, più realista del re. Assicurando fedeltà alla strategia globale a stelle e strisce. Trasformando l’Ucraina in “una grande democrazia europea”, cosa che almeno fino al febbraio 2022 nessuno avrebbe nemmeno provato a immaginare. Poi tutto è cambiato, perché nulla cambiasse (artisti di casa nostra).

Gli Stati Uniti hanno due nemici. Uno potenziale, la Russia, e l’altro reale, la Cina. Con l’operazione Ucraina sono riusciti, senza rimetterci un solo uomo, a rendere inoffensivo uno di questi. Tra l’altro con il fortunoso aiuto di qualche calcolo sbagliato dello stesso Putin, che ha permesso di svelare al mondo qualche considerevole pecca in quell’esercito considerato secondo solo a quello americano. Almeno fino all’invasione.

La Russia si sta affossando dietro uno sforzo bellico e un isolamento internazionale da cui difficilmente si riprenderà e se mai ci riuscisse si ritroverà alle porte una Nato rinforzata, nuove basi militari a ridosso dei suoi confini e pochi dei vecchi legami/dipendenze tra le materie prime russe e l’economia europea e occidentale. Persino il Nord Stream 2, come aveva preannunciato il Presidente Biden, è stato distrutto, nonostante fosse un investimento anche tedesco. Legame tubolare senza intermediari Est-Ovest (Russia – Germania) attraverso il Mar Baltico che gli Usa non avevano mai visto con favore.

Quindi in Europa la strategia funziona, tutti intorno al Paese guida che da oltre settant’anni ci preserva e protegge facendoci vivere di economia e Pil in crescita.

Alla Cina ci ha pensato Nancy Pelosi l’ultimo agosto, con visita a sorpresa a Taiwan, a ricordare che anche da quelle parti c’è una sola grande potenza. Xi Jinping ha protestato con veemenza, comandato esercitazioni militari in grande stile, ha mostrato i muscoli, ma tant’è.

Taiwan non si tocca, l’accesso ai mari per la Cina rimane condizionato e anche lì si sono rafforzati i legami tra i sodali, Giappone in primis, che come la Germania promette di riarmarsi, ma intanto si stringe agli antichi protettori e promette fedeltà mentre il Pil continua a crescere. Gli Usa vincono ancora.

Gli Stati Uniti vincono su tutta la linea, solo qualche pazzia atomica potrebbe scalfirne la leadership e tutti speriamo di non vederla mai, anche perché probabilmente sarebbe l’ultima cosa che vedremmo. Vincono lasciandoci un po’ al freddo, ma vuoi mettere quello che stanno soffrendo altri sotto le bombe? E in fondo si tratta di sacrificare qualche pensionato al minimo o qualche precario, gli altri stringono la cinghia e vanno avanti. Meglio questo che cadere nel girone dei barbari, di quelli oltre frontiera. Chi vorrebbe mai morire cinese o sotto qualche terribile tirannia dopo essere cresciuto nel mondo del possibile per tutti, insieme a John Wayne e Tom Cruise?

E questo forse lo pensava anche Putin che fino agli inizi del nuovo millennio cercò di avvicinarsi all’Occidente. Ma gli abbiamo detto di no. Il problema non è che avesse qualcosa in meno rispetto ai paesi dell’Est che pur abbiamo accettato sia nella Nato che nella Ue, anzi. Il problema era quel qualcosa in più. Materie prime in abbondanza che se unite alle capacità industriali e tecnologiche europee potevano rappresentare un problema strategico per gli Usa.

Agli Usa serve che ognuno resti nel proprio recinto, in perpetua contrapposizione tra di loro in maniera che nessuno si rafforzi tanto da diventare un problema. Per il resto, rimangono a guardare. Le migliori guerre sono quelle combattute per te dagli altri. Vietnam e Afghanistan docet.

Ci sono due modi attraverso i quali le potenze creano legami indissolubili con i paesi satelliti. Lo facevano anche i grandi imperi del passato, i romani in particolare. Il primo attiene alla forza, è necessario essere il paese con una potenza militare superiore a tutti gli altri. Per questo gli americani spendono cifre enormi in armamenti, nel 2021 ben 801 miliardi di dollari. Contano su 11 portaerei che assicurano il dominio dei mari laddove i paesi che inseguono ne hanno mediamente una.

Per fare un confronto, il secondo paese che ha speso di più in armamenti nello stesso anno è la Cina con 293 miliardi, segue l’India con 76 e il Regno Unito con 68 miliardi di dollari, primo dei paesi europei.

Il secondo punto attiene alla dipendenza economica. Tutto il mondo, con rare eccezioni, dipende economicamente dagli Stati Uniti che provvedono a fornire benessere, dando protezione in modo che i paesi amici possano occuparsi molto di economia e poco di politica estera. La moneta globale che misura le transazioni è il dollaro, e tutti lo vogliono. Le transazioni avvengono attraverso circuiti di pagamento americani e di questo se n’è accorta la Russia che con l’embargo non ha potuto più ricevere o fare pagamenti risultando fuori da tutti i circuiti. Si è vista persino congelare le sue riserve all’estero, con conseguenze per il commercio internazionale ancora inesplorate e che per ora si preferisce ignorare.

Come si può ben apprezzare da questo grafico gli Stati Uniti hanno quello che noi chiameremmo “un enorme buco di bilancio” estero, oltre 800 miliardi di dollari di deficit delle partite correnti cumulato nel 2021, ovvero nel commercio con l’estero (differenza tra import ed export). In pratica comprano tutto ciò che il mondo vende, lo fanno creando quei dollari che sono sostenuti e resi credibili non dall’oro ma dagli investimenti in armamenti di cui sopra. Comprano merci distribuendo dipendenza. L’America offre sicurezza, stabilità e crescita economica comprando, con soldi che in realtà non ha ma che funzionano comunque, ogni sorta di beni a paesi che vuole tenere legati a sé. Nell’ordine da destra Cina, Giappone, Corea fino all’Italia e oltre. Eh già, anche la Cina ha crediti, quindi dipendenza, dagli Usa.

Lascia insomma l’economia agli altri (controllandola) e si cimenta in quello che conta veramente per rimanere il numero uno, la forza militare, il controllo, l’esercizio del potere. La strategia.

Gli Stati Uniti sono ancora, e lo rimarranno per molto tempo, la potenza egemone del mondo. Nessuno ad oggi ha abbastanza voglia (l’Europa unita, che non esiste) o potenza sufficiente (Cina e tantomeno la Russia) per toglierle il primato.

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Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info

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PAESE REALE

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