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Ci sono molti costi che Italia e italiani sono chiamati a sostenere per il conflitto iniziato il 24 febbraio tra Russia e Ucraina, strettamente legati al sostegno che il governo Draghi ha assicurato a quest’ultima seguendo l’esempio di quasi tutti gli altri paesi europei, oltre che le richieste statunitensi.

I costi sono sostanzialmente di tre tipi: quelli legati alle sanzioni, quelli per gli aiuti militari e per i profughi, quelli eventuali per l’ingresso nell’UE e per la ricostruzione dell’Ucraina.

Le sanzioni scatenate dal tentativo di isolamento della Russia hanno provocato una diminuzione nelle quantità di gas e petrolio importato e contemporaneamente un aumento dei prezzi. L’aumento dei prezzi delle materie prime ha fatto da volano per l’aumento di tutti i beni correlati a vario titolo, dalla benzina alla pompa, ai trasporti, ai generi alimentari fino alle vacanze. Questo aumento dei costi, si badi bene, da importazione, ha causato un aumento dell’inflazione come non si vedeva da decenni. Di conseguenza, a parità di salario siamo tutti più poveri.

Giusto per aprire una parentesi ma rimanendo in tema, l’inflazione sarà combattuta con l’aumento dei tassi da parte delle banche centrali, il che farà aumentare il costo del denaro e quindi dei nostri mutui. E’ stato calcolato che già il primo aumento dei tassi deciso il 21 luglio dalla BCE di 0,50 punti porterà su un mutuo già contratto a tasso variabile di 200.000 euro un aumento di 60 euro al mese. Aumenti che dovranno essere sopportati anche da coloro che accenderanno nuovi mutui a tasso fisso.

Federconsumatori ha calcolato che il costo aggiuntivo medio in campo energetico e alimentare sarà di 1.228 euro a famiglia. La Cgia di Mestre calcola invece che il calo del Pil per il 2022 sarà di circa 24 miliardi e questo si tradurrà in una perdita media per ciascuna famiglia italiana di 929 euro.

Di fatto ci sono aumenti nel costo della vita che possiamo calcolare anche senza l’aiuto delle associazioni di consumatori, visto la loro incidenza sulla nostra vita quotidiana. La benzina a luglio 2021 costava mediamente 1,650 euro contro i 2 euro di oggi, le bollette del gas sono quasi raddoppiate sia per famiglie che imprese, prenotare una vacanza costa tra il 15 e il 20% in più come costa notevolmente di più fare la spesa al supermercato.

Ci sono poi i costi affrontati, e che stiamo continuando ad affrontare e pianificare, per il sostegno ai profughi ucraini e per gli armamenti. Si intendono sia le spese per le armi che inviamo direttamente sul posto, sia le spese per il mantenimento dei nostri militari in prima linea ai confini del “nemico” russo.

Draghi aveva dichiarato ad aprile che l’Italia aveva speso per gli aiuti umanitari 610 milioni di euro, di cui 110 inviati direttamente a Kiev. Il sole24ore aggiornava il 10 maggio la cifra a 990 milioni di euro, siamo a luglio ed è facile presumere che abbiamo superato il miliardo. Per la cronaca, Il fatto quotidiano denunciava il 30 giugno che lo Stato non aveva ancora assolto i suoi doveri nei confronti dell’80% dei privati che avevano aderito all’appello e avevano accolto cittadini ucraini.

L’invio di armamenti viene invece effettuato attraverso il nuovo strumento European Peace Facility (EPF) al quale l’Italia partecipa seconda la sua quota UE, ovvero il 12,5%. Lo stanziamento iniziale per il finanziamento dell’operazione di sostegno bellico all’Ucraina era di un miliardo, ma dovrebbe arrivare a un miliardo e mezzo. Per l’Italia il contributo impegnato è di 125 milioni, che arriverebbe a 187,5 milioni di euro se verrà deliberata l’ulteriore tranche ipotizzata.

Con questo strumento si supportano anche altri paesi nei quali sono in corso conflitti. Nel corso del 2021 sono stati spesi quasi 259 milioni di euro per forniture militari e supporto militare di vario genere a Paesi africani (85 milioni alla Somalia, 44 milioni al Mozambico, 35 milioni al G5 Sahel, 24 milioni al Mali e 10 milioni a Camerun, Chad, Niger e Nigeria), alla Georgia (12,75 milioni), alla Bosnia (10 milioni), alla Moldova (7 milioni) e all’Ucraina (31 milioni in ospedali da campo, sminamento, logistica e cyber-difesa). L’Italia ha fatto la sua parte sempre per il 12,5%.

Nell’ambito delle spese militari per il “contenimento” della Russia rientrano anche altri 78 milioni di euro necessari per mantenere in Romania un massimo di 12 caccia militari (inizialmente erano 4, attualmente sono 8) e 260 uomini, in Lettonia più di 200 alpini della Brigata Taurinense con decine di carri armati ruotati Centauro e cingolati da neve nell’ambito della missione NATO ‘Baltic Guardian’. Ci sono poi da conteggiare circa 200 marinai sulla fregata Fremm ‘Carlo Margottini’ e sul cacciamine Viareggio necessarie alla missione della forza navale permanente della NATO, cui la Marina Militare attualmente partecipa per le operazioni di contrasto nel Mar Nero e nel Mediterraneo orientale.

Ai costi cui stiamo già partecipando attivamente si potrebbero aggiungere quelli di un eventuale ingresso dell’Ucraina nell’UE. Come si sa l’Italia, insieme a Germania e Francia, è uno dei Paesi che rimette all’Unione più di quanto riceve. E’ un contributore netto, come si dice. Questo è dovuto principalmente all’ingresso dei paesi dell’Est come Polonia, Ungheria e Romania e a cui si aggiungerà, eventualmente, l’Ucraina che già prima della guerra era uno dei paesi più poveri d’Europa e che quindi sarebbe ovviamente un nuovo percettore netto di contributi italiani via Unione Europea.

A questo si aggiungerebbero i costi della ricostruzione. Sono costi davvero ipotetici, ma si consideri che a Lugano, in Svizzera, è andata in scena la “conferenza per la ripresa dell’Ucraina” dove il presidente Zelensky ha presentato un piano decennale per la ricostruzione da 750 miliardi di euro. Certo le bombe cadono ancora, ed è difficile immaginare quanto possa essere realistico un piano del genere. Tuttavia già molti nostri politici si sono fatti avanti, dichiarando che ovviamente l’Italia sarà in prima linea nella ricostruzione.

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Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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