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Ferrara film corto festival

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Europa portaerei. Europa dei 17 muri, Europa gregaria degli Stati Uniti…
Alla ricerca del proprio spazio vitale

Nel trentennio che va dal 1915 al 1945 l’Europa si è retrocessa a continente di serie B a favore dell’America (del Nord) che è diventato Impero e si è sostituita nel compito di guidare il mondo. L’intervento nella seconda guerra mondiale è stato decisivo. Una volta messo piede, sbarcati, nei luoghi da cui erano partiti trecento anni prima hanno deciso di non andarsene più, iniziando una colonizzazione al contrario.

Finita la guerra l’Europa si trovò divisa a metà, da una parte gli americani e dall’altra i sovietici. Ognuno rimase sulle posizioni guadagnate per paura, o grazie, alla presenza dell’altro. Si costruì un muro che ancora oggi simboleggia l’idea della divisione del mondo tra buoni e cattivi, di idea contrapposta di come sia giusto immaginare la società e il futuro, di falsità ideologiche. Forse due modi simili nel fine, quello di controllare le masse e i destini delle genti.

Poi i sovietici si ritirarono, sparirono coperti dai loro errori, orrori, e mezza Europa si liberò ritrovandosi più povera e troppo diversa in tema di sviluppo economico e sociale per essere accettata dall’altra metà, cresciuta con il mito dell’America, della conquista del West e delle immense praterie dove correvano felici i bisonti (più o meno).

Ma mentre questo succedeva, e mentre nasceva la nuova Russia dalle ceneri di quello che era stato un grande impero che ne aveva assorbito e miscelato un altro, i cosiddetti paesi dell’Est, abbandonati a se stessi, senza un padrone, diventavano una grande prateria a loro volta da occupare.

Per qualche anno regnò l’incertezza, poi passo passo gli americani decisero di muoversi al di là dell’ex cortina di ferro, riuscendo a coprire tutti gli spazi ex sovietici, eccezion fatta per la Georgia e l’Ucraina. Effetti della ripresa della storia che Fukuyama aveva interrotto troppo precipitosamente nel 1991.

Dopo la seconda guerra mondiale i vincitori decisero di rimanere sui territori conquistati giustificando la scelta con la presenza dell’altro. Quando finalmente uno dei due collassò, perché l’altro non prese una decisione conseguente decidendo di smantellare l’apparato bellico post guerra mondiale? Non bastava l’amicizia dei trattati, la consolidata saldatura dei rapporti commerciali e l’identità oramai certa della cultura occidentale? Fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio, si saranno detti. E allora, ancora prima della guerra in Ucraina, a oltre settant’anni dagli sbarchi in Normandia e in Sicilia, l’Europa rimane costellata di basi americane e Nato.

La Nato nasce nel 1949 come strumento di difesa dall’Urss a cui si contrappose qualche anno dopo il Patto di Varsavia creato per gli stessi motivi a parti inverse. Dopo la dissoluzione dell’URSS diviene strumento di offesa, ovviamente per difendere la pace e la stabilità occidentale nel mondo. Cioè laddove l’Occidente ritiene che ci sia un pericolo per l’Occidente, può attaccare in quanto si sta difendendo in anticipo. Il comando militare della Nato è affidato a un generale americano e il suo vice è un generale britannico, questo dal 1949 non è mai cambiato e continua a segnare un confine tra vincitori e vinti.

Nel 2005 in Europa c’erano circa 100.000 soldati americani, numeri successivamente in calo per poi tornare a quei livelli a fine 2021. Tutti i paesi dell’ex blocco sovietico che erano già entrati a far parte della Nato, quindi inglobati nell’area occidentale, sono stati rinforzati da truppe d’Oltreoceano. Nuove basi sono spuntate nelle praterie liberate negli anni ‘90.

L’Europa assomiglia sempre più a una portaerei pronta a lanciare missili e aerei. Per quanto ancora l’opzione nucleare rimarrà un’opzione? Il vecchio continente pullula di soldati, armamenti e … muri.

Abbattuto il vecchio e anacronistico muro di Berlino, simbolo dell’esistenza di ideologie sconfitte dalla storia, oggi se ne sono costruiti tanti altri con il beneplacito della non ideologia europea.

Insieme al muro di Berlino c’erano i muri di Cipro e dell’Irlanda del Nord, dagli anni ’90 del passato secolo si sono costruiti una serie di muri allo scopo di difendere la civile Europa dai migranti, i ricchi dai poveri, il benessere dal malessere. A guardarli però sulla cartina assumono un significato ancora più sinistro, una riedizione del muro più famoso spostato molto più ad Est. Tutti giustificati dalla presenza dei migranti che cercano di raggiungere l’Europa utilizzando percorsi sempre più a Nord per evitare gli oramai noti muri balcanici. Quindi una linea che percorre da Nord a Sud i confini tra l’Europa e la Russia e i suoi (pochi) alleati.

La Norvegia, Lettonia ed Estonia hanno costruito muri ai confini con la Russia per più di 200 km. I Lituani hanno cominciato a costruire 550 km di muro ai confini con la Bielorussia anticipandone gli esiti con il filo spinato.

La Polonia, sempre per isolare Lukashenko che per destabilizzare l’Europa lasciava passare troppi migranti, ha ultimato nel 2022 un muro di 186 km, contemporaneamente ha accolto a braccia aperte milioni di profughi ucraini. Espressioni diverse di umanità.

In ultimo la Finlandia con il governo di Sanna Marin che ha ricevuto il via libera all’unanimità da tutti i partiti rappresentati del Parlamento alla proposta di costruzione di una recinzione di acciaio di 260 chilometri, che coprirà un quinto della lunghezza totale del confine con la Russia, che ricordiamo essere di 1.340 km.

Insomma, con un occhio ai migranti indesiderati e un altro allo scomodo vicino, l’Europa consta di 17 muri che un po’ difendono da ciò che ci sembra palesemente altro e diverso: Russia, Nord Africa e Asia. Un po’ dalle nostre paure antiche, quelle in cui non avevamo un protettore unico (la Grecia e la Bulgaria si difendono dai Turchi, la Macedonia dalla Grecia, paesi balcanici da altri paesi balcanici, la Gran Bretagna dalla Francia).

L’Europa di oggi è figlia di un grosso equivoco. I diritti umani, i diritti universali, la libertà individuale e tutte le belle cose di cui si è scritto e si scrive in continuazione e di cui si parla in eccesso è stato il prodotto della pax americana assicurata al prezzo dell’indipendenza. Abbiamo fatto finta di non vedere migliaia di soldati che mantenevano una pace armata, chiamata anche guerra fredda. Finto di credere in cambi di governo o di maggioranze parlamentari che nulla potevano cambiare mentre rispondevamo all’appello in tutte le missioni di pace che nulla avevano a che fare con le meravigliose idee di cui l’Europa si cingeva l’elmo.

Abbiamo vissuto di un benessere e di una pace in casa, che ci è piaciuta e di cui abbiamo goduto, ma nulla è gratis. Qualcosa bisognava pagare e magari ci è anche andata bene, visto che per secoli siamo stati in continua guerra fratricida, incapaci di trovare il bandolo della matassa. Abbiamo dovuto suicidarci e affidarci ad altri per rinascere, magari va bene così.

L’importante è capire chi siamo, i nostri limiti e fin dove possiamo spingerci.
Dovremmo capire che la guerra fredda è finita e con essa l’unica pace a cui siamo stati capaci di arrivare per non trasformarci in un nuovo campo di battaglia. È essenziale oggi crearci uno spazio di manovra, imparare a coltivare il nostro orticello nell’ambito dell’impero, provare a realizzare, cioè rendere reale, quanto scritto e detto negli ultimi settant’anni di torpore intellettivo.

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Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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