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Il bello dell’arte di strada, dei murales, è che ti colpiscono così: all’improvviso. Giri l’angolo e – inaspettati – ci sono loro. Scritte, colori, segni, là dove pensavi solo cemento e asfalto. Te li trovi sotto un cavalcavia mentre, tutto preso dal traffico, fatichi a girarti e a soffermarti; oppure si rivelano appiccicati lì, su un muretto di un condominio che stavi solo aggirando; sei in un quartiere popolare o periferico qualsiasi e su una parete – tacchete – ecco che ti folgorano, mentre andavi avanti a testa bassa. Allora ti fermi, osservi, rifletti. Questo, in effetti, fa la street art. Ti sorprende e – di sorpresa – ti fa pensare. Questo fa Blu, l’artista ormai famoso in tutto il mondo, che mantiene segreta la vera identità, ma che ormai fa parlare di sè festival internazionali e siti specializzati o meno, inclusa la libera enciclopedia online Wikipedia.

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Opera di Blu e Ericailcane a Bologna su un edificio di via Zanardi

Chi va in treno da Ferrara a Bologna, Blu deve averlo visto tante volte: è l’autore di quei murales con elefante e altre figure un po’ stravolte e furtive su un edificio fatiscente in via Zanardi, che ora – ahimè –  rischia di essere demolito. Era suo anche un grande graffito sul ponte di via Stalingrado, con la volta d’ingresso per le macchine trasformata in una gigantesca bocca che inghiottiva il traffico. Adesso quel pezzetto di città è stato rifatto, plasmato in un avveniristico complesso edilizio. Ma dentro, sotto al cavalcavia che ora sostiene edifici e uffici dell’Unipol, c’è ancora un colossale uomo sdraiato che si intravede nell’eterna oscurità del tunnel.

Altre opere di Blu sonoa Berlino, Lisbona, Londra, persino in Perù. Denunciano l’avidità del denaro che avvolge le bare lasciate dalle guerre, raccontano la mostruosità del consumismo che ci trasforma in contenitori di cibo e oggetti, ribaltano il ruolo di uomo consumatore di animali in feticcio consumato, ipotizzano la rivalsa delle biciclette sulle automobili.

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Murales di Blu in via Spina a Comacchio (foto di SERGIO FORTINI e SILVIA MAZZANTI)

Dove magari, invece, non ce lo si aspetta proprio è fuori da Ferrara. Vai verso il mare e svolti a Comacchio, piccola e fotografatissima capitale del Delta del Po. Certo, bisogna uscire dai soliti itinerari turistici. Lo hanno fatto due ferraresi, che quei luoghi se li sono andati a cercare e li hanno immortalati per il concorso indetto da Acer, l’azienda per le case popolari. Loro, Sergio Fortini e Silvia Mazzanti, Blu l’hanno scovato così. In via Spina. Grazie a queste foto, poi esposte in palazzo Municipale durante il festival Internazionale a Ferrara, ora possiamo ricordare che, a Comacchio, Blu ha realizzato alcune delle sue prime opere importanti. Gli anni erano quelli del 2005, 2006 e 2007. E a Comacchio, in settembre, veniva organizzato lo Spinafestival. Un festival dedicato proprio all’arte di strada, ai graffiti, ma anche a video, fotografie, installazioni.

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Murales di Lucy McLauchlan in via Spina a Comacchio (foto di SERGIO FORTINI e SILVIA MAZZANTI)

Ecco Blu è lì, splendido e incontaminato nel corpo umano sezionato a mostrare corpi e altri corpi come una matrioska anatomica, nella mano che si impadronisce di un pezzo di muro insieme alle piume trasformate in volti sul petto dell’uccello di un’altra artista come Lucy Mclauchlan. Bello. E bella anche l’idea di Acer di fare un concorso fotografico su luoghi così poco fotografati, di solito fuori dagli schemi artistici, lontani dai circuiti patinati, pittoreschi, turistici. E, lì, eccola, l’arte di strada. Vive qui; e qui è, per sorprenderci.

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, Mantova 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, Bologna 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici Università di Ferrara, Mimesis, Milano 2017). Ha curato la mostra “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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