LE NOSTRE RADICI La città nascosta dall’acqua: un giallo millenario in Pianura Padana
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L’emozione doveva essere tanta. Quei vasi e quelle anfore, venute inaspettatamente alla luce da un terreno destinato a fornire nutrimento, attendevano da millenni di poter raccontare una storia antica, anche agli operai che per primi se le ritrovarono fra le mani. E che volevano farle parlare.
Già nel Seicento un medico bolognese, Gian Francesco Bonaveri, aveva intuito qualcosa. Secondo le sue osservazioni, i rinvenimenti che si verificavano a Valle Trebba, vicino a Comacchio, dovevano nascondere i resti della città etrusca di Spina, immersi oramai in un ambiente paludoso e lagunare. Ma non era il solo. Dal secolo precedente, infatti, i ritrovamenti venivano attribuiti al periodo etrusco, e l’ipotesi che Spina andasse ricercata tenendo conto dei problemi idrogeologici e dei comportamenti fluttuanti di fiumi e coste era ormai assodata. Tanto che, a fine Ottocento, l’ingegnere Elia Lombardini individuò il “lido etrusco” in una linea di cordoni dunosi passanti anche per Valle Trebba. Un territorio a questo punto circoscritto, dunque, ma a mancare erano ancora prove sicure sulla localizzazione esatta della città, mentre sempre più evidente era la sua centralità nel passato adriatico. Sin dal Medioevo ci si interrogava su questa antica città. Dove si trovava? Perché sembrava scomparsa nel nulla? E se non fosse mai esistita? Eppure, a detta degli antichi greci e romani, sarebbe stata un notevole porto commerciale. Dal IV secolo a. C. al I d. C., le fonti paiono collocarla sempre più distante dalla costa: probabilmente era quest’ultima a essersi spostata, e non la città. A partire dall’Umanesimo, inoltre, furono effettuate diverse ricerche toponomastiche nella zona comacchiese, foriera di denominazioni che mettono in risalto l’abitudine di regolamentare i corsi d’acqua. Ma sarebbe spettata all’archeologia, quasi cento anni fa, la definitiva risoluzione del mistero. Era il 1919 quando, sotto la direzione dell’ingegnere Aldo Mattei, si diede inizio alle attività di bonifica di Valle Trebba, previste in due fasi: la bonifica idraulica e la canalizzazione interna. Solo in seguito si sarebbe proceduto con la bonifica agraria, obiettivo dell’operazione. Già un anno dopo, ecco che il terreno fu dato in concessione a chi versava in condizioni non agiate, e fu proprio da allora che vennero segnalati i primi rinvenimenti, seppur sporadici. Si trattava di “terrecotte e bronzi di magnifica fattura greca”, provenienti da numerose tombe, ma la prima segnalazione ufficiale fu quella del 1922 a opera di Mattei: un operaio di Comacchio aveva casualmente ritrovato un sepolcreto etrusco, con vasi istoriati e frammenti di ceramica. Immediato fu l’avvio di ricerche più sistematiche, grazie alle quali tornarono alla luce migliaia di tombe, con tutte le loro meravigliose ricchezze. Ma ancora una volta nuovi ostacoli si frapponevano tra la curiosità e la scoperta. La prima fase degli scavi, infatti, non fu agevole. Gli archeologi dovettero dimenarsi tra limitazioni imposte dall’agricoltura e la necessità di documentare e preservare le preziose testimonianze. In più, con la seconda fase dei lavori le indagini diventarono più intense e sistematiche, sotto la direzione del nuovo soprintendente Salvatore Aurigemma, ma il continuo affioramento di acque e i frequenti smottamenti del terreno corredavano di imprevisti le varie operazioni, finché non vennero con fatica scavati, a mano, pozzi artificiali e canali di scolo, dove l’acqua era incanalata con pale di legno. Addirittura non era insolito dover letteralmente pescare gli oggetti infilando le mani nel fango. Finalmente nel 1926 ci si dotò di una pompa a motore e negli anni seguenti furono costruiti gli edifici per gli agricoltori, per concludere il tutto nel 1935, con la lungimirante iniziativa che permise la fondazione del Museo Archeologico di Ferrara, che oggi come allora custodisce, studia e valorizza con attenzione il ricco tesoro.
Quella rinvenuta era la necropoli settentrionale, ma le successive campagne fecero riemergere anche l’area meridionale, con la bonifica di Valle Pega tra il 1953 e il 1956, e l’abitato, nella Valle del Mezzano, tra il 1957 e il 1964. Gli studi, però, non si sono mai fermati, perché la scoperta della città di Spina era solo il primo tassello di una storia ancora tutta da scrivere.
Museo Archeologico Nazionale di Ferrara
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Ivan Fiorillo
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