Sono sogni, sì, ma piuttosto terreni quelli di ‘Carlo Bononi – L’ultimo sognatore dell’officina ferrarese’. E il corpo maschile è quello più concretamente sognato, scrutato, mostrato. Nella nuova rassegna espositiva monografica in corso a Palazzo dei Diamanti di Ferrara è su questo che quasi sempre puntano, letteralmente, i riflettori che illuminano le scene dentro ai dipinti del pittore seicentesco. Sulle tele ci sono la prestanza fisica – in gran parte di santi o personaggi legati all’iconografia religiosa – e poi la luce che illumina i soggetti. Sono questi i protagonisti dei grandi quadri, in un insieme che rende questi personaggi scenografici e teatrali con uno stile che è stato definito caravaggesco ma che ha appunto, sopra ogni altra cosa, un grande senso della scena, come se adorazioni e martìri avvenissero su un palcoscenico, messi in atto per gli spettatori, più recitati che subiti.
Esemplare in questo senso la rappresentazione di ‘San Sebastiano’ – un’icona della bellezza virile che attraversa i secoli e i generi – dove il protagonista se ne sta lì in posa da modello, il viso composto e appena accigliato, il petto bianco-roseo in bella mostra senza un graffio, solo qualche freccetta periferica, la luce tutta su addominali e torace scolpiti, sulle gambe toniche. La stessa curatrice Francesca Cappelletti nella giornata di presentazione ha avuto modo di sottolineare la particolarità di questo “San Sebastiano con un corpo atletico, tornito, dove le frecce sono allontanate dal torace per mostrarlo in tutta la sua prestanza, quasi una esemplificazione di come non bisognerebbe rappresentare i santi, perché all’epoca c’era stato un ampio dibattito su questo tema”.
In alto, sulle nubi, ci sono le donne con gli occhi rivolti a lui, come segnali che fanno rimbalzare lì ancora una volta lo sguardo dell’osservatore. Sulla stessa linea è la ‘Pietà’ con il Cristo accasciato ai piedi della croce nella sala d’ingresso di palazzo dei Diamanti, un “corpo spettacolare che – fa notare sempre la Cappelletti – viene spinto in avanti verso l’osservatore, mentre la Vergine piangente nella parte destra del quadro non fa che rimandare verso di lui l’attenzione di chi guarda, indicando col gesto delle mani il figlio che è lì a terra”. Questo, secondo la docente di arte diventata famosa per i suoi studi su Caravaggio, “ci fa parlare di naturalismo, che vuol dire pittura che prende a modello il vero, e di linguaggio proto-barocco”. Il colorito di Cristo è sì terreo, ma la prestanza è totale, il bel viso esangue, la luce che mette in rilievo la muscolatura sulle braccia, sul petto, sulle gambe. Anche il dolore si fa materico e concreto con le lacrime che scorrono liquide e luccicanti sul viso della Madonna.
A sottolineare l’attenzione costante per questi particolari anche i commenti con cui all’inaugurazione mi accompagna il critico d’arte Lucio Scardino, che davanti alla ‘Vergine in trono con i santi Maurelio e Giorgio’, arrivata da Vienna con dentro il modellino della città di Ferrara, mi fa notare la tunica di San Giorgio che si apre a mostrare un pezzetto di ginocchio e di coscia della gamba del santo-guerriero, plasticamente appoggiata sul drago accucciato a terra. Persino malizioso – secondo Scardino – il quadro orizzontale della ‘Sibilla’ prestato dalla Fondazione Sgarbi-Cavallini, dove si vede un giovane di spalle con il corpo appena coperto da una fascia sulle natiche.
Troneggia sulla tela alta quasi due metri e mezzo l’angelo custode che compare su manifesti e locandine e a osservarlo ammirato c’è Luca Zarattini, giovane artista ferrarese, che quel quadro ha studiato a lungo. “E’ una grande emozione per me – dice Zarattini – vedere in una mostra tutti i quadri che amo fin da adolescente e che per mesi ho osservato nei minimi dettagli sulle riproduzioni a stampa del catalogo di Andrea Emiliani o nella semioscurità della chiesa (Santa Maria in Vado a Ferrara e Chiesa del Rosario a Comacchio, ndr)”.
Anche gli interventi in catalogo non mancano di rilevare la particolarità concreta, carnale e realistica che contraddistingue il pittore ferrarese seicentesco. Daniele Benati, docente di Storia dell’arte all’Università di Bologna, rievoca il suo primo approccio con la pittura di Bononi attraverso i volumi presenti nella libreria del padre, “che mi piaceva molto sfogliare, quando da ragazzo oziavo nella sua biblioteca”. E spiega che “La monografia su Bononi scritta da Andrea Emiliani nel 1962 era appunto fra questi. Il libro aveva un certo numero di immagini a colori e, tra queste, trovavo particolarmente accattivante il dettaglio della sposa e delle altre ragazze di buona famiglia che, sedute al lungo tavolo delle ‘Nozze di Cana’ della Pinacoteca di Ferrara, guardano distrattamente lo spettatore piluccando delle olive, che portano alla bocca con lunghi stecchini. (…) Ma il bello veniva alla successiva immagine in bianco e nero, col particolare di un cameriere che, col suo cappello piumato e il vassoio sotto il braccio, scende la scala dimenandosi in modo un po’ sguaiato, come una figurina da commedia dell’arte che in quel contesto mi sorprendeva. Non mi sembrava che l’atteggiamento rilassato dei commensali, tipico della fine di un pranzo fin troppo abbondante, postulasse la necessità di un miracolo, che di fatto nessuno pare attendere. Anche altre immagini riprodotte in quel libro mi sembravano poi altrettanto seducenti: quelle sante così garbate, quelle Madonne prive di sussiego, quei santoni”.
Il curatore Giovanni Sassu, sempre in catalogo, fa notare come Bononi non fosse sconosciuto, ma piuttosto non uscisse benissimo dalle note in catalogo negli anni Venti. “Era evidente – scrive – la sostanziale incomprensione di una scuola, quella emiliana, ancora da riscoprire, all’interno della quale le scelte espressive compiute da Carlo, tutte votate a un’interpretazione affettiva del reale e sovente all’esaltazione adamitica del corpo maschile, dovettero parere eccessive e prive dell’eleganza innata della sponda classicista della pittura bolognese”. Sala dopo sala, poi, Sassu ha messo in evidenza nella mostra ferrarese la capacità dell’artista di assorbire e riportare il meglio delle scoperte che in quegli anni emergono nei colleghi pittori che lo circondano, Ludovico Carracci fra tutti, ma anche Guido Reni, Guercino.
Carlo Bononi da scoprire in giro per Ferrara.
Oltre alla mostra monografica a Palazzo dei Diamanti con le tele e le pale illuminate in maniera scenografica e così godibile alle pareti delle sale buie, c’è la ‘Ferrara di Bononi’[clicca sul titolo per vedere mappa e scheda dei luoghi]: sue opere da scoprire in Pinacoteca (primo piano dello stesso palazzo dei Diamanti in corso Ercole I d’Este 21 ) e in alcune chiese cittadine, dove però l’accesso non sempre è possibile. Tra le chiese sopra tutte è Santa Maria in Vado (via Borgovado 3, nel centro medievale di Ferrara), con il tondo vivacemente restaurato ben fruibile all’ingresso, mentre altri dipinti di grande impatto – come la spettacolare ‘Trinità adorata dai beati’ – non sono sempre altrettanto facili da apprezzare per la scarsa illuminazione o la collocazione sui soffitti altissimi o su pareti distaccate dal visitatore.
Proprio alle opere di Bononi, poi, a Ferrara hanno dedicato una produzione speciale due artisti di oggi. Il pittore Luca Zarattini – 33enne originario di Codigoro – alla Galleria Mediolanum espone 18 lavori che riprendono le figure di questo pittore calandole nel suo stile corroso e contemporaneo, in un ‘Omaggio al pittore Carlo Bononi’ in mostra in via Saraceno 16, a Ferrara fino al 31 dicembre 2017 (da lunedì al venerdì ore 9-13 e 15-19).
L’artista-fotografa 30enne romana Anna Di Prospero con ‘Cuore Liquefatto’ alla home-gallery MLB di Maria Livia Brunelli ha invece realizzato una serie di fotografie ispirate ad ‘Affinità empatiche con Carlo Bononi’ per la mostra in corso Ercole d’Este 3, a Ferrara fino al 7 gennaio 2018 (aperto il sabato e la domenica ore 15-19 e gli altri giorni su appuntamento, cell. 346 7953757).
‘Carlo Bononi – L’ultimo sognatore dell’Officina ferrarese’ è in mostra a Palazzo dei Diamanti, corso Ercole I d’Este 21 a Ferrara. Visitabile dal 14 ottobre 2017 al 7 gennaio 2018 tutti i giorni ore 9-19.
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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
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