Sono le prime parole con cui Nathan – il padre dei tre bambini strappati a lui e a sua moglie – commenta il provvedimento in un’intervista di Daniele Cristofani pubblicata oggi sul quotidiano Il Centro (L’intervista integrale è stata trasmessa ieri sera, in due puntate speciali di Zoom, storie del nostro tempo, alle 18.50 e alle 23.15, sull’emittente televisiva Rete8).
L’ordinanza cautelare del Tribunale dei Minori de L’Aquila non si è fondata sul pericolo di lesione del diritto dei minori all’istruzione – in quanto giustamente i bambini seguivano il metodo unschooling – ma sul pericolo di “lesione del diritto alla vita di relazione” – previsto dall’articolo 2 della Costituzione – “produttiva di gravi conseguenze psichiche ed educative a carico del minore”.
Secondo il tribunale “la deprivazione del confronto fra pari in età da scuola elementare può avere effetti significativi sullo sviluppo del bambino, che si manifestano sia in ambito scolastico che non scolastico”.
Fra le folli motivazioni “sentenziate” dal tribunale dei minori de L’Aquila, si legge anche che sarebbe necessario allontanare i minori dall’abitazione familiare, “in considerazione del pericolo per l’integrità fisica derivante dalla condizione abitativa, nonché dal rifiuto da parte dei genitori di consentire le verifiche e i trattamenti sanitari obbligatori per legge”.
Inoltre, “l’assenza di agibilità e pertanto di sicurezza statica, anche sotto il profilo del rischio sismico e della prevenzione di incendi, degli impianti elettrico, idrico e termico e delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità dell’abitazione, comporta la presunzione ex lege dell’esistenza del periodo di pregiudizio per l’integrità e l’incolumità fisica dei minori”.
Quindi il tribunale ha disposto la sospensione della potestà genitoriale a padre e madre che con tre figli minori, fra i 6 e gli 8 anni, oltre che l’allontanamento dei bambini dalla dimora familiare e il loro collocamento in una casa famiglia e nominato un tutore provvisorio dei minori, l’avvocata Maria Luisa Palladino.
Il tribunale parla di “lesione del diritto alla vita di relazione”, senza nemmeno accorgersi che il diritto alla vita di relazione nelle nostre società industrializzate e opulente viene violato ogni giorno, perchè abbiamo dimenticato come vivere. Il diritto alla relazione viene violato in nome della crescita economica, della competizione, dell’efficientismo e dell’utilitarismo, dell’incomprensione e l’incapacità di dialogare sul posto di lavoro: tutti pronti a correre pregando di arrivare prima degli altri per qualche salto di carriera, per qualche soldo in più che sia esso per profitto o per sopravvivenza, ma non sicuramente per vivere in pace.
Il diritto alla relazione è violato dalla virtualizzazione delle relazioni, dall’espropriazione delle relazioni umani, dagli smartphone dati in mano ai bambini di 3 anni, dal diffondersi dell’apatia, dal non distinguere il valore delle proprie azioni e dal non capire il senso del limite.
Per non parlare dell’individualismo epidemico, dell’atomizzazione indotta dal consumismo, della diffusione capillare di un linguaggio sempre più violento e che induce alla violenza, dai crescenti fenomeni di bullismo e autolesionismo nei giovanissimi, dalla crescita esorbitante dell’abuso di psicofarmaci nei bambini e negli adolescenti; dal dilagare di uomini che uccidono le donne per possesso o senso di proprietà e dal dilagare di giovani ragazzi adolescenti che molestano o stuprano le loro coetanee.
Questo è quello che vivono costantemente i nostri giovani in un brutale circolo vizioso, perchè non si dà il giusto valore alle cose e si finisce nella disumanizzazione: le persone cessano di essere considerate un fine e diventano un mezzo.
Il tribunale si dimentica che tutte queste situazioni provengono da persone che vivono la nostra società e da essa continuano a imparare l’incapacità di relazionarsi.
Quindi, nella nostra società, il problema è pedagogico e culturale. Ma al posto di vederlo e di mettere a fuoco il lassismo pedagogico e il vuoto educativo che si sta generando in questa “modernità liquida”, come direbbe Zigmunt Bauman, si punta il dito contro chi sta fornendo a tutti noi un esempio drastico, estremo ma alternativo di educazione e di vita.
Siamo davvero sicuri che i figli di Nathan e Catherine abbiano problemi di relazione? Siamo davvero sicuri che il loro diritto a relazionarsi sia stato leso? Bisogna vedere che tipo di relazione si intende. Sicuramente il tribunale ha interiorizzato, da tradizione e cultura giuridico-istituzionale liberale, una prospettiva antropocentrica di relazione per la quale relazionarsi vuol dire che gli umani si relazionano con gli umani. Si potrebbe adottare un prospettiva eco-centrica più ampia, affermando che relazionarsi significa relazionarsi al mondo, non inteso – come direbbe Ulrich Beck – “al sistema-mondo”, inteso come “alle cose della Natura”.
Una domanda sorge spontanea: i nostri figli si sanno relazionare come i figli di Nathan e Catherine si relazionano alla Natura, alle piante, agli animali, ai sassi, all’acqua, ai torrenti, al suolo e ai lombrichi?
La risposta è drammaticamente negativa, nonostante il Tribunale de L’Aquila si preoccupi dei “rischi igienici” a cui andrebbero incontro i figli di Nathan e Catherine in un stile di vita rurale. Il tutto mentre i figli della nostra società sono schizzinosi nei confronti di tutto ciò che è naturale, inseguiti da genitori ancora più schizzinosi di loro che vorrebbero una Natura sterile – priva di microbi, batteri e virus – per non farli ammalare. Eppure sono gli stessi genitori schizzinosi pronti ad accompagnare i loro figli a mangiare da BurgerKing, McDonald, RoadHouse e altre catene di junk food.
Questo è il risultato di una società che ha perso la cultura dell’igiene naturale per lasciar spazio all’igienismo. Conclusione: generazioni di giovani illusoriamente felici, malnutriti e medicalizzati, che non sopravvivrebbero nemmeno venti minuti ad un blackout mondiale.
Mi risulta che queste situazioni non siano nemmeno concepibili dai figli di Nathan e Catherine, i quali invece saprebbero benissimo cosa fare nel bel mezzo di un blackout totale e non avrebbero problemi ad intrattenersi con i propri animali o fare un bagno nel torrente.
La risposta è ancora più cruda: i nostri figli non solo non sanno relazionarsi alle cose della Natura, ma non sanno nemmeno relazionarsi al “sistema mondo” che invece vivono. Spesso, i nostri figli, vivono vite per procura di fronte ai dispositivi tecnologici e digitali (ma anche tv) a guardare serie tv, videogiochi, film stupidi, fiction americane e reality. Il fenomeno sempre più diffuso degli hikikomori non è fantascienza, ma un trend in aumento nella nostra società.
Anche per quanto riguarda la sessualità, la mancanza di relazioni nella nostra società è un problema non indifferente. Come afferma il grande psicanalista Luigi Zoja, la presunta “sessualità disinibita” nei giovani di oggi è pura apparenza, segnata invece da una crisi del desiderio che teme corpo, emozioni e sentimenti.
La psicanalista Laura Pigozzi, riflettendo sulla deriva dell’erotismo tra i giovani, ha parlato di iposessualità nei giovani: c’è grande disponibilità di erotismo e di corpi offerta dalla Rete (OnlyFan), ma ciò non fa crescere il desiderio nella realtà. I ragazzi diffidano sempre più delle relazioni sentimentali e fisiche perché sono stati educati ad avere paura del mondo esterno, del diverso, sono iperprotetti; questo ha reso la sessualità meno reale. Il sesso viene percepito sempre più come una performance, da maschi e femmine, che genera ansia. I giovani che si chiudono nelle loro stanze rifiutando ogni contatto sociale. È un approccio rarefatto al desiderio in cui ci si espone sempre meno all’altro: al suo corpo e al rischio delle emozioni.
Oggi stiamo crescendo una società di bambini etichettati fin dalla nascita, dove la diversità o è vista come un problema, o come un disagio, o come vittimismo o come autocompiacimento e mai come valore intramontabile. Un società malata che imbottisce i propri figli di psicofarmaci, che dà a loro smartphone senza i giusti strumenti, che investe nelle “competenze” e sempre meno sulla conoscenza, sull’esercitare il pensiero e il senso critico.
Mi risulta che tutti questi problemi di relazione siano presenti – nella nostra società odierna – tra soggetti che in questa società sono nati e cresciuti senza conoscere alcuna “estraniazione rurale”.
In questo contesto, bisognerebbe capire se la relazione deve essere intesa come “obbligo” (come sembra intenderlo il Tribunale) o come “diritto” (come dovrebbe essere) e, nel caso fosse considerato un “diritto”, dovremmo essere in grado – come società – di garantirlo, e di una certa qualità. Cosa che non mi pare siamo in grado di fare. Qual è dunque la logica che ci spinge a voler insegnare agli altri come fare relazione e a relazionarsi, se siamo noi i primi a non riuscire a concepire un futuro nelle nostre relazioni?
Alla nostra società manca una cultura che sia in grado di educare alle relazioni, mentre invece è molto brava a spiattellare sui media mainstream nazionali il caso di una famiglia che non vuole saperne nulla di questa modernità futile, effimera e anti-educativa.
Questa famiglia è stata presa mediaticamente come capro espiatorio affinchè l’opinione pubblica la brutalizzasse, si indignasse di loro e puntasse il dito. Anche se questo era l’intento, fortunatamente non è avvenuto. Per evitare di analizzare come il potere disciplinare (citando Foucault), l’istruzione – quella riduzionista occidentale – e le sue istituzioni – ovvero la società e la cultura di mercato – stiano oggi massacrando le relazioni, si addita chi nella propria semplicità si dedica alla creazione autentica di relazioni. Perchè questo è il fulcro del discorso.
Qual è la colpa di questa coppia di genitori anglo-australiani che hanno deciso di vivere in semplicità nei boschi abruzzesi? Educare liberamente i loro figli in mezzo alla Natura e al contatto con essa, con un maestro privato; vivere secondo un stile di vita ecologico e naturalistico in una bellissima casetta in mezzo al bosco a Palmoli, in provincia di Chieti; vivere secondo il ritmo lento della Natura, trascorrendo una vita serena e tranquilla lontano dal caos, dal rumore e dalla frenesia della società industrializzata; autosostenersi totalmente con pannelli solari, pozzo di acqua privato, legna a volontà, tanti animali e tanto amore.
I media hanno parlato della famiglia di Nathan e Catherine come di una “famiglia neorurale”, come se il ruralismo fosse qualcosa di vecchio e antico da ripudiare. In realtà il ruralismo è vivere l’essenza della vita, lontano dalle mode, dai consumi, dall’effimero, dai veleni dell’esistenza come l’avidità, la stupidità e la collera… che immancabilmente generano sofferenza a lungo tempo.
Questa famiglia – secondo il Tribunale e una fetta dell’opinione pubblica – dovrebbe forse fare come tutte le altre famiglie medie italiane: insegnare ai propri figli a guardare Uomini e Donne, Temptation Island, L’Isola dei Famosi, il Grande Fratello; a guardare cartoni animati stupidi e diseducativi o addirittura a piazzarli davanti a videogame volti allo sviluppo estremo di adrenalina e serotonina.
Si chiama schizofrenia ontologica: mentre il vuoto educativo e la rarefazioni delle relazioni imperversano nella società di oggi, inaugurando un’epidemia di apatia, le istituzioni di questa stessa società reprimono modelli alternativi proprio di educazione, di pedagogia, di società ecologica e di crescita umana.
La schizofrenia ontologica è arrivata a livelli tali che una famiglia che vive in una casa in un bosco è percepita come un pericolo, forse perché può essere un modello da seguire… E questo fa ancora più paura al potere.
Nell’epoca in cui si esaltano sviluppo e progresso, chi prova ad allontanarsene deve essere punito. Come osi non sottometterti alle bollette? Come osi privarti della tv, dell’auto a rate, dello smog incensante? Come puoi impedire ai tuoi figli di far scoprire il tossico mondo dei social media? Come puoi non ambire nel vedere i tuoi figli che girano video su TikTok? Come osi non sottometterti alla dittatura dell’algoritmo? Come osi cercare uno stile di vita che abbandona il materialismo della società capitalista e consumista per dedicarti ad un risveglio politico, etico e spirituale?
Come osi non allacciarti alla corrente, usufruendo di un panello solare costruito artigianalmente? Come osi non allacciarti all’acquedotto, preferendo usare l’acqua di fonte gratuita dal pozzo sul proprio terreno? Come osi non allacciarti al gas in questo periodo storico dove, con la guerra in Ucraina, abbiamo fatto di tutto per boicottare il North Stream russo per rimpinguare le casse USA con il gas liquido? Come osa questa gente usare la loro legna come negli ultimi 170.000 anni di storia?
Questi sono gli interrogativi che si pone il necropotere della società del controllo.
Chi sceglie l’autodeterminazione, la libertà educativa, le relazioni di cura autentiche ed evita di crescere i propri figli come lo fa la massa, ovvero a suon di cellulari, antidepressivi, influencer, centri commerciali, omologazione e conformismo, rappresenta da un lato una vera minaccia per il quieto vivere del gregge al macello, ma dall’altro rappresenta un esempio concreto di come si possa portare bellezza nella propria vita fuori dagli schemi effimeri della società consumista ed industriale di massa.
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Articolo pubblicato su Pressenza il 22.11.2025
Cover: https://pixabay.com/it/photos/log-cabin-villetta-casa-finlandia-1886620/
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