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Il termine vacanza allude ad uno spazio vuoto. Si dice vacanza anche per parlare di un ruolo o di una carica che nessuno ricopre. La vacanza evoca l’idea di libertà, di uno spazio da godere proprio perché libero. Il concetto moderno di vacanza nasce come risposta all’industrializzazione ed alla conseguente forte urbanizzazione. Il primo stabilimento balneare nasce nel 1822 a Dieppe, in Francia. Poche persone fino alla metà dell’Ottocento potevano permettersi di andare in vacanza, solo la borghesia più danarosa poteva mutuare dai ceti aristocratici l’idea di trascorrere in villa (in genere alle porte delle città) una parte del periodo estivo, sfuggendo alla calura dei centri urbani.
Negli anni Trenta del Novecento vengono inventate le ferie retribuite, riconosciute nei contratti di lavoro. La vacanza, da tempo dell’ozio, appannaggio solo dei ricchi, diventa un diritto stabilito dalla legge. Il boom degli anni sessanta e la diffusione dell’automobile, spinge agli esodi di massa, creando i primi giganteschi ingorghi della storia delle vacanze. Le scuole si adeguano a queste esigenze, prevedendo un periodo di vacanza nel proprio calendario e si afferma l’idea di un sosta dalla vita degli affari. Non più solo campagna: grazie soprattutto allo sviluppo delle ferrovie e poi dell’automobile, il mare comincia a entrare nei sogni di molti.
Oggi molte cose sono cambiate rispetto ai ritmi della società di massa e al clima di fiduciosa attesa che accompagnava il tempo del boom. Ritmi temporali diversi, sanciti dalla globalizzazione e consentiti dalle tecnologie erodono l’idea di vacanza come sosta collettiva e comunque la accorciano.
Ma, se diciamo vacanze, continuiamo a pensare a giorni vuoti dal lavoro, dallo studio, dai vari impegni quotidiani, giorni in cui i ritmi possono rallentare, in cui possiamo dormire di più, fare quello che ci pare. La vacanza è anche mancanza di ancoraggi, per questo il primo giorno di vacanza è spesso un po’ nervoso, per questo lo riempiamo di libri, quasi a volere sancire il nostro diritto alla distanza, il diritto ad uno spazio in cui possiamo permetterci il silenzio.
La vacanza riguarda oggi un periodo più circoscritto, per lo più caricato di attese straordinarie. Al ritorno ci preoccupiamo di confermare a noi stessi e agli altri che si è trattato di un periodo felice, esponendo i trofei fotografici, i nostri scatti migliori: tramonti, paesaggi, piedi sul bagnasciuga, serate di festa. I like ricevuti su Facebook ci compenseranno delle code in autostrada, degli inevitabili battibecchi scaturiti da un’inusuale vicinanza, delle eventuali mancanze di servizio, dei piccoli incidenti con le meduse, dei vicini di ombrellone chiassosi.
Il culto delle vacanze nasce con la società di massa che consente maggiori disponibilità economiche, apre culturalmente il diritto a lasciare i ritmi abituali per abitare temporaneamente altri luoghi. Nel tempo, quando la fatica fisica cessa di essere la dimensione prevalente del lavoro, le vacanze rappresentano soprattutto la possibilità di delocalizzarsi, mentalmente e fisicamente, dalla routine. Ben lungi dall’essere solo ozio, si caricano di bisogni di esplorazione, di esperienze, talvolta di raccoglimento o di attività fisica.
Quando la mancanza di lavoro non è forzata, un giorno vuoto da lavoro è un giorno da riempire con un’attività straordinaria e gratificante. Le vacanze sono sacre. Ci si dedica interamente al culto della vacanza, con i gadget e le attrezzature che la moda impone.
Buone vacanze dunque, con l’augurio che rappresentino l’esperienza di uno spazio per sé, un esercizio che potrebbe aiutarci al ritorno a mantenere quel pizzico di libertà in più che prescinde dalle circostanze esterne, ma che deriva dalla conquista di una interiore disposizione alla vacanza. Non coltivare solo “passioni dell’attesa”, come direbbe Spinoza: questo sì che è difficile.

Maura Franchi
Laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del prodotto tipico. I principali temi di ricerca riguardano: i mutamenti socio-culturali connessi alla rete e ai social network, le scelte e i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand. maura.franchi@gmail.com

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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