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E’ un avvenimento unico, storico, un’apertura sperata e attesa. Finalmente. Lo avevamo auspicato qualche tempo fa (leggi) e in questi giorni la Corte Penale Internazionale (Cpi) dell’Aia pare andare nella giusta direzione. Davanti a essa, infatti, è apparso per la prima volta, lo scorso 30 settembre, Ahmad Al Faqi Al Mahdi, accusato di aver commesso crimini di guerra nella città di Timbuktu, nel nord del Mali, attaccando e distruggendo monumenti storici ed edifici religiosi, tra il 30 giugno e il 10 luglio 2012. Per la prima volta nella storia, la Corte (tribunale internazionale, istituto nel 1998, competente a giudicare individui che abbiano commesso gravi crimini di rilevanza internazionale come genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra) persegue un imputato per il crimine di guerra di distruzione di monumenti storici ed edifici religiosi. Era ora. Un buon segno, un buon inizio, un passo necessario e urgente verso una tutela di beni dimenticati. Ma vediamo i fatti.

Da gennaio 2012, il Mali (paese povero ma bellissimo e culturalmente ricco) è attraversato e “scombussolato” da un conflitto armato non-internazionale di difficile comprensione. La città di Timbuktu, che, nell’immaginario collettivo, evoca tempi lontani, luoghi remoti e favole misteriose, è controllata da vari gruppi islamici terroristici legati ad “Al Qaeda in the Islamic Maghreb” (Aqim). L’imputato di oggi, Al Faqi (soprannominato Abou Tourab), nato ad Agoune, a un centinaio di chilometri da Timbuktu), circa trent’anni fa, era membro di uno di questi gruppi (“Ansar Dine”, movimento tuareg associato a Aqim) e capo della brigata “Hesbah” (“brigata dei costumi”), coinvolta nella distruzione di 9 mausolei costruiti tra il XIII e il XVII secolo, di una moschea e di oltre 4.000 manoscritti originali. Siti Unesco, fra l’altro.

Chi non ha visitato il Mali difficilmente può immaginare il tesoro che esso racchiude, per la storia dell’uomo e della civiltà. Quando, nel 2009, ho varcato la soglia di Timbuktu, ho percepito la forza di quella storia, visitando i luoghi che custodivano centinaia di antichi manoscritti. Era come entrare in una caverna di una favola, quella che contiene il tesoro che si cerca da lungo tempo. Il solo pensiero di una loro possibile violazione e distruzione fa male, mani nemiche che osano toccare e intaccare le tradizioni e le storie passati dei popoli. Macchiarle di oblio, sfregio, terrore e distruzione. Per cercare di punire tale vergogna, la Camera Preliminare della Cpi ha quindi fissato la data di inizio dell’udienza per la conferma delle accuse (18 gennaio 2016) a carico di Al Faqi, nell’ambito della quale si deciderà se le prove presentate dal Procuratore integrino i presupposti ragionevoli al fine del riconoscimento della sussistenza della responsabilità penale, individuale o in concorso, in capo all’indagato, per aver commesso il crimine di guerra di distruzione di monumenti storici ed edifici religiosi. In caso positivo, avrà inizio il processo vero e proprio. Tale caso è il primo (The Prosecutor v. Ahmed Al Faqi Al Mahdi, ICC-01/12-01/15) riguardante il conflitto in corso in Mali attualmente in esame presso la CPI. Il Governo del Mali ha riferito la situazione alla Corte il 13 luglio 2012 (con la lettera del Ministero della Giustizia n.0076/MJ-SG, leggi qua). Il 16 gennaio 2013, il Procuratore aveva aperto un’indagine inerente i presunti crimini di rilevanza internazionale commessi sul territorio maliano a partire dal gennaio 2012. Il mandato di arresto di Al Faqi era stato spiccato il 18 settembre 2015 e il 26 settembre le autorità del Niger lo avevano consegnato al Centro di detenzione della Corte nei Paesi Bassi. I monumenti distrutti sono: i mausolei Sidi Mahmoud Ben Omar Mohamed Aquit, Sheikh Mohamed Mahmoud Al Arawani, Sheikh Sidi Mokhtar Ben Sidi Muhammad Ben Sheikh Alkabir, Alpha Moya, Sheikh Sidi Ahmed Ben Amar Arragadi, Sheikh Muhammad El Micky, Cheick Abdoul Kassim Attouaty, Ahamed Fulane, Bahaber Babadié, e la moschea Sidi Yahia.

Aspettiamo gennaio 2016, e vedremo. Seguiremo l’affaire. Auspicando che sia solo l’inizio per la punizione di tali crimini. Contro un integralismo inaccettabile.

 

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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