Skip to main content

In questo ultimo periodo il Ministro Savona usa spesso dire che intende far crescere il Paese aumentando il Pil e che questa operazione renderà sostenibile il rapporto debito/Pil dell’Italia. Ma cosa può voler dire questa affermazione? Per comprenderlo forse abbiamo bisogno di fare dei passi indietro.
Per prima cosa bisogna ragionare sul fatto che il debito pubblico è uno stock, ovvero un blocco che ci portiamo dietro con costanza di anno in anno. “Stock e blocco che ci portiamo dietro” potrebbe però dare un’idea sbagliata, far pensare al classico macigno legato ai piedi che ci si trascina mentre si scala una montagna. In realtà stiamo parlando di spesa dello Stato e quando lo Stato spende non necessariamente butta i soldi dalla finestra. Nella maggior parte dei casi la spesa dello Stato si trasforma in scuole, ospedali, pensioni, assistenza agli anziani e ai disabili e, non ultimo, in risparmio privato cioè in tutte cose che dovrebbero rincuorare piuttosto che spaventare.
Ogni anno questa spesa dello Stato (se volete siete liberi di chiamarlo debito pubblico) si alimenta sostanzialmente per due motivi, perché si fanno delle spese non coperte da entrate (cioè dalle tasse) oppure perché si pagano degli interessi sui prestiti chiesti gli anni precedenti. Il primo caso è rappresentato dalla Francia, il secondo dall’Italia.
Assodato questo, il rapporto debito/Pil si può abbattere in due modi: smettendo di fare spese oppure abbattendo gli interessi. Un terzo modo in realtà ci sarebbe, ed è quello rappresentato da un taglio del debito stesso che può avvenire in vari modi, ne elenchiamo due (anche qui): il caso Gran Bretagna e il caso Grecia e li mostriamo con le immagini di seguito.
Nel primo esempio la Banca d’Inghilterra ci mostra un taglio del suo debito dopo averlo ricomprato. Cioè quando una Banca Centrale ha in pancia dei Bond che ha ricomprato sul mercato, può decidere di continuare a tenerlo in contabilità (come fa Bankitalia) e continuarlo a farlo figurare come debito oppure, appunto, cancellarlo.

Nel secondo esempio la Grecia, di cui mostro un grafico da me elaborato su dati Oecd, in cui si vede chiaramente che il debito scende in quanto ne viene “condonata” una parte con i piani di aiuto del 2012. La Grecia infatti non può tagliarsi da sola il debito come può fare la Gran Bretagna, la Svezia, il Giappone o gli Stati Uniti, in quanto è sottoposta alle decisioni di una Banca Centrale (la Bce) che non controlla direttamente.

In entrambi i casi, si sottolinea, a monte ci sono delle scelte politiche e non hanno nulla a che fare con l’economia o la necessità. Decisioni politiche che anticipano gli effetti economici, decidono prima cosa fare e magari chi tutelare.
Per comprendere, non solo Savona, ma anche le ricadute economiche sul sociale e sulla vita quotidiana, è necessario partire dall’inizio e l’inizio è il momento in cui qualcuno prende una decisione. Che ci siano soldi per le banche ma non per il reddito di cittadinanza è una scelta, non ci sono tavole sacre né tantomeno le regole economiche sono scolpite sulla pietra. E proprio per questo, fissare dei principi e delle regole economiche valide nei secoli, come è stato fatto con il Trattato di Maastricht e seguenti, è qualcosa che non può funzionare. Ciò che deve essere fissato sono le regole politiche, di convivenza civile e quali siano i valori che tengono insieme le persone. Su questo poi si possono prendere decisioni economiche (di politica economica).
Quindi, a meno che uno Stato non decida di interrompere o le sue spese o di cambiare sistema di finanziamento per tenere sotto controllo gli interessi (e per farlo l’unico modo sarebbe quello di non affidarsi ai mercati finanziari, cioè tornare ad un sistema di controllo della propria sovranità monetaria tipo Usa, Gran Bretagna, Svezia, Norvegia, Giappone, ecc.) e a meno che non si voglia copiare il modello di “non spesa per incapacità tecnica” tipo Burkina Faso, Ciad, Nigeria, ecc. … si dovrà imparare a convivere con questa forma di contabilità che prevede un debito pubblico, cioè che preveda la spesa dello Stato.
Di seguito una serie di grafici che mostrano come i debiti pubblici nei Paesi progrediti presi in esame costituiscano una costante in continua crescita, a meno del verificarsi delle condizioni eccezionali sopra descritte.



Un altro caso in cui il debito rallenta è quando si ha un consistente surplus di bilancia commerciale. Cioè le spese si finanziano con il ricavato delle vendite all’estero, è il caso Germania. Ma non è da considerare un modello sano perché prevede che qualcuno si arricchisca a spese di altri, che ci siano tensioni internazionali, che il modello di sviluppo sia affidato alla sola concorrenza e non alla cooperazione.

Passiamo adesso al Pil che invece non è uno stock, quindi non è qualcosa che ci si porta totalmente in eredità anno per anno, ma bisogna costruire ogni volta da capo. Certo se un Paese ha un’economia solida, delle buone aziende, ingegneri preparati e magari qualche materia prima, o la capacità di trasformare queste materie prime, è chiaro che non si parte proprio da zero ma da una capacità consolidata di creare economia, cioè scambi all’interno dei propri confini e magari anche al di fuori di esso. Questa capacità di fare economia si trasforma in Pil.
Capirete ovviamente che però, per quanto ci siano consolidate capacità produttive e genialità individuali qualsiasi bene creato, inventato o prodotto, perché diventi Pil dovrà essere comprato da qualcuno. Questo perché il Pil, come detto sopra, conteggia ciò che in economia succede anno per anno, cioè ciò che viene scambiato durante un arco temporale.
Questo spiega cosa vogliono dire, ognuno a suo modo, Di Maio e Salvini quando dicono che vogliono dare agli italiani più capacità di spesa, uno con il reddito di cittadinanza e l’innalzamento delle pensioni minime, l’altro abbassando le tasse a tutti. Vogliono lasciare più soldi ai cittadini per “muovere” il Pil. Ma noi stavamo parlando di Savona e per questo, avendo tracciato i presupposti, mostriamo di seguito alcuni grafici i cui dati di base sono estratti sempre dal sito ufficiale di Oecd. E’ evidente la forbice che si crea tra debito e Pil è una forbice che si allarga, vedi in particolare il caso Italia, quando il Pil smette di crescere.





In altri termini e ricapitolando, nessuno Stato occidentale abbassa il tenore delle spese. Nella prima parte abbiamo visto che i debiti pubblici sono in costante crescita perché lo Stato ha bisogno di spendere e assicurare un certo grado di benessere ai suoi cittadini mentre nella seconda, con l’ultima serie di grafici vediamo che quando la forbice tra debito e Pil si allarga il suo rapporto cresce.
Quindi il target che questo Governo, finalmente, si impone è la crescita del Pil che alla fine porterà alla diminuzione del rapporto debito/Pil spostando l’attenzione perversa sul debito tipica di Cottarelli, di Boeri e di Martina. Perché un Paese civile non può cancellare realmente la spesa dello Stato. Chi continua a scagliarsi contro questo si scaglia in realtà contro la ricerca del benessere, contro i cittadini, i pensionati, le persone con disabilità, gli ammalati cronici, i disoccupati, le aziende che producono, la ricerca, l’università, l’istruzione e la civiltà.
I parametri europei si concentrano (insensatamente ma questo è!) sul rapporto debito/Pil e tale rapporto si crea considerando entrambe le variabili. Come si vede nel caso della Francia, il suo debito è in costante crescita ma cresce anche il Pil per cui nessuno si preoccupa quando afferma di voler fare anch’essa, ad esempio, una sorta di reddito di cittadinanza.
Anche il Pil della Germania e della Spagna cresce e quindi il rapporto non è in discussione, mentre l’Italia ha smesso di crescere e quindi il suo debito procede in solitaria staccandosi sempre più dalla linea del Pil.
Per quanto possiamo essere geniali, capaci di innovare e di realizzare, il mezzo per muovere il Pil non potremo mai crearlo noi perché questo mezzo, in un sistema monetario, si chiama moneta. E questa la può creare solo lo Stato che poi può metterla in circolazione in tanti modi. Tra questi ne esiste uno che io sceglierei, se potessi: dare lavoro pagato dignitosamente, stabile e con tutti i diritti conquistati negli ultimi due secoli di storia. Ma anche questa è una decisione politica.

Fonti
Dati per i grafici www.oecd.org
HM Treasury – Whole of Government Accounts – year ended 31 March 2013 www.gov.uk

in copertina elaborazione grafica di Carlo Tassi

tag:

Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it