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Capita a volte di andare al cinema con qualcuno e dai commenti all’uscita essere portati a credere che l’altra persona abbia visto un film diverso. Questa è esattamente l’impressione che ho avuto leggendo l’intervento su questo giornale di Giuseppe Fornaro a commento del dibattito di giovedì scorso alla “Sala della musica” fra l’assessore Marattin ed il duo Cattaneo-Zibordi.
Dibattito acceso, né poteva essere diversamente stante le diverse impostazioni teoriche dei partecipanti, ed anche interessante, finché nel finale – Marattin doveva rispondere alle ultime tre domande del pubblico, Zibordi, come invasato da furore mistico, ha preso ad interrompere reiteratamente l’assessore impedendogli di fatto di parlare ed usando nei suoi confronti espressioni al limite dell’insulto (più o meno: “ho vent’anni più di te ed ho studiato più di te, quindi ne so più di te”). Tanto per fare un paragone, per chi non c’era, sembrava di assistere ad un remake del mitico “incontro” in streaming fra Renzi e Grillo, con l’unica differenza che Marattin, vista la totale inutilità di provare a rispondere, assieme a parte dei presenti, ha deciso di andarsene. Quali siano state le cause scatenanti di tanta aggressività non è dato sapere, sia pur tenendo conto dell’asprezza che a volte caratterizza le discussioni fra accademici, categoria rispetto alla quale Zibordi ha comunque dichiarato essere per lui un punto d’onore non appartenere.
Poiché il dibattito era pubblico ed è stato registrato, sarebbe utile metterne in rete anche solo gli ultimi 5 minuti per dare modo a chi non c’era di capire cosa sia veramente successo. Per quelli che invece c’erano ed hanno capito altro temo non ci sia nulla da fare; d’altronde le opinioni sono sacre: su questo la penso come Voltaire.
L’articolo di Fornaro si dilunga poi in una lunga serie di considerazioni polemiche sull’operato passato e futuro dell’amministrazione comunale in carica, eredità evidente quanto incongrua della campagna elettorale appena terminata, ma del tutto fuori contesto rispetto ai temi discussi giovedì scorso.
Chiusa questa per me doverosa precisazione, veniamo al merito delle questioni su cui si è incentrata la maggior parte della discussione. Va subito osservato che i tre relatori si sono detti fin dall’inizio d’accordo sul fatto che per alimentare una reale ripresa economica sia necessario immettere in circolo una sostanziale massa monetaria, essendo questo l’unico modo per risollevare una domanda che langue ormai da troppo tempo. Anche sull’entità di tale intervento, almeno in ordini di grandezza, vale a dire qualche centinaio di miliardi di euro, i pareri erano tutto sommato convergenti. Il dissenso è invece nato sulle modalità con cui realizzarlo.

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I numerosi partecipanti all’iniziativa ospitata alla Sala della Musica e, di spalle, i relatori

Mentre Cattaneo e Zibordi hanno illustrato la proposta contenuta nel libro che hanno pubblicato congiuntamente e che consiste sostanzialmente nella distribuzione a titolo gratuito a cittadini ed imprese di particolari titoli finanziari di scopo, emessi dallo Stato ed utilizzabili dopo due anni esclusivamente per pagare le tasse, Marattin sosteneva che un risultato analogo lo si potrebbe raggiungere semplicemente riducendo le tasse per un importo corrispondente.
Le maggiori distanze fra le diverse posizioni sono però emerse quando si è passati ad analizzare le cause della crisi attuale; lì, inevitabilmente, sono apparse in tutta la loro forza le diverse impostazioni dei relatori, che comunque, sia pur con accenti abbastanza diversi, hanno convenuto su alcuni punti fermi, in particolare sul troppo potere detenuto dagli istituti bancari e sulla loro scarsissima propensione a mettere in circolo le pur notevoli risorse di cui sono state dotate dalla Bce. A questo punto Zibordi si è lanciato in una presentazione, vero nucleo “teorico” della proposta sostenuta assieme al collega, dalle cui numerose slide avrebbe dovuto emergere come del tutto evidente il concetto che le ragioni della crisi sono esclusivamente il frutto della perdita della capacità di stampare moneta da parte degli stati europei, a seguito dell’introduzione della moneta unica (cambi rigidi, prima; euro, poi). A suo giudizio, se non ci fosse l’euro, per fare ripartire l’economia sarebbe sufficiente che lo Stato, tramite la banca d’Italia, stampasse una quantità di moneta sufficiente a far ripartire l’economia; l’inflazione che inevitabilmente ne conseguirebbe potrebbe essere, sempre a suo parere, controllata dosando opportunamente tale immissione di liquidità.
Rispetto a tale impostazione, della cui fondatezza teorica non mi pare il caso di discutere in questo contesto, sia Marattin sia alcuni interventi dalla sala contrapponevano alcune considerazioni di natura strutturale, dal lato dell’offerta per dirla nel gergo degli economisti, sulle condizioni in cui opera il nostro tessuto industriale, con riferimento all’efficienza della pubblica amministrazione, alla pressione fiscale ed alle infrastrutture, rispetto ad esempio a tematiche come quella della delocalizzazione. L’ipotesi di Zibordi, che ha liquidato quelle osservazioni come rumore fuorviante, da questo punto di vista è del tutto consolatoria, perché sembrerebbe che stampare moneta sia tutto quello che serve per ritrovare la crescita e la competitività, senza necessità di cambiare null’altro. Di eliminare le storture e l’arretratezza del nostro sistema industriale, ridisegnare un moderno sistema di infrastrutture, dai trasporti alla larga banda, riformare una delle pubbliche amministrazioni meno efficienti e più permeabili alla corruzione del pianeta.
Anche qui, sia pure in modo diverso rispetto alla teoria liberista, emerge uno strano concetto di “mano invisibile”, secondo il quale la prosperità economica di un Paese, indipendentemente dal contesto competitivo internazionale e da tutto il resto, parrebbe essere il semplice frutto dell’attività delle rotative della zecca dello Stato.

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Raffaele Mosca


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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