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C’è una narrazione dell’emancipazione femminile sotto la missione USA/NATO che non rispecchia la verità. E’ servita a giustificare la missione militare ieri e serve oggi a descrivere un Afghanistan dove la libertà delle donne è ora in pericolo. Ma lo è sempre stata.
Chi dice che la condizione delle donne durante l’occupazione americana dell’Afghanistan era migliorata nelle città dovrebbe leggere questi dati di ActionAid [Qui] del 2014:
“Non esistono statistiche ufficiali a livello nazionale sulla violenza di genere in Afghanistan e, secondo uno studio del 2012 dell’UNAMA (United Nations Assistance Mission in Afghanistan), la maggior parte delle violenze contro donne e bambine non vengono denunciate. Per colmare le lacune sulla conoscenza del fenomeno della violenza in Afghanistan, alcune ONG e organizzazioni internazionali hanno effettuato ricerche per stimarne la portata.
Uno studio di Global Rights sulla violenza contro le donne, effettuata in 16 delle 34 province afghane, ha rilevato che l’84.9% delle donne che vivono in zone rurali ha subito almeno una forma di violenza (fisica, psicologica o sessuale) contro il 69,4% delle donne che vivono in aree urbane”.
Sono dati che smentiscono la narrazione dell’emancipazione femminile sotto la missione USA/NATO. Quella narrazione è servita ad assopire l’opposizione alla guerra e a giustificare la missione militare. Oggi serve a descrivere un Afghanistan dove la libertà delle donne è ora in pericolo.

E’ un’operazione di raffinata manipolazione, efficace su tante donne che sinceramente sono preoccupate per ciò che avviene.
Purtroppo le donne erano in pericolo anche prima della caduta di Kabul, anche se non se ne parlava come oggi.
Le donne erano oggetto di violenza anche prima in quanto gli occupanti avevano stretto scellerati patti di potere con i “signori della guerra” rivali dei talebani. Questi signori della guerra erano protagonisti delle violazioni dei diritti umani e delle donne, inclusi omicidi per libidine, stupri e sevizie. Ma questa emergenza non raggiungeva il grande pubblico e rimaneva all’interno dei dossier.
La maggior parte delle violenze contro donne e bambine non veniva denunciata.

Le donne di RAWA sotto l’occupazione USA/NATO dicevano:
“Le donne non hanno visto migliorare la loro condizione se non in alcune limitate parti del paese. In altre zone l’incidenza degli stupri e dei matrimoni forzati è nuovamente in crescita, e le donne continuano a indossare il burqa per paura, per tutelare la propria sicurezza. La guerra al terrorismo ha scacciato gli storitellyng talebani dal governo centrale, ma non ha sradicato il fondamentalismo religioso, che è la causa principale delle nostre sofferenze. I signori della guerra e l’Alleanza del Nord sono ancora al potere e sono appoggiati dal governo USA. Costoro sono ideologicamente simili ai talebani. Essi sono misogini quanto loro”.
A questa drammatica situazione per le donne si accompagnava un peggioramento, sotto l’occupazione militare USA/NATO della speranza di vita, della mortalità infantile e di altri indicatori sociali. Ma anche questo non veniva raccontato all’opinione pubblica dalla coalizione militare occupante.

Cosa è PeaceLink?
E’ un’associazione di volontariato nata su rete telematica. Peacelink [Qui] promuove dal 1991 la cultura della solidarietà e dei diritti umani, l’educazione alla pace, la cooperazione internazionale, il ripudio del razzismo e della mafia, la difesa dell’ambiente e della legalità.

Nota: questo articolo è già uscito sul sito di Peacelink il 22.08.2021

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ALESSANDRO MARESCOTTI

Sono nato nel 1958. Laureato in Filosofia nel 1980, subito dopo mi sono avvicinato al mondo dei personal computer. Nel 1991 sono stato fra i fondatori di PeaceLink. Insegno Lettere a Taranto in una scuola media superiore. Collaboro con la dottoressa Chiara Castellani (www.kimbau.org). Mi interesso dell’inquinamento a Taranto e in particolare di diossina.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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