Skip to main content

Nicola Chiaromonte: la questione della Storia (e delle storie)

Nicola Chiaromonte: la questione della Storia (e delle storie)

Nicola Chiaromonte – immagine tratta da “Storia e futuro”

Uno dei temi fondamentali di “ricerca letteraria” di Nicola Chiaromonte è il rapporto tra l’ “uomo” e l’evento, tra ciò che egli crede e ciò che gli accade, in poche parole, la questione della Storia.

Non a caso l’opera più importante  di Chiaromonte tradotta in italiano con il titolo Credere e non credere (Milano, Bompiani, 1971) fu pubblicata prima in inglese con il titolo esplicito The Paradox of History. Stendhal, Tolstoy, Pasternak and others (London, Weidenfeld & Nicolson, 1970).

Il testo è totalmente percorso da una vis polemica contro il bersaglio che ha occupato (o ossessionato) Chiaromonte per tutta la vita: lo storicismo volgare.

Ricordiamo che lo storicismo è un’idea filosofica che afferma che ogni aspetto della realtà umana (dalla conoscenza alla politica) è radicato nel suo contesto storico e quindi può essere compreso studiando le dinamiche e gli eventi che lo avrebbero plasmato: chiara esemplificazione del pensiero meccanicistico incardinato sul principio di “causa-effetto”.

D’altra parte l’espressione “storicismo volgare” usata da Chiaromonte ha come bersaglio Marx, Engels e i loro epigoni  che hanno usato lo storicismo in modo superficiale come un puro e semplice strumento di mediazione culturale per la politica ma senza comprenderne a fondo la sua natura filosofica. Ma al di là del merito della questione, quello che più ci interessa evidenziare è l’originalità del metodo utilizzato da Chiaromonte per una critica allo storicismo tradizionale.

Chiaromonte è convinto che soltanto attraverso la finzione e l’immaginario sia possibile apprendere qualcosa sull’esperienza autentica dell’individuo, pertanto la sua analisi, non avvalendosi di un tradizionale metodo storiografico, non si misura con volumi di storia, né con opere di filosofi, ma solo ed esclusivamente con romanzi.

Solo basandosi su quella specie particolare di verità storica che è la finzione del grande romanzo otto-novecentesco, si può indagare davvero il rapporto uomo-storia, in modo opposto a quanto viene fatto sulla base di versioni ufficiali, documenti (più o meno propagandistici), idee preconcette, scuole di pensiero e… cervelli ideologici.

Il principio di affidarsi ai romanzi viene espresso  in vari passi del Meridiano a lui dedicato del quale si è già detto nel precedente articolo. Per esempio in uno dei suoi saggi più importanti, quello del 1968 sul teatro politico, Chiaromonte scrive:

“… non è possibile rendere il significato vero di un fatto se non si arriva a immaginarlo. I Persiani di Eschilo, le commedie di Aristofane, i drammi storici di Shakespeare, le commedie di Shaw…” ne rappresentano le prove.

Addirittura nei suoi taccuini (1955-1971) editi nel 1995 col titolo Che cosa rimane (il Mulino Edizioni), Chiaromonte è ancora più esplicito quando scrive: “senza l’immagine, la favola, insomma il sogno, la realtà non è nulla” , frase che evidenzia un chiaro riferimento  alla civiltà greca, che ha letteralmente inventato la Bellezza, proprio perché, come sottolinea Chiaromonte, ha “rivelato il vero nell’irreale”.

Per motivi di spazio non potremo qui ripercorrere  l’analisi che Chiaromonte rivolge ai cinque romanzi di Stendhal, Tolstoj, Martin du Gard, Malraux, Pasternak inclusi in Credere e non credere, ma ci limiteremo a riportare la seguente citazione in grado di restituire il senso del metodo di Chiaromonte.

A proposito del protagonista della Certosa di Parma, Chiaromonte scrive:

“Nel descrivere Fabrizio che vaga per i campi alla ricerca della battaglia di Waterloo senza riuscire a trovarla, Stendhal diede forma a una delle grandi intuizioni dei tempi moderni. Era un lampo di pura meraviglia dinanzi al paradosso della storia vissuta. Quell’immagine racchiude un mito il cui senso pregnante nessuna filosofia della storia, nessun Hegel e nessun Marx riusciranno a obliterare…[…] … ci dice che la storia è un miraggio, che agli occhi di un individuo coinvolto in un evento collettivo l’evento stesso, invece di prender forma, si dissolve e sparisce. Al suo posto appare qualcosa d’altro: l’ironia del particolare che revoca in dubbio ogni significato globale e grandioso, il Potere incommensurabile che sovrasta il mondo delle azioni umane. Allora, la più umile e consueta delle realtà quotidiane sembrerà infinitamente più importante della gloria di Napoleone”.

Detto in altre parole secondo Chiaromonte, a dispetto della grande Storia, i protagonisti delle storie, gli eroi di questi romanzi, quando agiscono, lo fanno semplicemente perché sono affascinati non dalla razionalità, ma dall’assurdità della sedicente storia con la S maiuscola. Tutto è aleatorio e imprevedibile: il prorompere degli eventi, l’urto delle forze. L’azione stessa diviene una sorta di allucinazione febbrile.

Non c’è razionalità nella “Storia”, dice Chiaromonte, e ciò che essa in realtà esprime è quello che è del tutto imperscrutabile, invisibile, innominabile o, addirittura, indicibile.

Chi ignora o vuole ignorare questa inafferrabilità dell’evento non può che cadere in inevitabili paradossi, dice Chiaromonte, come ad esempio quello incarnato dalla religione progressista che pone al centro della sua fede un essere supremo “umanizzato”, appositamente costruito con la sostanza stessa degli sforzi umani e deputato ad essere il giudice supremo.

Questo dio dell’ateismo integrale, non può che richiedere una fede assoluta, cieca, una “miscredenza fanatica”, altrettanto dogmatica e implacabile quanto la fede delle religioni tradizionali, e forse anche più.

Un altro paradosso legato alla inafferrabilità dell’evento è quello tipico della cosiddetta società di massa che cominciò a prendere corpo già nei primi anni Sessanta: una forma mostruosa di egomania che genera, allora come ora, una sorta di società apparentemente liquida come oggi la definirebbe Bauman, ma che in effetti è bloccata e costretta a una serie di percorsi obbligati.

L’ immagine plastica di questa società di egomani seriali ai tempi di Chiaromonte era  il volto dell’individuo motorizzato lanciato a tutta velocità dinnanzi a sé; oggi, l’icona rappresentativa potrebbe essere quella dell’ homo “i-phone”, statico davanti al mondo che gli (s)fugge velocemente davanti.

Solo l’arte e la finzione potrebbero esorcizzare questi paradossi. Ed è questa la rivoluzione di Chiaromonte: intuire che la cosiddetta storia con la S grande può essere scritta solo attraverso il romanzo e che dunque la “verità” può essere affidata solo allo sguardo di uno spettatore critico, come Fabrizio di fronte alla grande rappresentazione della Storia napoleonica.

Ci potrà mai essere un “fabrizio” tra le fila degli eserciti attualmente in guerra? Tra i politici seduti nei nostri parlamenti impegnati in sterili combattimenti verbali? C’è in questa realtà contemporanea qualcuno che non si affidi alla fede assoluta di un dio o al mito della grande storia o al racconto semplificato di un neo imperialismo coloniale ?

Sembrerebbe proprio di no e, alla vista, non sembra palesarsi alcun grande romanzo moderno che animi un “nostro fabrizio”, un “protagonista”  cioè che possa indicarci la verità storica di questo innominabile attuale.

La finzione dunque per Chiaromonte non è affatto un’illusione ma “la sola forma d’arte capace di rappresentare l’esistenza umana nella sua verità corporea…” di evento che accade “…e, nella sua realtà ideale, di risposta allo stato del mondo…” (La situazione drammatica, 1960).

Il teatro, i romanzi, “i fabrizi”, sono, per Chiaromonte, modelli per comprendere la vita politica e non solo, perché in fin dei conti la finzione si rivela un vero e proprio paradigma esistenziale in quanto, come ben sapevano i Greci: “vivere è una commedia, o una tragedia, che si recita per gli altri, mai per se stessi” (I confini dell’anima, 1968).

Cover: immagine tratta da https://pixabay.com/it/images/search/free%20image/

Per leggere gli articoli, i racconti e le poesie di Giuseppe Ferrara su Periscopio clicca sul nome dell’autore

sostieni periscopio

Sostieni periscopio!

Tutti i tag di questo articolo:

Giuseppe Ferrara

Giuseppe Ferrara – Nato a Napoli. Cresciuto a Potenza fino alla maturità Classica presso il Liceo-Ginnasio Q.O. Flacco. Laureato in Fisica all’Università di Salerno. Dal 1990 vive e lavora a Ferrara, dove collabora a CDS Cultura . Autore di cinque raccolte poetiche; è presente in diverse antologie. In rete è possibile trovare e leggere alcune sue poesie e commenti su altri poeti e autori. Tiene un blog “Il Post delle fragole”: https://thestrawberrypost.blogspot.com/

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *