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di Alice Ferraresi

Giorgio Gaber cantava “se la cioccolata svizzera è di destra, la nutella è ancora di sinistra” e snocciolava altri luoghi comuni su cosa è considerato di destra e cosa di sinistra.
“Salvare una banca” non è considerato né di destra né di sinistra: è impopolare e basta. Il concetto è la conseguenza di due postulati, entrambi errati: che salvare una banca significhi salvare i banchieri; che la banca sia un’azienda come tutte le altre.

Primo postulato: salvare una banca significa salvare i banchieri. Dovrebbe essere il contrario. Infatti, se si riuscisse a riportare nel capitale della banca almeno parte dei denari sottratti dalla mala gestio o dalla malversazione dei cattivi banchieri, tra punizione e sanzione dei primi e cura delle seconde ci sarebbe una relazione diretta: recupero capitali sottratti alla buona gestione e li reimmetto nella banca. Purtroppo in questo recupero l’attuale legislazione di diritto privato commerciale (anche internazionale) è gravemente carente di strumenti idonei a colpire gli interessi di chi ha soldi da nascondere. Semplicemente, gli strumenti della “libera finanza” sovrastano gli anticorpi normativi.
Peraltro questa è solo una parte del problema. La cattiva gestione dilapida denaro aziendale che non può essere tutto recuperato dalle tasche dei top manager: l’azienda che perde valore e capitalizzazione perde infatti tanto denaro, perchè scelte sbagliate la depauperano profondamente. Tuttavia sarebbe già un grande passo in avanti se alcune retribuzioni milionarie venissero rigorosamente agganciate al raggiungimento di risultati di buona gestione (che non significa la massimizzazione dei profitti di breve periodo). Invece, anche in questi giorni di grandi crisi bancarie, assistiamo a scandali come il trattamento economico – preceduto da un incredibile “bonus in entrata” – dell’AD di Pop Vicenza Iorio, che in 18 mesi di reggenza in una banca in grave dissesto (e nella quale i dipendenti rischiano posto di lavoro e parte della retribuzione) ha percepito circa diecimila euro al giorno. Una follia, un insulto. Un pactum sceleris tra privati che dovrebbe essere reso giuridicamente impossibile, dentro aziende in crisi. Non parliamo delle banche commissariate: qui la gravità delle sperequazioni è accentuata dalla segretezza da cui vengono circondati i compensi della compagine commissariale – che non aiuta una banca a guarire, casomai la aiuta a sprofondare; ma di questo parleremo magari un’altra volta…
Secondo postulato: la banca è un’azienda, quindi se è in dissesto deve poter fallire, come qualunque altra azienda. La banca è un intermediatore di denaro: raccoglie i soldi di proprietà dei suoi clienti, e li impiega prestandoli al territorio che ne ha bisogno per svolgere le sue attività economiche. Se una banca viene lasciata fallire, le due conseguenze immediate sono le seguenti: primo, una parte dei risparmi dei clienti viene espropriata, esattamente alla stregua di un credito che viene succhiato ed attratto nella massa di crediti di una procedura fallimentare, che verranno pagati se e quando sarà realizzato un attivo (questo drammatico effetto si è già visto a Ferrara, con la crisi Carife); secondo, la banca chiede ai suoi clienti di rientrare (ad un certo tempo) dai prestiti erogati, ma soprattutto ed immediatamente interrompe il sostegno economico ai suoi affidati. Questo secondo effetto è ancora più drammatico, perchè si porta dietro l’implosione del tessuto economico di un territorio. E’ infatti strettissimo il legame tra sistema produttivo e banche (specie banche del territorio): le imprese del territorio funzionano a debito. Pochissime sono quelle che lavorano esclusivamente con mezzi finanziari propri.
Questa descrizione dovrebbe far percepire una banca per quello che è realmente: una infrastruttura del territorio, esattamente come un tessuto stradale, una fognatura, una ferrovia. Questo rischio è tanto più alto quanto più la banca che entra in crisi finanzia ancora (anche se non esclusivamente) la maggior parte delle aziende di un territorio. E’ questo il caso di banche grandi(come MPS) ma anche di banche più piccole ma di estrazione territoriale (le due venete, Cassa Ferrara), che sostengono in maniera decisiva, piaccia o no, le aree di riferimento. Lasciare andare una banca del genere al suo destino equivale a far crollare un’autostrada ad alta percorrenza, un sistema viario. Sarebbe come far deragliare i treni perchè ci sta sulle scatole l’AD di Ferrovie dello Stato. Equivale a staccare il bocchettone dell’ ossigeno alle aziende del territorio. E’ quindi mistificatoria l’opinione di chi ritiene che il salvataggio di una banca non debba gravare sulla collettività, perchè è esattamente il contrario: è il dissesto irrimediabile di una banca che scarica tutto il suo fardello sulla collettività.

Per liberamente interpretare Giorgio Gaber: credo che salvare un cattivo banchiere sia di destra, mentre credo che salvare una banca sia di sinistra, perchè significa salvare i risparmi dei cittadini e il tessuto economico. Il nuovo governo, che nasce nel segno della continuità con il precedente, afferma di essere di centro-sinistra. E’ auspicabile che decida di affrontare la crisi del sistema bancario con un salto di qualità rispetto alla passata gestione. Le premesse purtroppo non sono buone.

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