22 Settembre 2015

L’INTERVISTA
Sateriale su beni culturali e diritto di sciopero: “Se il lavoratore perde il consenso forse sbaglia le forme della lotta…”

Sergio Gessi

Tempo di lettura: 7 minuti

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Una vita nel sindacato, quattro anni alla presidenza dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco, ora coordinatore nazionale del Piano del lavoro Cgil: il suo percorso pone l’ex sindaco di Ferrara, Gaetano Sateriale, nella condizione ideale per valutare la controversa decisione del governo di includere il settore culturale fra i servizi essenziali per il Paese, condizionando e limitando in tal modo l’uso dello strumento dello sciopero nel comparto. Schietto per temperamento, espone fuor di diplomazia il suo punto di vista sulla complessa questione. A margine commenta anche l’episodio della contestazione al ministro Giannini a Ferrara (che pure ha visto contrapposti Cgil e Pd) e lancia qualche frecciata…

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Sono ancora vive le polemiche dopo l’assemblea dei lavoratori del Colosseo, le proteste dei turisti per la serrata non annunciata e le conseguenti decisioni del governo. Qual è il tuo giudizio?
Molti siti culturali e turistici italiani sono sotto organico e i dipendenti sono costretti a fare straordinari che non vengono pagati da diversi mesi, malgrado gli accordi. I lavoratori del Colosseo hanno tutte le ragioni per protestare e pretendere il dovuto. Hanno tutti i diritti di convocare le assemblee previste dal contratto e dichiarare gli scioperi che ritengono necessari per avere risposte serie alle loro esigenze. Come i lavoratori di altri settori pubblici o privati, secondo le norme di legge e contrattuali.
Nel far valere le proprie ragioni bisognerebbe sempre cercare di far crescere il consenso dell’opinione pubblica sulle proprie rivendicazioni: spiegarne e diffonderne le ragioni. Forse quell’assemblea non ha corrisposto a questa regola di base del “mestiere” sindacale. Ancor più importante se si ha a che fare con una “controparte” politico-istituzionale.
Poi, si sono dette tante cose: che qualcuno doveva informare i tour operator e non l’ha fatto, che il provvedimento del Governo forse era già pronto e si aspettava solo il pretesto per vararlo… Non so se sia vero: quel che so è che siamo finiti negativamente sui giornali di tutto il mondo e non mi pare che la solidarietà nei confronti dei lavoratori del Colosseo sia cresciuta. Se è cresciuta, ritiro le mie perplessità sulla chiusura a metà mattina per assemblea. Altrimenti forse si poteva stare più attenti. In gergo sindacale si direbbe che sto discutendo le “forme” della mobilitazione, della propaganda e della lotta. Non certo le sue ragioni. Ma per vincere non bisogna commettere nemmeno errori di forma. Questo ho imparato dai vecchi sindacalisti e non ho intenzione di dimenticarmelo ora che sono diventato anche io un sindacalista vecchio.

Per tutelare i cittadini-utenti il governo ha predisposto un decreto che include i Beni culturali fra i servizi essenziali. I sindacati fanno muro. Tu da che parte stai?
Si è detto: “Servizi pubblici essenziali come le scuole, gli ospedali, i trasporti”. Mi pare ci siano differenze da non dimenticare. Le scuole sono essenziali all’educazione e alla cura dei bambini e dei giovani, gli ospedali sono essenziali per la salute delle persone (che non possono adire a strutture a pagamento), i trasporti servono a far funzionare economia e società. I Musei e i siti archeologici e culturali pubblici sono importanti per la crescita di un turismo di qualità, certo, ma si tratta di un’attività economica seppure di ordine strategico per il Paese. Sono anche luoghi dove si diffonde l’immagine e la cultura del Paese, certo. Ma come è stato detto, non è vero che quell’immagine dell’Italia sia offuscata da uno sciopero o un’assemblea. Come non è offuscata l’immagine del Louvre quando capita da loro.
Io rovescerei il ragionamento. E ne farei un manifesto programmatico da parte sindacale.
È davvero d’accordo il Governo di fare del patrimonio storico, culturale, archeologico italiano un settore in grado di diffondere cultura e produrre ricchezza? Allora investa su questo! Ci sono molti siti italiani che attendono di essere recuperati e valorizzati; che devono essere messi in rete fra loro in modo da fornire un pacchetto nuovo che vada oltre il circuito abusato Venezia, Firenze, Roma. Ci sono musei chiusi o a orario ridotto per carenza di personale… O musei che vanno restaurati e modernizzati. Si faccia un piano preciso che parta dalle strutture pubbliche e coinvolga quelle private. Avviamo anche in Italia le esperienze di finanziamento munifico, di sottoscrizione volontaria, di beneficenza privata e riconosciuta che esiste in altri Paesi. Qualifichiamo il lavoro del personale impiegato. È uno dei capitoli del “Piano del Lavoro della Cgil”, quello del turismo culturale.
Queste sono le priorità su cui il governo non si esprime, preferendo le polemiche spicciole. Io non avrei difficoltà di fronte a un piano “industriale” serio sul turismo culturale ad accettare che i sindacati di settore concordino delle regole che contemperino meglio i diritti sindacali con quelli degli utenti.

Dalla vicenda in si evince una sostanziale indifferenza per il cittadino-utente: la leggerezza del cartello in inglese con la comunicazione dell’orario sbagliato ne è una palese dimostrazione…
Non darei un valore troppo emblematico all’episodio del Colosseo. Piuttosto farei un ragionamento più vasto (e forse più autocritico). A parte la sanità e la scuola, negli altri comparti dell’Impiego Pubblico non siamo riusciti a far passare l’idea che quel lavoro sia al servizio appunto del cittadino-utente e non delle burocrazie o del potere. Essere al servizio significa risolvere i problemi (esattamente come accade in un settore dei servizi privati), non spiegare le norme regolamentari che ne impediscono la soluzione. La frase più usata – e più odiata – che si sente a uno sportello pubblico è: “non è competenza di questo ufficio”. Invece un ufficio pubblico ha il dovere di assumere i problemi del cittadino e aiutare a risolverli semplificando (non descrivendo) le complesse procedure necessarie.
Per continuare a usare il gergo sindacale industriale, si dovrebbe dire che c’è un problema di indirizzare meglio il servizio e finalizzare meglio il lavoro impiegato. Che c’è un’organizzazione del lavoro che va cambiata se si vuole che cambi la cultura del pubblico dipendente. Ma di questo nessuno si occupa. Anzi, si continua a tagliare costi e organici e a negare il rinnovo contrattuale a quei settori dove si vorrebbe introdurre innovazione…

Giusto. Ma tornando al punto, tu che hai sempre mostrato particolare sensibilità per il patrimonio culturale e attenzione per i diritti dei cittadini, quale concreta soluzione proporresti?
Ripeto: il patrimonio culturale è davvero un settore strategico sia per accrescere turismo e ricchezza, sia per diffondere cultura, sia per creare posti di lavoro di qualità. Ma come per ogni “patrimonio”, se si vuole produrre ricchezza bisogna farci sopra investimenti, altrimenti sono solo parole. Basti pensare ai Siti Unesco. Siamo il Paese che ne ha di più al mondo. Però non agiscono in rete fra loro e il Governo non fa nulla per valorizzare questa filiera strategica. La verità è che Renzi quando parla di patrimonio si ferma a Piazza San Marco, al Ponte Vecchio e al Colosseo. Mentre l’operazione da fare sarebbe di attrezzare una rete di offerta culturale diffusa, nel Paese delle 100 città d’arte. Possiamo permettercelo! Anzi, è uno spreco assurdo non farlo.

In Cgil queste tue posizioni sono condivise o sei isolato?
Ribadisco che nel Piano del Lavoro della Cgil c’è un intero capitolo dedicato alla valorizzazione del patrimonio storico italiano per creare lavoro di qualità indirizzato soprattutto ai giovani, organizzato in rapporto con scuole, università, musei. E che questa è una richiesta che la Cgil fa al Governo da tempo. Il sindacato del commercio (Filcams) da un anno sta portando questi temi in giro per l’Italia con un progetto che si chiama “Job Art”. Sulle singole iniziative di mobilitazione si può sempre discutere. A dicembre dell’anno scorso, su segnalazione del ministro, la Cgil Lazio ha rinviato uno sciopero indetto all’Opera di Roma la sera della prima, alla presenza del presidente Napolitano. Avevano ragioni per farlo quei lavoratori? Certamente sì. Ha fatto bene o fatto male la Cgil a rinviarlo? Secondo me ha fatto bene.

A proposito di diritti dei lavoratori e di democrazia, a Ferrara nei giorni scorsi c’è stata la vicenda relativa al ministro Giannini tacitato dalle proteste degli insegnanti. I sindacati si sono schierati compatti a loro tutela, molti altri invece – e non solo nel Pd – hanno protestato sostenendo che ascolto e interlocuzione sono doveri civili: tu da che parte stai?
Non conosco l’episodio. Debbo dire che da sempre sono per l’ascolto e la discussione pacifica. Poi si decide il da farsi. Ma il presidente del Consiglio (non solo lui, per la verità) ha fatto del non dialogo coi sindacati un leitmotiv di orgogliosa propaganda del suo governo. Per non dire del dileggio continuo e delle battute sprezzanti. Io non sono per rispondere nello stesso modo, anche perché il disprezzo contro il sindacato lo considero un segno di debolezza del governo, non un suo segno di forza. Però poi non ci si meravigli se negli incontri pubblici i sindacalisti non mantengono sempre il bon ton.
Mi è capitato di recente che un consigliere di Renzi dicesse alla festa dell’Unità che la Cgil ha svolto in questo Paese un ruolo di conservazione corporativa. Gli ho risposto male e me ne scuso. Ma certi livelli di capovolgimento della realtà non sono davvero accettabili. Il ruolo della Cgil nella difesa anche recente della democrazia di questo Paese, appartiene alla storia, per fortuna…
Sono arrivato a una conclusione sui cambiamenti di forma del linguaggio politico. Non so se sia fondata, ma la espongo comunque. Renzi (e gli altri leader populisti) hanno portato in politica un linguaggio da stadio. Quello per cui alla squadra rivale si può dire qualsiasi volgarità perché tanto è solo un gioco. A me non piace quel linguaggio. Ma non ci si lamenti se poi scoppiano incidenti fra le tifoserie…



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L’autore

Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada
Sergio Gessi

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