Skip to main content

Nasi celebri in letteratura

Nel libro quarto, capitolo nono, di uno dei capolavori del Cinquecento francese, Gargantua e PantagrueleFrançois Rabelais fa giungere i suoi personaggi sull’isola immaginaria di Ennasin, ovvero l’isola degli “snasati”. Qui tutti sono parenti l’un l’altro, ma nessuno è parente nel senso comunemente inteso. Il capitolo, in realtà, è soltanto un espediente che permette all’autore di elencare una serie di epiteti per i due sessi:

Uno chiamava un’altra: mia lenza. E lei di rimando: mio pesciolino.

– Ecco un pesce, – disse Eustene, – che starà spesso attaccato a quella lenza.

Un’altra di queste parenti era salutata con le parole: – Buon dì, mia cunetta – e lei rispondeva: – Buon dì, manico mio

E così via. Rabelais descrive anche l’aspetto di questi abitanti dal “naso in forma di asso di fiori” (il disegno delle narici di chi manca della punta del naso), rassomiglianti “a quei rossacci del Poitou”. In questo breve capitolo però, a farla da padrone, è un artificio che proprio Rabelais consacra: l’elenco dissacrante. L’autore ne aveva già fornita prova autorevole nel libro primo, capitolo tredicesimo:

Quindi mi pulii con le lenzuola, con la coperta del letto, con le tendine, con un cuscino, con uno scendiletto, con un tappeto da tavola, una tovaglia, una salvietta, un moccichino, un accappatoio. E sempre vi trovai maggior piacere che non un rognoso quando gli grattan la schiena.

L’elenco dissacrante – qui sul materiale migliore con cui pulirsi dopo aver defecato – serve spesso a Rabelais per prendersi gioco delle dispute dotte, eredità medioevale, che erano in uso nelle Università del Cinquecento (si vedano anche i capitoli quattordici e diciannove del libro primo). È anche tipico della cultura popolare del periodo, che quelle stesse dispute canzonava (capitoli quinto e ventiduesimo del libro primo), aggiungendovi continui riferimenti smisurati a tutto ciò che riguarda il corpo – mangiare, bere, fare all’amore, orinare, defecare – con sommo divertimento di chi ascoltava.

Abbandoniamo ora Rabelais e facciamo un salto di circa due secoli. Tra il 1760 e il 1767, Laurence Sterne dava alle stampe il suo libro più famoso: The Life and Opinions of Tristram Shandy, Gentleman. Opera innovativa, che aprirà la strada ad autori come Joyce, lo Shandy è una digressione continua. La narrazione sinceppa ad ogni capitolo, ritardata da piccoli incidenti, scherzi (si veda la pagina completamente bianca o quella marmorizzata), aneddoti e riflessioni. L’umorismo vuole essere più alto, raffinato, rispetto a quello di Rabelais, eppure vi è più che una strizzata d’occhio all’autore francese. Nel capitolo ventisette del terzo libro – la divisione in libri e capitoli rimanda nuovamente a Rabelais, ma era del resto comune a molti autori – il protagonista dell’opera vede finalmente la luce. Durante il parto però il Dottor Slop “Gli ha schiacciato il naso come una focaccia e lo ha appiattito a livello della faccia”. Questo incidente avrà come conseguenza la disperazione del padre poiché, come Sterne ci fa sapere, tutti, in famiglia, avevano avuto “nasi” di considerevoli dimensioni. Se ho usato le virgolette, è perché anche qui, come in Rabelais, il naso è un espediente per introdurre argomenti a carattere sessuale.

Lo stesso Sterne cita più volte l’autore francese e – a proposito del naso – si premura di rassicurare il lettore:

Solo implorando in anticipo, e supplicando i miei lettori (…) di non permettere che con alcuna astuzia o inganno il nemico del bene metta nella loro mente idea diversa da quella che metto io nella mia definizione. Con la parola Naso, in tutto questo lungo capitolo sui nasi e in ogni altra parte della mia opera in cui ricorra la parola Naso, dichiaro che intendo né più né meno che un Naso.

Come credergli, se dopo una lunga digressione sulle maggiori autorità che si sono occupate di “nasi”, di per sé molto divertente, l’autore ci racconta una novella, ad opera di un fantomatico “grande e dotto” Hans Slawkenbergius, dove campeggia l’equivoco irrisolto tra il naso e l’organo sessuale maschile? Eccone un estratto:

– Come è vero che sono un buon cattolico, è un naso come il mio – disse la sentinella – solo ch’è sei volte più grosso –

– L’ho udito scricchiolare – disse il tamburino –

– Perdinci, l’ho visto sanguinare – ribatté la sentinella – (…)

– Benedicite, che naso! – gridò la moglie del trombettiere – è lungo quanto una tromba.

– È dello stesso metallo, – disse il trombettiere, – come puoi giudicare dal suono dello starnuto.

– È molle come un flauto, – disse la donna.

– È il timbro dell’ottone, – disse il trombettiere.

– Un corno! – ribatté sua moglie.

– Ti dico che è un naso di bronzo, – replicò il trombettiere.

– Vedrò bene cos’è che sta faccenda, – disse la moglie, – perché non andrò a letto questa sera se prima non avrò toccato quel naso con questo dito.

Come si vede, è qui riproposto il motivo rabelaisiano dell’elenco dissacrante.

A togliere ogni dubbio, sul mascheramento naso-organo sessuale, il passo in cui il forestiero indossa i calzoni di raso cremisi “con una sorta… di appendice”. Qui Sterne sostiene, con finto pudore, di non voler tradurre la parola scritta in greco, nella falsa versione di Slawkenbergius, che altro non significa se non “perizoma”, sostituendola con “appendice”. Vi è poi la strana inquietudine notturna che coglie “le penitenziarie del terzo ordine di San Francesco, le suore del Calvario, le Premostratensi, le Cluniacensi, le Certosine e tutti i più severi ordini di monache”, una volta saputo dello smisurato “naso”. A questi passi, fa seguito una lunga dissertazione fra i dotti delle due Università di Strasburgo – una luterana, l’altra papale – che, ancora una volta ad imitazione di Rabelais, mette in ridicolo la falsa erudizione adducendo, come argomento della disputa, l’enorme “naso” del forestiero che nessuno, tranne la sentinella, il trombettiere e sua moglie, ha mai visto. Se sia più comico dissertare, con tanto di citazioni autorevoli, di un “naso” non veduto o tenere un’arringa stramba e parodistica, ricolma del grossolano latino scolastico, come fa Rabelais (libro primo, capitolo diciannove), lascio giudicare al lettore.

Lasciamo ora l’Inghilterra di Sterne e torniamo in Francia: più di un secolo dopo, nel 1897, Edmond Rostand dà alle stampe l’opera teatrale in versi Cyrano de Bergerac. Inutile precisare che anche qui siamo alle prese con un naso, ma ogni allusione sessuale pare essere scomparsa, o quantomeno relegata nella fase di costruzione dei personaggi. A metà strada tra Victor Hugo e Victorien SardouRostand è forse l’ultimo dei romantici, allusioni “basse” e triviali non gli si addicono, né tantomeno lo spirito raffinato di uno Sterne; il suo pubblico era la piccola borghesia perfettamente integrata. Eppure qualche legame con gli autori già citati esiste. Parlando del naso di Cyrano, anche Rostand adotta la forma dell’elenco, non più dissacratorio, quanto piuttosto atto a sfruttare le possibilità comiche dell’accumulazione:

Cyrano: Eh, no! È un po’ poco, ragazzo mio! Ce n’erano di cose da dire sul mio naso – diamine! – e di toni da sfoggiare! Per esempio, vediamo:

Aggressivo: Io, signore, se avessi un naso simile, me lo farei tagliare!

Amichevole: Certo che quando bevete vi si immerge nel bicchiere! Fatevene fabbricare uno su misura!

Descrittivo: È una montagna, un picco, un promontorio!… Ma che dico, un promontorio? È una penisola!

Curioso: A che vi serve questo affare smisurato? Da scrittoio, signore, o da scatola di lavoro?

Grazioso: Amate a tal punto gli uccelli che paternamente volete preoccuparvi di offrire un trespolo alle loro zampette?

E così via. L’elenco continua a lungo. Le affinità parrebbero rincorrersi, se consideriamo il celebre passo, in cui Cyrano finge di cadere dalla Luna per ostacolare de Guiche, ma quant’è lontano Rabelais con le sue descrizioni deformi e stranianti. Rostand pare qui far sfoggio proprio di quell’erudizione classica che, tanto Rabelais quanto Sterne, si divertivano a deridere.

Ci restano ancora da citare, per concludere il nostro breve excursus, le opere di Gogol e Pirandello, rispettivamente Il naso Uno, nessuno e centomila. Nella prima, Il Naso, scritt0 a Roma tra il 1832 e il 1848, lo scrittore russo sembra più intenzionato a mettere in luce la perdita della rispettabilità, nonché i difetti e la bassa levatura della burocrazia zarista, che ad usare il naso – qui vero e proprio personaggio – come elemento dissacrante. Come in Pirandello, dove la scoperta fatta dal protagonista – Vitangelo Moscarda – di avere il naso che pende a destra, altro non è se non l’inizio di un percorso verso la perdita dell’identità. Certo, in Uno, nessuno e centomila il riferimento a Sterne è diretto (come rivela lo stesso Pirandello nel saggio L’Umorismo). Eppure anche nell’opera dell’autore siciliano il naso non è elemento dissacratorio, quanto piuttosto espressione di quelle concezione sterniana che “dall’infinitamente piccolo vede regolato tutto il mondo” (cfr. di nuovo L’Umorismo), concezione che Pirandello seppe sviluppare abilmente.

Con queste poche considerazioni sopra Gogol e Pirandello, che meriterebbero di essere approfondite, ma qui si è ricercato tutt’altro, si chiude il nostro breve viaggio tra i nasi celebri in letteratura. Ora non vi resta che leggere o rileggere gli autori citati, sempre che questo scritto vi abbia incuriosito, com’era nelle mie intenzioni.

Opere con il naso:
François Rabelais, Gargantua e Pantagruele, (1532-1564), Einaudi Tascabili Classici, Torino 2017
Laurence Sterne, Vita e opinioni di Tristram Shandy, Gentiluomo  (1759-1767), Mondadori Oscar Classici, Milano 2018
Edmond Rostand,
Cyrano de Bergerac (1897), Feltrinelli Tascabili, Milano 2014
Nikolaj Gogol, Il naso (1842), Mursia, Milano 2009
Luigi Pirandello, Uno, nessuno, centomila (1926), Mondadori Oscar, Milano 2015

Per approfondire:
Per Rabelais si consiglia M. Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare, Einaudi, Torino, (1965), 2001 e il saggio Il mondo nella bocca di Pantagruele, contenuto in E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Einaudi, Torino, (1946), 2000. Su Tristram Shandy e L. Sterne si vedano le pagine a lui dedicate nel fondamentale testo di V. Sklovskij, Teoria della prosa, Einaudi, Torino, (1925), 1981. Su Gogol, si veda in particolare l’approccio singolare di C. Solivetti, Strategie narrative in Gogol, Lithos, Roma, 2015. Infine, per quanto riguarda Pirandello e per l’uso che se n’è fatto nel presente articolo: L. Pirandello, L’Umorismo, Newton Compton, Milano, (1908), 2009.

tag:

Stefano Agnelli

Stefano Agnelli è laureato in Storia Contemporanea, ed insegna materie letterarie negli Istituti di Istruzione Secondaria. Ha pubblicato due raccolte di poesie: “La stagione del sonno fecondo”, Corbo Editore, Ferrara, 2007 e “Turno di notte”, Albatros, Roma, 2011. Ha collaborato con il sito internet Spigolature. Spigoli & Culture, e collabora con la rivista online: Il giornale di Rodafà. Rivista di liturgia del quotidiano.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it