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Contro la banalità del Male

Contro la banalità del Male

“Quel che ora penso veramente è che il male non è mai radicale, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso sfida, come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua banalità. Solo il bene è profondo e può essere radicale.”
Hannah Arendt, La banalità del male

Nel 1961, tra aprile ed ottobre, una non più giovane Hannah Arendt assistette al processo, tenuto in Israele, ad Adolf Eichmann, l’uomo che aveva realizzato la logistica dello sterminio di massa, del genocidio pianificato e sistematico, di cui il popolo ebraico fu vittima durante tutta la seconda guerra mondiale. Non ho usato, e non userò, la parola Olocausto, in quanto – come ha suggerito Natalia Ginzburg – essa significa: sacrificio in nome di una divinità, e in nome di quale divinità, sarebbero stati sacrificati gli ebrei?

Durante il processo Eichmann si rivelò, agli occhi della Arendt, un banale contabile, in quanto capace di calcolare, senza alcuna emozione apparente, il numero dei litri di gas Zyklon B necessari per uccidere un determinato quantitativo di individui; quanti vagoni sarebbero serviti per trasportarli nei campi, e così via. La giornalista ebbe allora un’intuizione: costui pratica il male senza rendersene conto, senza dargli nessuna connotazione, positiva che, forse, da un convinto nazista, ci si poteva aspettare, ma nemmeno, rievocando quei terribili avvenimenti, mostra apparenti segni di colpa o pentimento. Egli, interrogato in proposito, ribadisce più volte che, essendo un soldato, doveva semplicemente obbedire agli ordini. Quindi, il Male, e la relativa consapevolezza di averlo perseguito, in lui, sembra non essere nemmeno penetrata. Sarebbe dunque rimasto in superficie, come il fungo che serve da esempio nella frase qui citata come incipit, dove la Arendt riassume il concetto di banalità del male

Il Male dunque non avrebbe alcun spessore, e quando il pensiero cerca di andare nel profondo, nello speculativo, troverebbe una sorta di “nulla”, tanto da restarne frustrato ed aderire, per reazione, al banale.

Non sono affatto d’accordo. Persino l’esempio adottato dalla scrittrice americana, il paragone tra il Male ed un fungo, sembra contraddire, più che confermare, la tesi della Arendt. 

Oggi sappiamo infatti che il fungo non è soltanto ciò che si vede in superficie, quanto piuttosto la vasta rete del micelio, che può estendersi anche per decine di metri sottoterra, mettendo in collegamento altri funghi con gli alberi nelle vicinanze. Il paragone dunque, finisce per essere, suo malgrado, corretto, poiché dimostra sì una tesi, ma quella opposta, ovvero come il Male sia capace di estendersi, in modo poco evidente dall’esterno, restando sotto traccia, tra le anime che lo perseguono.

L’atteggiamento di Eichmann è spiegabile con la pratica costante ed assidua del male. In questi casi, l’Anima si atrofizza, le emozioni si appiattiscono fino a scomparire, come in alcuni disturbi della personalità, di cui forse il gerarca nazista soffriva.

Banalizzare o, peggio ancora, negare l’esistenza del male, è un errore grave, non soltanto dal punto di vista teologico. Anche senza volerlo personificare, al fine di poterlo rendere più tangibile, come è stato fatto sin dall’antichità, il demonio, Satana, o come lo si voglia chiamare, esiste purtroppo, ed è una delle forze che compongono l’Universo.
Poco importa la correttezza della metafora simbolica scelta: se sia stato precipitato sulla Terra, angelo caduto, come vuole la tradizione giudaico-cristiana, o che esso esista dall’alba dei tempi sotto forma di 
Caos primigenio, contrapposto ad Eros, la forza vitale generatrice (Esiodo, Teogonia). Esiste eccome, ed è ben presente attorno a noi, pronto ad entrare nella nostra anima, qualora se ne presenti l’occasione, come recita benissimo il Vangelo di Giovanni: “allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui” (Gv 13,27), un passo che è stato spesso usato per sostenere come Giuda Iscariota fosse semplice strumento nelle mani di Dio, ma che qui, ci interessa soltanto poiché rivelatore di come il male possa effettivamente entrare dentro di noi. Forse Giuda, sino a quel momento, non aveva effettivamente maturato la convinzione di tradire Gesù, ma da quando il demonio entra in lui, non può evitarlo. Questo perché, al di là del boccone dato dal Cristo che, in teoria, dovrebbe sortire l’effetto opposto – l’Eucarestia stava infatti per essere istituita, secondo i tre sinottici – Giuda aveva già dentro di sé l’idea di tradire, ed esistono pensieri che avvicinano al male più di altri.   

Tutto questo non toglie affatto la responsabilità individuale, anzi, la amplifica, poiché senza il nostro consenso il Male non può nulla. Il consenso non è mai esplicito, completamente consapevole, almeno agli inizi, assomiglia piuttosto ad una adesione graduale, uno scivolamento progressivo dell’Anima verso l’oscurità, che lentamente si spegne, perde la capacità di provare emozioni, rendendo così possibili le azioni più efferate ed inumane. Ecco allora spiegato il caso di Eichmann: la sua anima era completamente annichilita dal male, che non è affatto “banale”, se non nel suo nucleo essenziale di assenza d’Amore, ma capace di agire in grande profondità, di compiere il delitto peggiore: spegnere la luce dell’Anima. Si potrà obiettare che il male è banale, in quanto semplice. Non lo è affatto. Esistono infinite sfumature e gradazioni del male: dall’istintiva antipatia verso il prossimo, che ci allontana dalla fratellanza universale e fa da anticamera all’odio, fino all’omicidio di massa, al genocidio. Il Male sa dunque radicarsi sin nel profondo, creando reti molto estese, specie in determinati periodi storici, proprio come fa il micelio del fungo, lavorando in modo sotterraneo.

A dimostrazione della forza e della profondità che riesce a raggiungere il Male, occorre poi notare come, nonostante le persone votate completamente al Male siano davvero poche al mondo, queste possiedono grande capacità di attrazione sull’Umanità. La frase: “non abbandonarci alla tentazione”, contenuta nel nuovo Padre Nostro, ha si corretto un’evidente stortura – il Male non viene da Dio – ma ha anche introdotto l’idea che la tentazione di praticarlo, sia ben presente nella nostra quotidianità. Oggi più che mai.

In copertina: Nannah Arendt, immagine da Testimonianze, rivista fontata da Ernesto Balducci

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Stefano Agnelli

Stefano Agnelli è laureato in Storia Contemporanea, ed insegna materie letterarie negli Istituti di Istruzione Secondaria. Ha pubblicato due raccolte di poesie: “La stagione del sonno fecondo”, Corbo Editore, Ferrara, 2007 e “Turno di notte”, Albatros, Roma, 2011. Ha collaborato con il sito internet Spigolature. Spigoli & Culture, e collabora con la rivista online: Il giornale di Rodafà. Rivista di liturgia del quotidiano.

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PAESE REALE
di Piermaria Romani

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
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