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Hikikomori: gli ex Studenti chiusi in casa, che fare?

Hikikomori (dal termine giapponese “mi ritiro”), così si definiscono gli studenti che abbandonano la scuola e si chiudono in casa per almeno 6 mesi

E’ successo per la prima volta in Giappone che ha una scuola molto selettiva, come del resto è quella cinese, che deriva dai “mandarini”, la classe di funzionari che serviva l’imperatore (fino al 1912) e che per prima nella storia mondiale ha avviato il sistema del “merito” tramite durissime selezioni (pare che solo il 2% passasse gli “esami”).
In Europa sarà l’Inghilterra nel 1853 a introdurre il concorso pubblico per esami (Northcote-Trevelyan), erodendo i privilegi dell’aristocrazia o l’acquisto delle cariche con denaro (e corruzione), nonostante le accuse di introdurre nella libera patria metodi imperiali cinesi.

Giappone, Corea del Sud e Italia sono i tre paesi dove oggi la diffusone degli hikikomori è maggiore al mondo, anche se in Italia è difficile attribuirlo ad una scuola che selettiva non è e si va semplificando. Sono anche i paesi a maggior denatalità, con più figli unici.
E qui forse scopriamo una prima causa. Avere un’infanzia con pochi o nessun con cui confrontarsi e convivere può essere una prima causa, specie se i genitori (quando ci sono, in genere separati nel 50% dei casi) cercano di essere più amici che genitori.

Sempre più soli

Poi c’è la crescente solitudine. Il 73% dei giovani Z (nati tra il 1997 e 2010) si sente “solo”; era 65% per i nati 1981-1996 e 44% per i nati 1955-64.
Noi che siamo nati prima non sapevamo proprio cosa fosse la solitudine immersi in un mare di incontri e giochi, quando eravamo molto più poveri e si andava in parrocchia o nel cortile sotto casa. Luoghi che oggi non sono più frequentati perché nei cortili ci sono le auto e le parrocchie abbandonate.

Gli studenti dei paesi poveri, nonostante siano afflitti da povertà, fame e anche guerre (Indagine di Still I Rise nelle scuole che hanno realizzato in questi paesi) sono più felici e pieni di speranza dei nostri, nonostante tali condizioni.

Studi e associazioni che li seguono li stimano in Italia in 50-70mila nella prima fase (abbandono della socialità), ma c’è che dice siano almeno il doppio (concentrati alle superiori), a cui segue la fase due (abbandono della scuola) e la fase tre (chiusi in casa e senza rapporti coi genitori).

Nell’80% sono maschi adolescenti
e alcuni (detti incel) si radicalizzano contro le donne, diventano misogeni. Quasi tutti passano gran parte del tempo on line di notte (dormono di giorno) nelle loro “bolle” affascinati da piccoli gruppi radicali che hanno le stesse idee (un fenomeno, peraltro, anche degli adulti, che il nostro blog madrugada plurale contrasta).

Scuola ed ansia

Ma il fenomeno più in piccolo interessa moltissimi: studenti che si assentano da scuola per una, due, tre settimane per ansia, perché non volgono essere interrogati, fare brutta figura coi compagni o si rifiutano di essere interrogati. Le femmine subiscono il confronto con l’immagine stereotipa di avvenenti ragazze sui social e si vedono brutte. I maschi sono più inclini alla violenza fisica e al bullismo.

Come ha mostrato tra gli altri Jonathan Haidt (La generazione ansiosa) il fenomeno è in forte crescita ovunque dal 2008 con l’arrivo delle App sullo smartphone che ha favorito lo scrolling, la dipendenza dal digitale al punto che molti durante le poche pause a scuola si isolano per guardare il telefonino. E poi ne fanno un uso intensivo fino alle 4-5 ore al giorno (e anche di notte, quando non c’è il controllo parentale).

Da cui un movimento internazionale che ha portato molti paesi (anche l’Italia) a vietare lo smarphone in classe, a fare educazione digitale che si scontra però con le multinazionali che vogliono ragazzi dipendenti.

Smarphone e Intelligenza Artificiale

Il tema ha un impatto molto più ampio di quel che si crede, perché stiamo parlando dei cittadini della società futura. E’ in corso una lotta tra Cina (e Brics) e Stati Uniti per il dominio mondiale che passa sempre meno da guerre convenzionali ed avvien su altri terreni (competizione commerciale, controllo delle vie dii navigazione, delle terre rare e soprattutto dell’Intelligenza Artificiale). Innovazione formidabile sia per creare dipendenza, sia per potenziare capacità matematiche o di pensiero…dipenderà da come sarà usata.

Cina, Giappone, Sud Corea, Russia, India, USA pensano a scuole selettive, ma non credo sia una buona idea come mostra il modello della Finlandia che fa raggiungere a molti ottimi livelli. Ma, in tal caso, ci vogliono più soldi e idee, solo così la scuola può aiutare tutti a sapere di matematica-fisica, avere capacità pensanti e critiche, lavorare in équipe, individuare per tempo i talenti, personalizzare l’istruzione. Viceversa il modello sarà spendere sempre meno e avere poche università buone, selettive e costose (tipo Bocconi e le americane) in cui una élite governa e guadagna cifre stratosferiche nell’Intelligenza Artificiale e gli altri saranno neo schiavi con bassi salari in democrature o dittature (di fatto o di sostanza).

Che fare?

Innanzitutto bisognerebbe far capire ai politici che la spesa sull‘Istruzione è quella che ha migliori ritorni in termini di sviluppo, poi copiare dalle migliori scuole ed esperienze educative sia in Italia (e ci sono) che all’estero come la Finlandia che da 30 anni mostra le migliori performance nonostante le elementari inizino un anno dopo le nostre (a 7 anni, less is better), imporre regole sull’uso a scuola degli smartphone, educare gli studenti all’uso, ma soprattutto cambiare come si insegna a scuola e avviare un sostegno vero a quel 20-30% che rischia di abbandonare la scuola con una didattica personalizzata davvero efficace che non si limita a far crescere i DSA (semplificando gli studi) o mandare dallo psicologo i “renitenti”, ma proporre nuove attività a scuola (al pomeriggio) in piccoli gruppi (per favorire le relazioni) che siano insieme apprendenti e più attraenti delle App.

Un’offerta formativa di qualità come teatro, clown, laboratori manuali per costruire giochi di valore, viaggi dedicati e tutte quelle occasioni di apprendimento in contesti relazionali di piccoli o medi gruppi così necessarie agli adolescenti oggi privati dei luoghi antichi di socializzazione e che può fare solo la scuola, anche in collaborazione con altri enti o singoli esperti.

Che sono poi le cose che fanno già i genitori ricchi coi propri figli, ma che il 90% non può fare perché sono costose e poi è difficile farle fare in gruppi, cosa che la scuola potrebbe…se avesse i finanziamenti, che non ci sono. Oggi ci si limita a mandarli dal dottore (psicologo/a) e quando va bene uno su dieci e comunque individuare le cause non è come fare quelle attività socializzanti ed entusiasmanti che sormontano ostacoli e App.

Come cambiare la scuola (che è sarebbe l’ideale) l’abbiamo scritto in altri post più volte, ma siccome i partiti non sanno che fare (la destra non vuole spendere soldi anche se abbiano la spesa minore d’Europa, la sinistra non ha una idea se non aumentare i bassi stipendi dei docenti), allora si dà la colpa ai genitori (uno su due separati peraltro) o si chiedono più psicologi (pannicelli caldi) o che la scuola faccia un piano didattico personalizzato (e chi lo realizza senza soldi?), oppure di non bocciare (così si impara sempre meno), o che la famiglia lo ritiri e lo faccia studiare da privatista (con che soldi?), oppure fare gruppo come genitori con altri che hanno lo stesso problema (come se i genitori non lavorassero).
Siamo d’accordo nel passare dalla paura alla speranza, dallo scontro tra genitori e figli alla pazienza, ma senza soldi e idee le riforme non si fanno e così il vero messaggio è “genitori arrangiatevi, dobbiamo spendere per le armi nei prossimi anni”. E così si accentua il nostro declino, anche perchè con le armi i Brics non li batteremo mai più.

Cover: Hikikomori,  foto da Psicologia contemporanea

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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