Skip to main content

Covid-19, un primo consuntivo

Negli ultimi 3 anni, due fenomeni epocali -virus Covid-19 e guerra in Ucraina – hanno dato un colpo senza precedenti a quel modello sociale europeo che tutto il mondo ci invidia. Un capitalismo europeo mitigato nei suoi processi di disuguaglianza e aggressione alla Natura da un diffuso welfare universale (scuola, sanità, pensioni,…), conquistato in tanti anni di lotte e condito di una ricca vita culturale. Anche i servizi e le manifatture erano basate su distretti locali e comunità, caratteristici della vita di qualità italiana ed europea, fatta di belle città d’arte, di borghi storici e di periferie comunque vivibili.

Non a caso la fiction TV di Camilleri su Montalbano è venduta in oltre 65 paesi ed è seguitissima anche nei paesi anglosassoni. Racconta un italian way of life più povera di quella americana, ma più bella, solare ed attraente e risente dell’antica ricchezza culturale, artigianale e artistica degli italiani che sono stati i più ricchi al mondo fino al Rinascimento e alla scoperta dell’America. Ecco perché l’Italia sarà sempre ambita, al di là della sua invidiabile posizione geografica.

Virus e guerra in Ucraina hanno però aggravato un declino già iniziato venti anni fa, quando la nascita dell’Europa si è trasformata dal 2004, e poi dal 2008, da ambizioso progetto politico di un polo mondiale indipendente da Cina e Usa in un mero mercato (più moneta) che ci ha avvicinato al modello americano. Un modello guidato dalle imprese, dai mercati e da quella “società della conoscenza” che ci doveva portare ad essere “l’economia più competitiva al mondo”, come recitavano le promesse europee, forse suggeriteci dagli Americani che avevano però in mano tutte le leve di queste tecnologie.

Oggi ci troviamo invece traditi da quelle promesse. A fronte di una straordinaria crescita della ricchezza monetaria (che Aristotele chiamava crematistica, per distinguerla dall’economia, la buona gestione della casa), il 70-80% dei cittadini (italiani, ma anche americani) ha subito un impoverimento e solo un quarto ha più soldi. Ma è soprattutto una piccola élite di ricchi che ci guadagna.

Il problema è che questa gigantesca estrazione di soldi, avviene anche depredando la Natura, aumentando le disuguaglianze e portando al collasso il pianeta, creando quei disastri climatici che si abbattono su tutti ma soprattutto sui più deboli. Un modello socio-economico del tutto insostenibile, in cui i diritti formali (che rimangono) sono erosi da sempre peggiori condizioni sostanziali. La “libertà di” c’è infatti se hai un minimo vitale.

E veniamo al Covid-19. Non sappiamo ancora se sia nato da un salto di specie (zoonosi) per la dissennata deforestazione in corso (dalla Cina al Brasile), i cui dati sono impressionanti o, come dicono autorevoli virologi (Palù, Fauci …), o sia originato  da un errore di laboratorio dove si sperimentano anche armi batteriologiche.
In 3 anni nessuna misura di contrasto è stata assunta contro questi due processi di morte che proseguono, per cui non è improbabile che dovremo subire altre future ulteriori catastrofi.

Quindi, a maggior ragione, è opportuna una retrospettiva sulle strategie adottate contro la Covid-19, per capire dove abbiamo fatto bene e dove sbagliato.
Non è vero che fosse un fenomeno del tutto inedito, perché nel 1958 e nel 1968 ci furono due pandemie simili con milioni di morti, le cui dimensioni sono analoghe alla attuale, se si considera che la popolazione era ben minore di quella di oggi- Allora non ci fu alcuna contromisura, i giornali e la tv non ne parlarono: altri tempi, altri uomini, altre donne, altri governi.

L’Italia, colpita per prima dopo la Cina, ha scoperto che non aveva un piano di prevenzione aggiornato. OMS Europa e il nostro Governo hanno cercato di nascondere questa gravissima inadempienza, svelata però da OMS Italia che ha pubblicato il rapporto per 24 ore. Già qui troviamo l’origine di molti decessi che non sarebbero avvenuti se solo avessimo avuto le prevenzioni (mascherine, etc.), spedite incautamente due mesi prima in Cina.

Fu Annalisa Malara, 38 anni, anestesista dell’ospedale di Codogno, che scoprì il 20 febbraio 2020 il paziente 1 applicando non le famose procedure, ma quel buon senso che oggi è in totale disuso. Poi, nel più totale caos, abbiamo prima evitato di chiudere la zona lombarda di maggior contagio e dopo, adottato la più antica misura (lockdown o confinamento) con l’ordine di “stare a casa”.
Una strategia applicata tardi e male (senza quelle minime flessibilità che avrebbero consentito col mero distanziamento –come fece la Germania- di evitare ugualmente i contagi, lasciando però libertà minime ma preziose. Se “il lupo rimane fuori dal gregge” la strategia ha una sua efficacia, se il “lupo è già entrato” no.

All’inizio il confinamento poteva essere una strategia comprensibile, considerando la mancanza di un piano pandemico e l’assoluta impreparazione (non a caso è stata seguita da molti paesi), ma disponendo di un caso “polare” (quello della Svezia che non ha fatto confinamenti e ha lasciato “correre” il virus tra bambini e adulti, proteggendo fragili e anziani), possiamo ora valutare l’efficacia a distanza di 3 anni di entrambi i modelli.

La Svezia subì (per questa diversa strategia) un autentico linciaggio mediatico. A differenza di molti paesi, ha un’Agenzia sanitaria pubblica indipendente dal Governo (allora socialdemocratico), che ha seguito le indicazioni del suo responsabile, l’epidemiologo Anders Tegnell (nominato nel 2013), di “convivere con questo virus”, perché (a suo avviso) l’epidemia sarebbe durata almeno due anni (sulla scorta di quanto avvenuto in passato in casi analoghi) e, non avendo un vaccino, un contagio graduale sarebbe stato utile per coloro che non erano né fragili né anziani per sviluppare l’immunità naturale.
Come si ricorderà per tutto il 2020 Tegnell è stato “linciato” dai nostri media per i molti decessi che in effetti c’erano in Svezia, che venivano confrontati non con quelli dell’Italia (ben più alti), ma con quelli dei vicini paesi nordici, i quali avevano decessi molto minori.

Ma Tegnell ha tenuto duro, diversamente da Boris Johnson che, vista la crescita dei decessi, da buon politico ha cambiato completamente linea allineandosi a quella dei confinamenti degli altri paesi, che veniva considerata una migliore strategia.

A distanza di tre anni la Svezia ha però dimostrato che la sua strategia era azzeccata in quanto ha sviluppato nel 2020 una forte immunità naturale di massa che si è andata poi rafforzando col vaccino nel 2021, disponendo così di quella immunità ibrida che oggi viene considerata il migliore “scudo” contro la malattia severa e i decessi. Questo spiega perché anche i paesi nordici, così “virtuosi” nel 2020, hanno avuto un’impennata di morti nel 2021 e soprattutto nel 2022 (più dell’Italia), mentre la Svezia ha quasi azzerato la sua mortalità nel 2021-22.
Risultato: la Svezia do nel complesso dei 3 anni il paese con la minore mortalità in Europa. (Fonte: Eurostat, https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/demo_mexrt/default/table?lang=en ).
Forse qualche giornalista e politico dovrebbe fare le sue scuse al dottor Tegnell

Se l’Italia avesse seguito questa strategia avremmo avuto probabilmente la metà dei decessi.
Una minore mortalità ci sarebbe stata anche se avessimo usato quella che oggi è da tutti acclamata come la principale “trincea” contro un virus: le cure domiciliari. Non avendole introdotte, l’ospedale è diventata l’unica risorsa, producendo tre gravi conseguenze:
a) un assembramento pazzesco che ha raddoppiato i decessi per sovra infezioni batteriche, come documentato da Report e da molti esperti su studi del nostro Istituto Superiore di Sanità (ISS);
b) un aumento di malati che aspettando a casa in base alla procedura consigliata (paracetamolo e vigile attesa) si sono aggravati e sono poi finiti in ospedale o in terapia intensiva;
c) il blocco delle cure per quasi tutte le altre patologie.

Nel 2021 l’arrivo dei vaccini ha ridotto la mortalità in eccesso in Italia da +17% del 2020 a +9,9% del 2021.
La prosecuzione però delle dosi aggiuntive non ha ridotto la mortalità più di tanto nel 2022: +8,7%.

E qui si pone la domanda: come si spiega una mortalità in eccesso per tutte le cause così alta ancora nel 2022 con l’84% di vaccinati?

Una risposta esaustiva non mi pare ci sia. Forse hanno inciso almeno due fattori:
a) il procedere della carenza delle cure domiciliari pubbliche;
b) il collasso delle cure ospedaliere per gli altri malati non Covid. Sono state infatti 100 milioni le mancate prestazioni e prevenzioni in due anni e chi ha rinunciato a curarsi in una struttura pubblica è salito da 3,4 milioni a 5,7 milioni.

Non entriamo nel merito dei danni ai bambini e agli adolescenti con la chiusura di troppi giorni nelle scuole (la maggiore in Europa), effetti che andranno avanti per anni, così come per gli adulti (basti pensare alla crescita esponenziale dei disturbi di ogni tipo e agli 800mila nuovi fumatori).

Non tutto è però, appunto, chiaro se pensiamo al permanere dell’altissima mortalità in eccesso nel 2022 per tutte le cause, nonostante i morti per Covid siano ormai circa 50 al giorno su 1.900 complessivi.
Se dovesse proseguire anche nel 2023 sarà necessario avviare indagini approfondite trattandosi di un fenomeno senza precedenti. Si pensi solo che Finlandia, Grecia e Islanda hanno nel 2022 una mortalità come quella dell’Italia nel 2020.

Per un tempo, seppure confinati, abbiamo assaporato il gusto antico del silenzio, dell’aria pulita, del vivere insieme, la contemplazione del presente e della vita in una società però sempre meno umana.Shock in my town” disse Battiato. Poi hanno prevalso divieti, multe, distanziamento, propaganda e capri espiatori, tutte cose molto lontane dal tornare umani.

Abbiamo anche scoperto che avevamo distrutto in 20 anni la sanità pubblica e in particolare la rete territoriale, che forse non è stato così astuto sconsigliare ai medici di famiglia di visitarci e, se “positivi”, o di stare a casa (e pregare in vigile attesa) o andare al pronto soccorso, in quegli ospedali dove c’erano tanti professionisti valorosi, ma anche tanto assembramento che ha fatto molto male.

Si dovrebbe mettere mano a un piano preventivo sulla base di chi meglio ha agito, ricostruendo quella sanità pubblica (soprattutto territoriale) smarrita con la riforma del 1999 che apriva a privati, tagliando progressivamente risorse al pubblico.
In molti settori i privati, le coop e il privato sociale agiscono anche meglio del pubblico e comunque il servizio pubblico può convivere col privato usando contratti di programma, nella sanità è però centrale il servizio pubblico, essendoci qui una asimmetria informativa (che non c’è in altri settori). E costa anche meno come confermano tutti i confronti internazionali.

Così com’è importante in questo settore il fattore umano, la relazione, il “touch” e non solo il “tech”, nuovo dio che avanza con digitale, smart e telemedicina.
Cara Europa, capisco, come qualcuno diceva 30 anni fa, che “i mercati guidano, i tecnici eseguono e i politici vanno in tv”, ma non c’è solo la quantità, il digitale, i big data, la realtà aumentata, la telemedicina al punto che coi 200 miliardi del Pnrr non si può assumere una sola persona né nella scuola né nella sanità. Solo acquisti di beni e servizi dai privati.

I vaccini sono stati trovati con una strategia denominata “Warp Speed” (acceleratore) che Trump ha ripreso da una vecchia idea di Roosvelt per finanziare alcune armi prima della seconda guerra mondiale.
Lo Stato mette a disposizione delle imprese private un fondo (10 miliardi nel caso dei vaccini) e chi arriva prima, può incassarlo e disporre del vantaggio di mercato perché al suo prodotto sarà data la priorità. Trump affidò questo compito ad una task force guidata da Moncef Slaoui (che aveva lavorato 30 anni alla GlaxoSmithKline), col compito di ridurre i tempi per la ricerca.

Nonostante i dubbi degli osservatori, in soli sei mesi si è arrivati all’approvazione dei vaccini mRna di Pfizer-BioNTech, Moderna e AstraZeneca-Oxford.
Dati i tempi ristretti tempi non furono conclusi gli studi sulle interazioni farmacocinetiche, né di tossicocinetica, di genotossicità, di carcinogenicità che in passato comportavano alcuni anni di ricerca. Ecco perché sono stati approvati in via sperimentale fino al 31.12.2023.

Domanda: perché oggi non si usa la stessa metodologia per introdurre scoperte di interesse pubblico nel campo delle energie rinnovabili, lotta al cambiamento climatico, salute, etc.?

Infine qualcosa sulla “scienza”. John Ioannidis, forse il maggior epidemiologo al mondo (con H-index 238: per riferimento il nostro maggior esperto Palù ha H-index 62) ha detto che “chi ha perso di più durante questi tre anni è stata la scienza”. Sono usciti 300mila studi su riviste scientifiche sul Covid-19 che hanno detto di tutto. Spesso si sono contraddetti come quando per il “bene comune”;

Si è detto che vaccinandoci non avremmo contratto il virus e non avremmo contagiato. Ovviamente la ricerca sperimentale è una cosa seria, soprattutto se rimane tale e non si cerca di farla diventare una pseudo-religione. Religione e spiritualità sono altro ed è bene che non siano sostituite con la scienza, anche quella vera.

tag:

Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it