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Il mercato dei servizi pubblici ha subito molte trasformazioni e alcune non sempre hanno prodotto risultati positivi per il cittadino. Si va verso il miglioramento dei servizi o si incrementa la spinta liberalizzatrice dei soggetti privati? Permangono alcune perplessità e criticità su cui ho già espresso la mia opinione [vedi].
Il sistema dei servizi pubblici locali, nonostante sia al centro dell’attenzione da molti anni sia sul piano delle riforme possibili sia sul suo ruolo, evidenzia posizioni contrastanti; manca una condivisione di politica industriale, di sviluppo sociale ed economico dei servizi pubblici territoriali. Deve crescere la condivisione del servizio pubblico locale in una logica di trasparenza e di sviluppo della qualità. Il bisogno di ‘governance’ nei servizi pubblici ambientali ha infatti portato con sé anche elementi di conflitto tra interessi contrapposti in cui a finalità sociali e di miglioramento della qualità della vita si intersecano e talvolta si contrappongono esigenze economiche di tipo societario. Il settore dei servizi pubblici ambientali, in generale, e il ciclo dell’acqua, in particolare, richiedono che siano garantiti forti principi di regolazione per favorire la prevalenza del sistema integrato e della gestione unitaria. Si tratta allora di rivedere l’intero ciclo dei servizi in una logica complessiva e non di minor costo, orientata verso economie di scala e progetti integrati (quantità adeguata alla domanda e qualità compatibile con la economicità).
L’acqua è, oggi come ieri, un problema di tutti. La presa di coscienza e la mobilitazione dei movimenti di pubblica opinione nei confronti della “crisi dell’acqua” sta però cambiando, e la volontà di riconoscere l’acqua come bene comune, e sostenerne il diritto all’accesso, stanno diventando principi fondamentali. L’acqua è un bene primario profondamente legato all’ambiente, alla salute e alla vita dell’uomo, su cui è necessario affermare il controllo pubblico: dunque, la proprietà pubblica dell’acqua è un principio inderogabile. Non è un prodotto commerciale, bensì un patrimonio che va protetto difeso e trattato come tale.
Questo però non significa che deve essere gratuita. Anzi, il valore, il costo e il prezzo del servizio devono essere tra loro collegati e interdipendenti; i prezzi che riflettono i loro costi danno infatti a tutti (utenti, amministratori e gestori) l’indicazione del valore (e del valore aggiunto) del servizio. Il giusto prezzo, dell’acqua è un importante incentivo per incoraggiare un utilizzo sostenibile dell’acqua stessa (una accurata politica tariffaria regola infatti i consumi e soprattutto dà il giusto valore al bene). L’acqua, anche se è un bene pubblico, deve essere gestita con criteri industriali e fondamentale diventa la centralità dell’individuazione di nuovi livelli di coordinamento (autorità di bacino, autorità territoriali ottimali per il servizio idrico integrato ) in un corretto sistema di pianificazione e di governo delle risorse idriche.
In sintesi i principi base dei sistemi tariffari si potrebbero così riassumere: adeguare le tariffe ai costi del servizio, garantire la qualità gestionale dei servizi, tutelare tutti i clienti-consumatori, impegnare i gestori in investimenti tecnologici e soprattutto funzionali, garantire la qualità gestionale nella erogazione dei servizi e tutelare tutti i clienti-consumatori, compresi quelli del ciclo produttivo, consapevoli che solo ritrovando un equilibrio industriale si può fare crescere il settore.

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Andrea Cirelli

È ingegnere ed economista ambientale, per dieci anni Autorità vigilanza servizi ambientali della Regione Emilia Romagna, in precedenza direttore di Federambiente, da poco anche dottore in Scienze e tecnologie della comunicazione (Dipartimento di Studi Umanistici di Ferrara).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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