Skip to main content

di Grazia Baroni*

In un mondo nel quale sta prendendo piede una struttura burocratica che, anziché fornire un servizio pubblico efficace, si affida al mercato assicurativo privato, la democrazia è in pericolo. Freud aveva previsto il rischio: “le persone sono disposte a cedere gradi di libertà in cambio di una falsa sicurezza”, diceva.
Successivamente il mercato ‘assicurativo’ ha indotto la tendenza alla ricerca di un colpevole che è funzionale alla logica del profitto. Quando si parla di sicurezza bisogna tenere conto che chi la richiede è una persona che o è suddito e non ha nessuna responsabilità, o è cittadino, libero e perciò responsabile. Di conseguenza, bisogna sempre modulare tra la persona che si realizza nella società attraverso una cittadinanza attiva e responsabile e la sicurezza di cui ha bisogno per sé e per chi gli sta attorno. Tuttavia, la sicurezza non deve mai prevalere sulla persona come valore.

Come è arrivata qui la mentalità della sicurezza?
Portando esempi parziali, giocando sull’ignoranza delle persone, confrontando dati non confrontabili e questo è stato fatto dall’informazione sostenuta in parte dai governi, in parte dalle aziende. Con una società sempre più complessa, per il cittadino è difficile raggiungere l’informazione utile e su questo hanno giocato coloro che traggono vantaggio dalla mentalità ‘assicurativa’.
Certo, c’è sempre il rischio che chi ha la possibilità, o per ruolo o per situazioni economiche o sociali, possa giocare sulla buonafede e sull’incompletezza della legge. Ma questo è inevitabile: la libertà comporta rischio. Bisogna accettare il fatto che si può sbagliare. Non prevedendo il futuro, quella di sbagliare è una possibilità concreta.

La convergenza di alcuni fattori culturali, tecnologici e socio-politici, rende urgente la necessità di chiarire il significato di alcune parole fondamentali per la nostra società democratica. Si tratta di termini o concetti che, all’apparenza, sembrano distanti e scollegati, ma che invece interagiscono in un reciproco potenziamento di effetti sulla realtà poco controllabile a causa della complessità e velocità di trasformazione sia nei suoi effetti positivi che, purtroppo, in quelli negativi.

Parliamo di concetti e parole fondamentali e caratterizzanti la nostra realtà, quali:

  • Sicurezza
  • Democrazia
  • Politica
  • Burocrazia
  • Uguaglianza
  • Giustizia

Questi concetti, nel loro interagire, stanno ricomponendosi in modo preoccupante in un pensiero che via via legittima sempre più la sopraffazione di un gruppo di persone sulle altre e che, di conseguenza, finisce per riproporre il modello autoritario del nazi-fascismo come soluzione.
Si deforma il linguaggio perché si usano queste parole sostituendo al significato originale un nuovo significato, oppure scambiando la parte con il tutto o il mezzo con il fine.

Sicurezza. Quando si parla di sicurezza, bisogna tenere conto che quando la si richiede sui luoghi di lavoro, sulle strade o nei trasporti è più che legittima e comprensibile, ma il concetto non deve essere esteso all’ambito del sociale. In questo senso si banalizza il nostro desiderio di vivere in una società accogliente e rassicurante perché pacifica chiamandolo sicurezza.
L’unico modo per rendere la società accogliente ed equa – secondo il modello della polis – è ridurre le ingiustizie sociali e sviluppare le buone relazioni. Per questo si è inventata la democrazia al posto del potere assoluto, per creare un ambiente che permetta questo processo. E’ un processo in positivo e non un processo difensivo.
Chi promette la sicurezza barattandola con spazi di libertà sa di promettere il falso perché non esiste sicurezza assoluta dal momento che il futuro non si conosce. Si può tentare di ridurre il rischio ma non promettere la sua totale e permanente eliminazione.
E’ solo dando a ciascuno pari opportunità – e quindi la possibilità di accedere ai servizi per sviluppare le proprie aspirazioni – che si arriva a una convivenza non solo pacifica, ma gratificante. Una persona soddisfatta della propria esistenza non accumula rabbia e non cerca capri espiatori.
Ma restiamo consapevoli che neanche così si elimina il rischio che qualcuno scelga di sopraffare un altro. L’uomo è tale proprio in quanto libero di scegliere.

Democrazia. Per il secondo termine, la democrazia, si scambia il mezzo con il fine, definendo come democrazia il metodo del voto a maggioranza. La democrazia è, invece, la costruzione di uno spazio di libertà comune per l’esercizio delle libertà personali per cui, nella molteplicità delle proposte possibili per raggiungere questo obiettivo, si usa il metodo di scegliere quello che la maggioranza dei cittadini riconosce come la via da percorrere.

Politica. In questa logica di ambiguità del linguaggio la politica, che è l’arte dell’uso della parola e del confronto – inventata per sostituire la guerra come metodo per conquistare e controllare un territorio – viene invece usata come esercizio del potere attraverso la corruzione e la distribuzione di privilegi.

Burocrazia. Viene usata come sinonimo di insieme dei servizi amministrativi, necessari per la gestione di uno Stato democratico, quando invece è una struttura che nasce perché un potere centralizzato abbia possibilità di controllo sull’intero Stato.
La burocrazia si rende apparentemente funzionale alla democrazia attraverso il concetto di uguaglianza dei cittadini che però riduce il cittadino ad una unità quantitativa. Riducendo il cittadino a un numero si permette la standardizzazione della procedura che è quella che certifica il funzionamento del servizio.
Essendo la procedura la garante del funzionamento del servizio, chi lavora nella burocrazia è solo responsabile di rispettare la procedura, quindi, in questa organizzazione perversa sparisce l’esercizio della responsabilità personale, negando in questo modo la democrazia nella sua essenza.

Uguaglianza. Questa parola ha due effetti perversi: uno il ridurre il soggetto a numero, l’altro il mettere in evidenza le differenze come qualcosa di negativo. Insomma, la diversità marca una distanza e una contrapposizione, anziché sottolineare il valore dell’unicità del soggetto.
La diversità, vista come valore negativo, spinge a fare tribù, a riconoscersi tra simili, perché la solitudine fa paura, e quindi porta a fare gruppo attorno a ciò che si sceglie come valore del simile, che sia il colore della pelle, la divisa o la lingua.
Alla democrazia, invece, sarebbe omogeneo il concetto di parità perché riconoscerebbe il cittadino come un soggetto unico e portatore di valori e di diritti al pari di tutti gli altri cittadini. L’unicità non permetterebbe la standardizzazione ma pretenderebbe sempre l’armonizzazione della norma alla singolarità di ogni cittadino.

Giustizia. Con la parola giustizia si definisce il desiderio umano dell’essere riconosciuti nella propria singolarità e di vedere le cose collocate al loro giusto posto; invece oggi si utilizza per indicare l’insieme delle leggi che definiscono il limite a comportamenti oltre i quali si retrocede dal livello di civiltà raggiunto. Se si sovrappone al desiderio di giustizia il valore sanzionatorio della legge si arriva al giustizialismo o allo sterminio del diverso.

Avvicinandosi il giorno delle elezioni sfruttando gli avvenimenti violenti di Macerata, o strumentalizzando e alimentando la paura dei flussi migratori, il tema della sicurezza diventa sempre più dominante. Si promette sicurezza proponendo leggi di esclusione di categorie e di gruppi sociali, di controllo di polizia e di territorio, modelli che ripropongono schemi nazionalisti e una società classista piramidale che non hanno niente a che fare con la democrazia.

Siamo sicuri che sia realistico pensare che un governo autoritario porti sicurezza?
E’ sicuro un mondo dove ogni comportamento è codificato e quindi nessuno è responsabile?
E’ certo che sia più sicuro un mondo nel quale si permette a chiunque di farsi giustizia da sé?
E’ auspicabile un mondo nel quale si toglie ai bambini e ai giovani il loro spazio di esperienza perché non c’è nessuna assicurazione che voglia coprire il rischio che comporta la loro vitalità?
E’ un mondo che risolve o che crea i problemi?

Tra la burocrazia e la sicurezza siamo arrivati a una società impersonale, senza responsabili, ma composta solo da colpevoli contro i quali soltanto la legge potrà fare ‘giustizia’.
La realtà umana e la società sono complessità che non possono essere semplificate. Bisogna rispettarle e conoscerle. Ci vogliono partecipazione e impegno da parte di ciascuno per risolverne le incompiutezze e migliorare il mondo.

*Grazia Baroni, è nata a Torino nel 1951. Dopo il diploma di liceo artistico e l’abilitazione all’insegnamento si è laureata in architettura e ha insegnato disegno e storia dell’arte nella scuola superiore durante la sua trentennale carriera. Ha partecipato alla fondazione della cooperativa Centro Ricerche di Sviluppo del Territorio (CRST) e collaborato ad alcuni lavori del Centro Lavoro Integrato sul Territorio (CELIT). E’ socia e collaboratrice del Centro Culturale e Associazione Familiare Nova Cana.
Dal 2016, anno della sua fondazione, fa parte del gruppo Molecole, un momento di ricerca e di lavoro sul bene, per creare e conoscere, scoprendo e dialogando con altre molecole positive e provare a porsi come elementi catalizzatori del cambiamento.

tag:

Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it