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20 Novembre 2023

ACCORDI
Autumn Baby

Tempo di lettura: 2 minuti


Al pari del cibo e della moda, la musica ha anch’essa una stagionalità ben definita: associamo istintivamente il tormentone reggaeton all’estate, la voce di Michael Bublé al Natale e i singoli sanremesi all’inizio della primavera. Ci sono brani e album così impregnati delle sensazioni tipiche di una stagione – vuoi per il titolo, vuoi per l’andamento – che difficilmente si prestano a essere ascoltati in altri periodi dell’anno.
In questa categoria non dovrebbero rientrare quei dischi che la critica definisce pietre miliari o capolavori, dei quali si consiglia l’ascolto in qualsiasi occasione. Ho usato il condizionale poiché in questi ultimi giorni mi sono ritrovato ad assaporare i colori fortemente autunnali di una delle suddette pietre miliari, ossia Achtung Baby degli U2, che ha da poco compiuto trent’anni.

Pubblicato il 18 novembre 1991, Achtung Baby è quello che oggi definiremmo un reboot. Gli U2, infatti, vanno punto e a capo: riducono al minimo i riferimenti biblici e le sonorità epiche dell’esperienza americana, giocando con la teatralità sensuale del rock e la scena elettronica della Berlino post-muro. Il risultato è una sensazione di disincanto, in cui si fa fatica a scorgere quella romantica ricerca dell’ignoto che aveva contraddistinto il decennio precedente. Insomma, è un hangover necessario: dopo l’estate speranzosa e luccicante degli anni ’80, ci si risveglia nell’autunno decadente dei ’90.

Persino il brano più celebre di quell’album, nonché dell’intera discografia degli U2, non parla d’amore, bensì di separazione. One è infatti un dialogo in cui due amanti mettono a nudo l’instabilità emotiva della loro relazione, così come So Cruel e Love is Blindness lasciano all’ascoltatore l’amara consapevolezza della finitezza dell’essere umano e dei suoi vincoli.
Un altro dialogo piuttosto cupo è quello tra Giuda e Gesù in Until the End of the World: com’è intuibile dai protagonisti, il tema del brano è il tradimento, sviscerato attraverso rimpianti, accuse e allusioni sessuali.

Il mio primo approccio con Achtung Baby risale al 2004, nel pieno della mia adolescenza. Ricordo di aver comprato il disco in un caldo pomeriggio di primavera e di essermi sdraiato in giardino ad ascoltarlo. Il risultato? Non colsi nessuna delle sfumature di cui sopra, e rimasi perlopiù affascinato dalla melodia di Who’s Gonna Ride Your Wild Horses. Ci ho messo un bel po’ ad apprezzare il resto.

Il mio ultimo ascolto, invece, risale a due giorni fa: in macchina, da solo, immerso nella nebbia della pianura padana. È stato come se le luci rarefatte, il buio accogliente dell’abitacolo e il suono delle gomme sul fogliame bagnato fossero parte dell’esperienza d’ascolto. Sì, Achtung Baby somiglia a una fredda e umida riflessione autunnale, figlia dell’estate che l’ha preceduta e madre dell’inverno che verrà.

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Paolo Moneti

Sono un pendolare incallito a cui piacciono un sacco le lingue straniere e i dialetti italiani. Tra un viaggio e l’altro passo il mio tempo a insegnare, a scrivere articoli e a parlare davanti a un microfono. Attualmente collaboro con Eleven Sports, Accordi & Spartiti, Periscopio e Web Radio Giardino.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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