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Chi di voi segue il tennis da un bel po’, o comunque ha assistito da spettatore a qualche partita sulla terra rossa, si sarà imbattutto/a prima o poi nell’incipit di un brano spagnoleggiante che negli ultimi vent’anni è diventato il coro più gettonato sugli spalti del Roland Garros.

Quel brano si intitola En er mundo ed è un famosissimo paso doble, ossia una danza di origine spagnola che si balla in coppia: la musica è solitamente ritmata e coinvolgente, e i movimenti teatrali dei due ballerini si ispirano alle performance dei toreri. Non a caso, il primo utilizzo di questo tipo di musica non avvenne nelle sale da ballo, bensì durante le corride, e precisamente nel momento della sfilata iniziale delle cosiddette cuadrillas, che in pratica sono le squadre di aiutanti dei singoli toreri.

Il pezzo in questione fu scritto nel 1930 dal pianista, nonché compositore per il cinema, Juan Quintero Muñoz e dal violinista Jesús Fernández Lorenzo; pare inoltre che fosse dedicato a un sassofonista cubano con cui lo stesso Muñoz condivideva, spesso e volentieri, il palco nei teatri di Madrid. Se cercate En er mundo su YouTube o su Google ne troverete tantissime versioni, anche se una delle più conosciute e apprezzate dal pubblico spagnolo è quella che accompagna due scene di un film del 1983 intitolato El sur, diretto dal regista Víctor Erice

Detto ciò, la domanda sorge spontanea: come ha fatto questo benedetto paso doble ad arrivare fino agli spalti del Roland Garros, e di conseguenza a diventare uno dei cori di incitamento più riconoscibili del tennis contemporaneo?

Innanzitutto, c’è chi sostiene che il paso doble derivi da una marcia militare francese di fine 1700 chiamata pas redoublé, che vuol dire infatti “a passo raddoppiato”. L’origine francese del paso doble sarebbe comprovata dal fatto che i nomi dei passi che lo caratterizzano sono per l’appunto in lingua francese; anche se poi, come abbiamo già osservato, la danza di per sé trae ispirazione dalla teatralità della corrida. È per questo che negli stadi e nelle arene del tennis, al “popporopo” lanciato dal singolo spettatore, o dalla singola spettatrice, segue sempre un “olé”.

In alcune regioni del sud della Francia, dove tutt’oggi vanno in scena delle corride, il paso doble è ben presente nella cultura popolare; così come lo era nella vibrante e avanguardista Parigi di inizio 1900, in cui i cabaret e le sale da ballo proponevano i primi spettacoli di paso doble in Europa. Quindi, c’è un legame tra questo tipo di danza e la Francia, così come c’è un legame tra il brano En er mundo e gli stadi francesi.

Tutto è cominciato durante la Coppa del Mondo di Rugby del 2007, svoltasi per la maggior parte nel paese transalpino: durante quel torneo l’incipit di En er mundo divenne sempre più popolare, non solo tra il pubblico francese, ma anche, ad esempio, tra quello neozelandese e soprattutto quello gallese – che con il passare degli anni l’ha adottato in pianta stabile, ed è oggi una presenza fissa al millenium stadium di Cardiff.

Ovviamente, durante una partita di rugby o di calcio non c’è lo stesso silenzio che vige sui campi da tennis; quindi, il già citato “popporopo” non può essere lanciato a voce da una singola persona poiché in pochi lo sentirebbero: viene riprodotto dagli altoparlanti dello stadio durante le pause e i festeggiamenti in caso di meta, oppure da un tifoso o da un tifosa che si porta dietro una tromba e suona quel benedetto incipit al momento giusto.

Insomma, è un modo come tanti altri per fare un po’ di festa e coinvolgere il pubblico, e da quasi vent’anni ci fa compagnia, o ci dà fastidio – dipende dai punti di vista – perlopiù durante la stagione sulla terra rossa.

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Paolo Moneti

Sono un pendolare incallito a cui piacciono un sacco le lingue straniere e i dialetti italiani. Tra un viaggio e l’altro passo il mio tempo a insegnare, a scrivere articoli e a parlare davanti a un microfono. Attualmente collaboro con Eleven Sports, Accordi & Spartiti, Periscopio e Web Radio Giardino.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
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PAESE REALE
di Piermaria Romani


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