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Due vite, quella di Nicola e quella di Irene che non si conoscono e che in una notte di fuochi d’artificio finiranno per sfiorarsi, poi chissà.
Mancarsi (Einaudi) di Diego De Silva è lo scorrere dell’esistenza che per quanto la determinazione e la volontà provino a indirizzarla, prenderà un’altra piega. La vita sterza all’improvviso, Nicola la subisce, Irene prova a cavalcarla. I matrimoni di entrambi saltano, quante cose lui non aveva mai detto a sua moglie, finchè c’era, pensieri camuffati per compiacenza e perchè è difficile dire esattamente quel che si pensa e che libererebbe da un peso enorme che finirà per generare altra incromprensione, altre reticenze schiave dell’autocensura. Nicola, rimasto solo, compila scientificamente l’elenco degli errori che ha commesso con sua moglie, brandelli di vita coniugale catalogata per sbagli, tra cui lasciare le cose come stavano e l’avere pensato che lei contasse più della felicità.
Irene ha cominciato a prendere la vita a partire da quello che non vuole. Non vuole più ridere per finta, come faceva un tempo quando ridere riempiva un imbarazzo o un silenzio perchè a forza di smussarsi e adattarsi perdendo un’originaria autenticità, si diventa “brutte copie di se stessi”, pian piano si spengono passioni e desideri. Così era stato nel suo matrimonio, avevano perso confidenza e si erano allontanati.
Non c’è un momento preciso in cui capita che un pezzo di rapporto si perda per strada, però poi ci si accorge che di pezzi non ce ne sono quasi più, si smette di interessarsi all’altro, si comincia a farsi un po’ da parte fino a non esserci, in mezzo solo un abisso.
E anche quando si comprende l’errore e lo si isola e viviseziona alla ricerca di tutti i suoi perchè, questo servirà a non ripeterlo? “Non siamo buoni docenti di noi stessi e le lezioni che crediamo di imparare sono imprecise e, in buona misura, truccate”. L’autoinganno è una forte tentazione, si sa. Solo il caso ci fa apprendere inciampando nella vita. Il “buon senso” a cui ci si appella nelle scelte è una comoda stampella, ma non è altro che calcolo, misura, valutazione delle possibilità, sta dall’altra parte rispetto alle aspirazioni, all’impulso e alla scintilla del cambiamento che non hanno argomenti a confronto, il buon senso ridimensiona, l’impulso spinge oltre senza la certezza del risultato.
Nicola e Irene hanno in comune un bistrot. Per Nicola è un luogo del passato in cui tornare fa male perchè rappresenta la sua vecchia quotidianità familiare finita di colpo. Per Irene è il posto scelto come punto di osservazione delle vite degli altri, è dove compila il suo personale catalogo degli uomini, una tassonomia di genere che le serve da discalia nell’approccio degli uomini. C’è il tipo alla Colin Farrel, alla Johnny Deep o alla Geroge Clooney, basta saperli riconoscere.
Una sera di festa, in un orario insolito, Nicola va al bistrot, anche Irene ci capita, deve scrollarsi di dosso l’inutilità di essersi concessa, quella sera, a un uomo che nemmeno voleva.
Lei non capisce perchè quella sensazione, come qualcosa che le stia arrivando addosso, lui non capisce perchè quel richiamo, come un invito che solo lui sente: si gira e la vede.

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Riccarda Dalbuoni

È addetto stampa del Comune di Occhiobello, laureata in Lettere classiche e in scienze della comunicazione all’Università di Ferrara, mamma di Elena.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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