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Festivaletteratura 2023: dai nostri inviati a Mantova
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Vite di carta. Festivaletteratura 2023. Dai nostri inviati a Mantova
Giovedì mattina per tempo Antonella, che come me da tanti anni viene a prestare servizio al Festivaletteratura, è andata a ricevere a Malpensa Miguel Bonnefoy. Nel viaggio in auto per Mantova ha parlato in francese con lui, lo ha aggiornato su come sta andando l’edizione n.27.
Antonella dice che nello spazio di un trasferimento come questo si può capire molto della sostanza umana di un autore, specie se, come è accaduto oggi, lo si trova in vena di conversare e non è troppo stanco. Da anni va ad accogliere quelli che vengono in aereo, anche da molto lontano.
Poche ore dopo sediamo a pranzo in tre: la mia amica Maria, compagna storica delle avventure mantovane, e io siamo arrivate da poco da Ferrara, pronte a mescolare nei nostri discorsi il piacere di ritrovare le conoscenze preziose che ci siamo fatte negli anni con i programmi ghiotti per le due giornate in cui saremo qui.
Ne parlo ora che sono già rientrata a casa, come ogni volta entusiasta, mentre scorro il programma dei due ultimi giorni, che una antonomasia inveterata chiama “il sabato” e “la domenica” del Festival, e assaporo gli incontri che mi sono persa ieri e che oggi, domenica, davanti al pubblico più numeroso, sono come il botto finale di questa edizione.
Alle 18.30 in Piazza Castello il giornalista Wlodek Goldkorn intervista, dopo dieci anni dalla sua partecipazione al Festival, la scrittrice polacca Olga Tokarczuk, insignita del Nobel per la letteratura nel 2018. Cosa è cambiato nella sua scrittura in questi dieci anni, e quale persistenza hanno mantenuto nei suoi libri le questioni sui confini nel mondo, sia fisici che ideologici, o ancora la questione ambientale e femminile: questo mi perdo.

Se oggi fossi lì potrei dare un altro saluto ai ragazzi “Ariosti” del gruppo Galeotto fu il libro, che prestano servizio in questa postazione e che già venerdì ho trovato provati ma felici della loro esperienza.
Solitamente i grandi nomi si alternano in Piazza Castello e a Palazzo San Sebastiano, in realtà si incontrano in ogni luogo della città reclutato per il Festival: è possibile selezionare eventi proprio sulla base degli autori che vi intervengono, oppure del tema, o della materia che più interessa.
Ovunque sono messe al centro le parole che definiscono il mondo, per “ricucirne il senso, misurarne la tenuta e farne dialogo”, come si legge nell’incipit del programma cartaceo che ormai ho segnato e riempito di chiose e segnalibri. Dalle parole del mutamento climatico a quelle della economia e dei diritti, in senso lato direi della cittadinanza dentro la conoscenza.
Se oggi fossi lì non rinuncerei a La letteratura come motore del mondo, l’evento n.146 all’Aula Magna dell’Università. Oppure andrei a sentire uno dei contributi dedicati a Michela Murgia, che nel programma si trovano distribuiti in più giornate col suo nome tra gli autori come se fosse (ed è) presente. Talvolta conta restare nella stessa zona della città per riuscire a incastrare un evento in più nel proprio programma della giornata.

Ho usato tutte queste bussole soggettive, nel tempo. Tanto da Mantova è garantito che si torna con idee nuove e nuovi volti incontrati, si torna con idee rafforzate e meglio declinate dentro la mappa del sapere personale. Si portano a casa anche dissonanze, che però si tramutano in libri da leggere per capire meglio, in supplementi di informazioni a cui accedere per riposizionare idee nuove e vecchie.
Stavolta ho battuto la pista della narrativa della migrazione, ma con connotazioni narrative nuove. Ho conosciuto l’autore statunitense Ken Kalfus e gli ho potuto domandare da quale dei suoi sette romanzi cominciare a leggerlo; è stato durante l’intervista riservata alla stampa, c’era il tempo per porgli una domanda un po’ inusuale, che lui ha definito interessante.
E si è messo a parlare distesamente degli suoi libri più recenti, finendo per segnalarmi Uno stato particolare di disordine, “il più americano” dei romanzi che ha scritto, in cui ha raccontato come sono gli USA oggi attraverso la vicenda personale di una coppia nel giorno dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001.
Di Kalfus mi è piaciuta la prospettiva originale da cui afferma di guardare il proprio paese: e se il mondo facesse a meno degli USA? E se raccontare la migrazione che interessa il paese partisse da coloro che se ne vanno verso le altre parti del mondo? Che lasciano un’America piena di contraddizioni e, come sostiene nel suo ultimo Le due del mattino a Little America, si trova esposta ai pericoli di una nuova guerra civile.
Non mi sono sfuggite le parole “parodia” e “leggerezza” con cui Kalfus ha espresso la sua ammirazione per Calvino; il Calvino a cui presso il Liceo Virgilio è dedicata un’attività di lettura giocosa, Ludmilla, dal nome della inafferrabile protagonista di Se una notte d’inverno un viaggiatore.

Che intensità nell’incontro di giovedì sera (evento n.64) di Simonetta Bitasi con la scrittrice italo-bosniaca Elvira Mujčić e lo scrittore albanese Gazmend Kapllani: dai loro romanzi esce lo spaesamento di chi è tornato nel proprio paese dopo essere stato fuori a vivere l‘altrove. Dai Balcani si fugge, come insegna tanta letteratura sulla migrazione e sulla nostalgia, tuttavia chi come Kapllani è tornato ci avverte che “non ritrova mai quello che ricordava”.
Maria ha acquistato entrambi i libri, La terra sbagliata di Kapllani e La buona condotta di Mujčić, come me colpita dalla lucidità dello sguardo e dalla forza che deve avere la loro narrazione, alla ricerca della convivenza possibile tra albanesi e serbi su cui si interroga quest’ultimo romanzo, in un paese come il Kosovo.
Ho conosciuto una scrittrice del nostro Novecento, Dolores Prato, che l’evento n. 79 ha fatto uscire dall’ombra per restituirle il plauso che le spetta grazie soprattutto alla scrittura straordinaria di Giù la piazza non c’è nessuno, il romanzo autobiografico sulla sua solitaria e aspra infanzia vissuta nell’entroterra marchigiano, che è stato pubblicato nel 1980 quando lei aveva quasi novant’anni e dopo una lunga vicenda editoriale, in cui ha avuto parte anche Natalia Ginzburg.

Sono andata a sentir parlare del mondo del lavoro soprattutto giovanile, del mare di Lecce nella valorizzazione programmata dalla amministrazione comunale, delle carceri in Italia. Mi preme dire quanto mi ha colpito la lingua pregnante e scabra di Luigi Manconi nella interlocuzione verace con Zerocalcare, le sue parole di una nettezza feroce sulla infantilizzazione a cui sono sottoposti i detenuti, sulla distanza siderale delle nostre carceri da parole quali dignità, rieducazione, umanità.
Molto mi è successo nel “giovedì” e nel “venerdì” di immersione mantovana. Molto sta succedendo oggi. Mi sembra già di sentire i rumori della festa dei volontari, quella della domenica sera che si tiene alla mensa del Festival e che si conclude anche ballando sui tavoli, mentre dagli altoparlanti esce un rassicurante “Arrivederci alla edizione del prossimo anno!”
Nota bibliografica:
- Gazmend Kapllani, La terra sbagliata, Del Vecchio Editore, 2022 (traduzione di Ermal Reena e Rossella Monaco)
- Elvira Mujcic, La buona condotta, Crocetti Editore, 2023
- Ken Kalfus, Uno stato particolare di disordine, Fandango, 2006 (traduzione di Monica Capuani)
- Ken Kalfus, Le due del mattino a Little America, Fandango, 2022 (traduzione di Monica Capuani)
- Dolores Prato, Giù la piazza non c’è nessuno, Quodlibet, 1980 (a cura di Giorgio Zampa)
In copertina: la Libreria del Festivaletteratura 2023. Tutti gli scatti sono state dell’autrice.
Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice
Roberta Barbieri
Caro lettore
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .
Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line, le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.
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Francesco Monini
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