Vite di carta /
Ah, le aspettative
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Vite di carta. Ah, le aspettative
Mi sta succedendo quasi regolarmente. Ogni volta che le amiche lettrici mi raccomandano un romanzo che le ha conquistate, mi do da fare per procurarmelo e lo leggo con buona disposizione. Salvo poi sentire un gradimento che da caldo si fa tiepido tiepido. A volte il finale del libro mi dà il colpo di grazia e devo concludere che non mi è piaciuto per niente.
Ho letto La levatrice, il romanzo d’esordio di Bibbiana Cau, e mi sono solo intiepidita, per fortuna.
La storia è avvincente e ci trasporta nella Sardegna di inizio Novecento, negli anni della prima Guerra Mondiale. Spazio e tempo sono lontani quanto basta per delegare all’eroina la nostra ineliminabile voglia di catarsi: Mallena fa nascere i bambini del proprio paese e di quelli vicini senza mai ricevere un compenso, è una donna con un passato da cui è fuggita precipitosamente e che vorrebbe dimenticare, ha un marito a cui è profondamente legata ma lo vede tornare invalido dalla trincea e lo cura disperatamente, indebitandosi.
Il peso della famiglia e dei due figli, la diffida a fare la levatrice non avendo il diploma e la invalidità dolorosa del marito le gravano sul cuore ogni giorno di più.
Ha una sensibilità non comune, Mallena. Mentre cammina di giorno e di notte per raggiungere le case dove è stata chiamata ad aiutare le partorienti sa guardarsi intorno e vedere la natura con occhi partecipi. Sa riconoscere i profumi delle piante e delle erbe che vanno bene per farne infusi miracolosi.
Forse questa che la ritrae nel contesto della sua Sardegna è la parte meglio riuscita del libro. Si vedono sullo sfondo, infatti, i modi di vita e la mentalità del tempo, atavici e naturali, nella povertà cruda in cui vivono i popolani. Si vede la cultura racchiusa nei proverbi sardi, la ritualità del quotidiano dentro le case col pavimento in terra battuta e fuori, nei campi dove pascolano le pecore.
Poi, gli accadimenti si accaniscono sulle spalle di lei. Troppi. Percepisco che vorrei sottrarne qualcuno all’intreccio, agire per sottrazione.
La catarsi di chi legge intanto si è consumata e la protagonista ancora incassa colpi. Si fa vivo anche l’uomo violento a cui i genitori l’avevano promessa in sposa e che l’ha costretta a fuggire dal suo paese unendo il proprio destino a un marito buono che la rispetta.
A questo punto l’intreccio si è intricato fino a sembrare insolubile. Per fortuna l’uomo del passato, noto ormai come pericoloso malvivente, resta ucciso poco dopo averla approcciata con terribili minacce.
Come nella tragedia greca, interviene anche un deus ex machina che scioglie il problema economico in cui si dibatte Mallena. Il deus ha la forma dei soldi, tanti, che le vengono donati da un uomo misterioso da lei soccorso tempo prima nel bosco. Ci può comprare le medicine costose per il marito, può provvedere alle necessità della famiglia, anche e soprattutto quando il suo Jubanne muore.
La quarta di copertina promette che la storia finisce lasciando il posto alla speranza. Non è però una speranza che venga dalle leggi degli uomini: lo stato non riconosce Mallena come levatrice autorizzata, può solo chiudere gli occhi davanti all’esercizio che lei continuerà a fare, chiamata con fiducia dalle donne del suo paese che invece hanno ignorato la levatrice diplomata venuta da fuori. La ripresa per la protagonista non viene dall’esercizio di un diritto, ma da un colpo di fortuna.
Fortuna per fortuna, magia per magia, mi viene in mente la figura misteriosa che anima un altro libro scritto da un autore sardo nei primi anni 2000. Lo scrittore è Salvatore Niffoi e la figura femminile è quella di Redenta Tiria, donna straordinaria che arriva in un paese dove gli uomini si danno la morte impiccandosi con la cinghia dei pantaloni e le donne usando la fune.
Lei riesce a cambiare le cose, a “tagliare la lingua alla Voce” che li spinge al suicidio, a metterli di fronte alla vita.
La leggenda di Redenta Tiria ha intorno lo stesso contesto del mondo sardo, Redenta è una donna che abita il misterioso confine tra la vita e la morte.
Mallena Devaddis è donna altrettanto speciale, donna della vita a cui accompagna i nascituri.
Tra la vita e la morte si muove anche Tzia Bonaria, la sarta protagonista di Accabadora, il romanzo di Michela Murgia (di cui ho parlato in questa rubrica in Vecchie vestite di nero) in cui per chi non ha più speranza di guarigione arriva la portatrice di una morte pietosa.
Che dire? La narrativa di ambientazione sarda, con le donne per protagoniste – probabilmente un lascito di Grazie Deledda – esercita un fascino potente, al di là dell’abbondante realismo adottato da Bibbiana Cau e forse proprio attingendo alla sfera del magico.
Nota bibliografica:
- Bibbiana Cau, La levatrice, Nord, 2025
- Salvatore Niffoi, La leggenda di Redenta Tiria , Adelphi, 2005
- Michela Murgia, Accabadora, Einaudi, 2009
Cover: https://pixabay.com/it/images/search/nuovi%20nati/
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