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“Agenda Knowledge for Development” è il documento che l’Assemblea Generale dell’Onu ha pubblicato lo scorso marzo, dopo il Knowledge Cities World Summit celebrato nell’ottobre 2016 a Vienna e in attesa di quello che si terrà a giugno di quest’anno ad Arequipa in Perù.
Contiene gli obiettivi per uno sviluppo sostenibile, per affrontare i problemi che sono di fronte alla comunità mondiale, dalla povertà, alla disuguaglianza di genere, al cambiamento climatico. Una agenda mondiale che per la prima volta mette insieme gli sforzi dei paesi sviluppati e di quelli in via di sviluppo in grado di influire sulle politiche e le pratiche di crescita da qui al 2030.
Nonostante ormai da tempo la conoscenza sia universalmente riconosciuta come il motore principale della crescita e dello sviluppo, paradossalmente, il potenziale di trasformazione e di creazione di valore basato sulla conoscenza rimane in gran parte inutilizzato. Questo accade perché non abbiamo modificato il nostro modo di pensare, la nostra scala di valori, precisamente perché continuiamo a guardare al mondo come se fosse quello di ieri, con la stessa cassetta degli attrezzi che ci ha lasciato l’era industriale, che sarà pure alle nostre spalle, ma continua ad abitare le nostre menti ed a suggerirci le risposte, quelle sbagliate, ovviamente. Di conseguenza si è praticata un’idea di produzione della ricchezza incentrata sullo sfruttamento delle conoscenze, come l’uso intensivo di scienza, tecnologie, innovazione, infrastrutture digitali, istruzione e capitale umano altamente qualificati. Tutto ciò si sta rivelando insufficiente per affrontare le sfide complesse che abbiamo di fronte, viviamo uno stallo senza precedenti, gli squilibri sociali e ambientali sono in espansione e la vitalità dell’ecosistema globale è seriamente compromessa.
La società della conoscenza, la società che fonda profilo e natura dello sviluppo sul valore e la qualità delle conoscenze non è un’edizione nuova del sistema di ieri. Presuppone un’altra gerarchia di valori a partire da una scommessa sull’uomo, sulle sue capacità di costruire una società che ha coscienza di se stessa e in grado di auto-regolarsi.
Il documento dell’Onu suggerisce l’idea che non esiste società della conoscenza, se la conoscenza non si fa ecosistema. Non è sufficiente usare e sfruttare i saperi, non c’è valore sociale ed economico senza la diffusione dei saperi, una diffusione in grado di tessere una società della conoscenza pluralistica ed inclusiva, una diffusione indispensabile per gli individui, le imprese, i governi, la comunità mondiale e quindi parte intrinseca di ogni idea e sforzo per affrontare le sfide del futuro.
L’agenda dell’Onu si rivolge ai singoli individui, alle famiglie, alle comunità, alle organizzazioni e alle imprese, alle amministrazioni pubbliche locali, nazionali e mondiali. Il progresso della società della conoscenza è nelle loro mani, nelle mani di ciascuno di noi, delle istituzioni e delle imprese: la società della conoscenza come risorsa al servizio non di interessi particolari, ma al servizio degli individui, dell’intera umanità e del suo destino.
Ecosistema della conoscenza significa vivere in una società capace di connettere le diverse conoscenze che possiedono le persone, le organizzazioni e le istituzioni, fornendo a tutti opportunità e parità di accesso ai saperi. La conoscenza come ambiente, come sistema ambientale in cui vivono i cittadini del mondo, uomini e donne, che di questo sistema ne costituiscono il cuore, l’ossigeno e i polmoni, dove la conoscenza di ciascuno è la condizione perché il sistema funzioni e il suo funzionamento dipende dal potenziale che ognuno di per sé costituisce, come dal buon funzionamento di tutti gli elementi del sistema dipende la vita e il futuro di ciascuno.
Società non più della conoscenza e basta, ma ambiente di saperi e di apprendimenti in una relazione reciproca tra individui, istituzioni, imprese, organizzazioni, governo e infrastrutture.
Ecosistemi sani di conoscenza, con un’istruzione di alta qualità per tutti, libertà di espressione e creatività, accesso universale all’informazione e ai saperi nel rispetto delle diversità culturali e linguistiche, contro ogni tentativo di abusare dell’ignoranza o di abusare della conoscenza da parte di singoli e gruppi che mirano ad indurre in errore con impatti dannosi sul pubblico più vasto.
Ecosistemi sani di conoscenza fondati sulla comunicazione e sulla collaborazione, su orientamenti comuni e obiettivi condivisi. Centrati sulle competenze, in grado di fornire a tutti i soggetti sociali le capacità per padroneggiare sfide e opportunità, anziché saperi focalizzati settorialmente nel mondo accademico, nelle imprese o nel governo, tagliando fuori la massa dei cittadini.
Diffusione e condivisione delle conoscenze significa nella pratica promuovere e facilitare il dialogo transdisciplinare, la mutua informazione, un dialogo sociale culturalmente inclusivo e partecipativo, fornire una ricca gamma di opportunità attraverso la cooperazione tra fornitori di servizi della conoscenza pubblici e privati. Ma sono necessari l’iniziativa, il sostegno e il coraggio dei governi nazionali come di quelli locali affinché nuove forme e fonti di conoscenza vengano aperte, con piattaforme in grado di supportare cittadini, organizzazioni e imprese, attraverso la collaborazione delle istituzioni culturali e accademiche per fornire servizi per la conoscenza fisici e digitali.
In questo quadro le città svolgono un ruolo significativo, essendo gli hub naturali per ampi ecosistemi di conoscenza. Le città della conoscenza, le città che apprendono occupano una posizione leader per la creazione e l’innovazione di un ecosistema delle conoscenze ben equilibrato, in cui biblioteche, musei, archivi e altre istituzioni che raccolgono, conservano e diffondono i saperi svolgano un ruolo fondamentale nel fornire pari opportunità di accesso e di utilizzazione delle conoscenze, costituendo un elemento fondamentale del processo di democratizzazione del sapere.
Le città di oggi sono chiamate a nutrire un’alta consapevolezza e sensibilità nei confronti delle problematiche legate alle conoscenze e alle competenze di chi con le conoscenze lavora, attraverso la formazione, l’insegnamento, l’educazione, la ricerca e l’innovazione, perché il nostro futuro dipende non solo dalla disponibilità di saperi e informazioni, ma dalla capacità delle società di auto-determinazione, di gestire, rinnovare e sostenere l’ecosistema della conoscenza.
Si chiama uso responsabile della conoscenza che richiede nello stesso tempo il mantenimento e l’evoluzione di saperi, abilità e competenze, combattendo il pregiudizio e l’ignoranza con l’apertura al nuovo, con la condivisione tra tutti delle conoscenze di cui ciascuno ha bisogno, solo così è pensabile uscire dallo stallo attuale per tentare di creare un mondo migliore e continuare a fornire un futuro alla crescita dell’umanità.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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