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Ricordate i versi di Quasimodo?
“Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo eri nella carlinga.” .

Ora che il tempo è sospeso, sono annullate le distanze dal passato più remoto, scopriamo che il pericolo muta volto ma non ha epoca. Non c’è ieri, non c’è oggi, non c’è domani, una linea continua dove si perdono le tracce del principio e non si intravede la fine. L’autoconservazione è il nostro salvavita da sempre, con quello siamo apparsi sulla Terra e qui siamo cresciuti. Avevamo appreso dai millenni che a minacciare la nostra sopravvivenza poteva essere il diffondersi di malattie contagiose. Eppure, considerata la scienza e la tecnologia che ci separano dai nostri antenati, siamo ancora a combattere a mani nude; è come se continuassimo a difenderci con la pietra e con la fionda come i nostri più lontani progenitori. Occorrerebbe scuotersi dal principio del piacere, dall’appagamento dell’io, per ritornare al principio di realtà, e sarebbe necessario farlo prima che il principio di realtà si trasformi nuovamente in Thanatos, nel principio di morte.

Potremmo scrivere una lista da vertigine elencando i pericoli con cui continuiamo e continueremo a convivere, se dopo l’esperienza globale di questi mesi tutto tornerà come prima.
Innanzitutto l’impiego delle armi nucleari, i più anziani ricorderanno l’epoca di John Kennedy, quando nel 1961 si sfiorò per davvero la guerra atomica e il disastro mondiale a seguito dei missili installati a Cuba dalla Russia di Chruščëv.
I cambiamenti climatici
,l’esaurirsi delle risorse del pianeta, le diseguaglianze negli standard di vita, che al momento hanno prodotto grandi flussi migratori, ma che un giorno potrebbero esplodere con tutta la virulenza dell’ingiustizia che rappresentano. Basta pensare che 60 milioni di italiani consumano quasi il doppio del miliardo di individui che popolano l’intero continente africano.
Sarà il caso di non dimenticare che negli ultimi decenni alcune nuove malattie, purtroppo fatali come il colera, l’ebola, le infezioni virali acute, l’Aids e altre, sono state ‘importate’ nei paesi ricchi da viaggiatori che arrivavano da zone dove quelle stesse patologie sono endemiche e la prevenzione a livello sanitario quasi nulla. Episodi simili sono purtroppo destinati ad aumentare.
Infine i fondamentalismi. Le psicopatologie dei singoli. Il fondamentalismo islamico, che sembra essere assopito, ma che continua a covare sotto la cenere.

Il silenzio, l’isolamento con la nostra paura di questi giorni, chiusi nelle nostre tane per sfuggire al flagello della natura ribelle, ci fanno sentire più forte la nostalgia del futuro, quello stesso futuro che prima della pandemia pareva essere stato cancellato dalle nostre prospettive. La liberazione non sarà quando potremo ritornare alle nostre routine, alla vita come la consideravamo normale nei giorni precedenti alla nostra quarantena. La liberazione non ci sarà, se uscendo dall’emergenza ci comporteremo come se ci fossimo risvegliati da un brutto incubo. Sarà possibile solo a patto che da questa pandemia mondiale esca una umanità più adulta. Una umanità per la quale valga la pena avere nostalgia del futuro, perché in quel futuro saremo impegnati con tutto noi stessi, con la forza della ragione e dell’intelligenza a cancellare dai nostri orizzonti qualunque causa prodotta dall’uomo che porti con sé l’ombra della morte.

Quando smantelleremo le basi missilistiche nucleari, per praticare finalmente una pace non più armata. Quando porremo fine alla concorrenza internazionale nella gara all’accaparramento delle risorse. Quando prenderemo sul serio il destino del nostro pianeta insieme a quello della nostra sopravvivenza. Quando condivideremo valori e un profondo senso di identità, quando uno per uno ci assumeremo la responsabilità d’essere umani, gli uni con gli altri, e tutti insieme ci faremo carico del nostro ambiente di vita e delle sue risorse.
Jared Diamond, nel suo ultimo libro, Crisi: Come rinascono le nazioni, ci ricorda che per ottenere un miglioramento stabile delle condizioni di vita sul nostro pianeta, basterebbe che tutti i paesi del mondo si accordassero su tassi di consumo decisamente inferiori a quelli del mondo avanzato.
Nulla fa pensare che usciremo dall’incubo del virus con una nuova consapevolezza, tanto meno con l’intenzione di sacrificare i nostri standard di vita per aiutare gli altri. Come ebbe a dire Dick Cheney, vicepresidente degli Stati Uniti all’epoca di George W. Bush, “l’american way of life non si discute”.
A meno che, usciti dall’emergenza, dietro alla porta ad attenderci non ci sia la nostalgia per il futuro, ma un futuro non desiderabile, peggiore del pericolo appena scampato.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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