Stefano Ferri, pittore: “Cerco i miei colori”
Stefano Ferri, pittore – Ho trovato i miei colori
Stefano è un maestro d’Arte, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti, è un pittore ma dice di sé “ero bravo, avevo talento ma riproducevo il codice espressivo degli artisti che mi piacevano”. Non sfonda né come pittore, difficile carriera senza pigmaglioni, e neanche come insegnante. Si accontenta, barcamenandosi per lavorare come tanti, ma sempre continuando a dipingere.
Succede che nella sua vita intorno ai 50 anni, la madre, con cui vive, gli fa notare, lui non ne aveva consapevolezza pare, che ha atteggiamenti “strani”. È preoccupata, lui sa solamente che è sempre più isolato socialmente. Si presenta al servizio territoriale di psichiatria e la diagnosi è schizofrenia.
Me lo racconta quieto, come parlasse di una qualsiasi influenza. Mi rendo conto che la paura di tale evenienza è più nella mia mente che nella realtà dei fatti. Eppure sono un’addetta ai lavori, eppure dovrei saper prendere le distanze dallo stigma, eppure dovrebbe essere nella mia prospettiva il nuovo costrutto di One Health e di One Mental Health.
L’ho conosciuto grazie ad una mostra a S. Bartolo nelle giornate del FAI. Io, che ci ho lavorato, non avevo mai visto il convento nelle sue bellezze architettoniche, solo gli spazi più moderni e nello stupore di quella dimenticata e dismessa bellezza trovo anche una piccola stanza dedicata ai suoi dipinti.
Stefano è di poche parole, parlano per lui le sue tele.
Gli chiedo un’intervista, mi interessa approfondire il suo stile. Spero di non cadere nella retorica del malato psichiatrico talentuoso.
Lo incontro un pomeriggio di maggio, è gentile, la sua casa è piena delle sue opere artistiche. Mi spiega che, dopo la schizofrenia, i farmaci, il ricovero e il progressivo miglioramento, un giorno passeggiando nel centro della città si è accorto di percepire quello che osservava con uno sguardo inaspettato, nuovo. Nuovi colori, colori mai visti, “colori che mi appartengono. Sento di essermi trovato”.
Ecco, da quel momento, i suoi dipinti non sono riproduzioni, anche se belle, sono interpretazione della realtà secondo un codice espressivo che è solo suo.
Stefano non desidera fare mostre, anche se ne ha fatte e, soprattutto, non vuole vendere i suoi lavori. Credo di capire: come si può vendere l’anima?
Ripercorro nella mia mente le correnti artistiche che mi pare possano aiutarmi per una lettura più approfondita. Stefano non si concentra specificatamente sulla riproduzione fedele del mondo esterno come facevano gli Impressionisti ma è vero però che la realtà è il suo imprescindibile modello. Penso allora sia più calzante la corrente degli Espressionisti che cercano di trasmettere reazioni emotive e interiori attraverso l’arte, ma Stefano rimane sulla sua estetica senza volerla caricare emotivamente. Escludo la definizione di Art Brut, un’arte spontanea, perché qui c’è tecnica, conoscenza, scelta consapevole.
Poi un pensiero malizioso, di nuovo dettato da un pregiudizio relativo ai sintomi che si vivono nelle psicosi e gli effetti degli psicofarmaci. Tali esperienze potrebbero aver determinato una sorta di esplorazione non cercata volutamente ma che avrebbe potuto determinare stati alterati di coscienza e immagini oniriche. A far nascere questa convinzione, probabilmente, ha contribuito la conoscenza di alcuni artisti che dichiaravano che l’artista, quasi per definizione, generalmente, non presenta particolari preclusioni mentali o tabù. Ma di nuovo devo constatare che Stefano preferisce di gran lunga una vita quieta e normale. Stefano non è un’artista che desidera evadere dalle regole dell’arte, le usa e le piega dolcemente al suo progetto artistico. Come fa della sua vita.
Inoltre, da uno stato di confusione mentale non è scontato che abbia origine l’arte intesa quale espressione di creatività, alle volte, anzi, induce uno stato di paura e di rimozione.
Lo provoco bonariamente ma lui glissa educatamente, non gli piace parlare di questo. Alle mie elucubrazioni ribadisce semplicemente: “ad un certo punto, la realtà mi è apparsa diversa, nuova più intensa”.
Non insisto.
Mi cattura la sua disposizione a reinterpretare la realtà (dipinti dal vero, riproduzioni di cartoline), sono paesaggi, fiori, oggetti esistenti nella loro tangibile concretezza, ma trasformati nella loro estetica. Guardando, sembra di non averli mai visti prima. Originali, unici.
Mi attrae la sua idea deontologica per cui si dipinge per esprimersi, non per fare mercato, si dipinge per raccontarsi e non per accontentare il pubblico o una moda.
No, i suoi quadri non sono in vendita, afferma deciso.
Lui non è in vendita, penso io.
Non sono i soldi o l’affermazione che gli interessano, è sentirsi autentico, in sintonia con il suo essere così come è oggi.
Mi permette di fotografare i suoi lavori artistici, prima quando era “mediocre”, dopo quando la sua anima si è rivelata.
I quadri sono effettivamente ovunque e in ogni stanza, in ogni parete di ogni stanza. Mi sento privilegiata che mi accompagni in questa esplorazione estetica-espressiva.
Non sempre, neppure con il mio lavoro di psicoterapeuta, mi è concesso un simile privilegio.
Guardiamo queste opere più da vicino. Qui sono io che parlo. Parlo di ciò che ha risuonato in me. Stefano è in pace, non c’è da commentare, quello che lui voleva esprimere è nelle sue tele, nelle pennellate, nella scelta dei colori, nell’azzardo surreale dei colori.
Non smetterà di dipingere, ha nuovi progetti per raffigurare la natura, i paesaggi, non tanto le persone. Quelle, se ci si pensa, sono effettivamente più circoscritte, sono quello che sono, magari sono come uno specchio emotivo, ma non lasciano spazio alla metafora universale.
Stefano riproduce fiori, mari, montagne che attraverso il suo pennello diventano luce, colore vivido, potenza, vita, bellezza.
Attualmente ha un po’ di più 60 anni, ne dimostra molti meno, appare sereno, vive con la mamma che mi ha accolta con cordialità e naturalezza.
Stefano sorride poco e con parsimonia ma sembra in pace. Un uomo che ha trovato la sua dimensione esistenziale e non ha pretese. La sua casa , che raccoglie i suoi lavori artistici, é il suo portfolio ma anche la sua autobiografia.
Spero che il contesto sociale lo risparmi dalla competizione, dal mito dell’essere performante e gli dia la possibilità di vivere con la stessa dignità con cui lui si racconta.
Ci siamo incontrati dopo la scrittura dell’articolo, la stesura finale è quella che abbiamo condiviso. Mi ha dato cortesemente la liberatoria per la pubblicazione dei propri lavori artistici, fiducioso che il suo contributo sarebbe stato utile per la divulgazione delle Arti Terapie e del potere espressivo e curativo, sicuramente per l’anima, dell’ arte in cui entrambi crediamo e siamo testimoni.
L’arte, la sua almeno, non è commercio o il volto positivo, in certa prassi psichiatrica di ciò che, paradossalmente, pur sostenendo il diritto alla stravaganza, alla singolarità di ogni individuo, , argina tutto ciò che può sembrare troppo divergente , inaccettabile, strano, alimentando, indirettamente, lo stigma sociale che pretende di poter definire la normalità.
La produzione artistica di Stefano non è neppure un ritorno, del Perturbante, come lo chiamerebbe Freud, di qualcosa che sappiamo esiste ma viene rimosso, allontanato dalla consapevolezza, perchè la sua presenza ci rende inquieti.
Stare nel marasma è una conquista, Stefano ci è riuscito, io, come psicoterapeuta e come persona continuo a lavorare per essere capace di non aver paura.
Stefano Ferri: “Cerco i miei colori”. ” I miei colori sono in rapporto con la realtà ma più belli del reale”
Tutte le tele ad olio che illustrano l’articolo sono di Stefano Ferri.
In copertina: Stefano Ferri, Autoritratto dell’artista da giovane.
Per leggere gli articoli di Giovanna Tonioli su Periscopio clicca sul nome dell’autrice. Oppure visita la sua rubrica L’arte che cura.





Bel pezzo Giovanna, anche io mi sono imbattuto in Stefano (che molto tempo fa incontravo in piazza come tanti) e nei suoi quadri (per la prima volta) durante i giorni del Fai al San Bartolo. Quello che traspare dalla tua intervista è incredibilmente aderente alla prima impressione (insight) che ho avuto scambiando, in mezzo ai suoi dipinti, poco più di un saluto e un ricordo con una persona singolare, artista libero dal suo ego, non in vendita, solo in mostra. Grazie per questa conferma.
Tra i nuvoloni, forse di un temporale già passato, che lasciano il posto ad un “rosso di sera bel tempo si spera”, si intravede sulla sinistra una giovane donna seduta, bellissima, con un drappeggio sul lungo vestito, che fa col braccio destro un’oca simpatica attraverso un’ombra cinese per allietare i figlioletti seduti qua e là sulle nuvolette difronte a lei ( oppure l’oca c’è veramente). Quel sole è stupendo e tra poco va a riposare.
La natura è ovunque, vanitosa più che mai.
Se ci fermiamo a guardarla, da vicino (le peonie) da lontano ( gli orizzonti , il paesaggio vicino all’acqua) si rivela a chiunque in tutta la sua meravigliosa bellezza.
C’è chi la fotografa e c’è chi la ritrae, per coglierne l’attimo da rivedere poi. Chi però la ritrae ne fa anche un’autobiografia da leggere, da osservare, da cercare di comprendere, da ammirare.
Grazie