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di Lorenzo Bissi

E voi non la sentite la musica che pervade l’aria del Moulin de la Galette? Io non solo sento la musica, ma anche le chiacchiere dei giovani; intercetto gli sguardi spensierati e divertiti dei ragazzi e delle ragazze che, accarezzati dalla calda luce di una qualunque domenica pomeriggio, si godono la giornata, incuranti del tempo a venire.
È il 1876 e Parigi è la capitale mondiale di un nuovo stile di vita: la tecnologia muove i suoi primi sorprendenti passi, irradiando di ottimismo tutte le genti. Le primissime macchine si distinguono tre le carrozze e fanno le loro fugaci apparizioni sulle strade, i locali si affollano, l’eccesso e la sregolatezza sono all’ordine del giorno. Ci si perde in un bicchiere di troppo, senza rendersi conto di essere immersi non nel vino o nell’ebbrezza, ma nella modernità.
E cos’è questa?
Alcuni pittori, che esposero per la prima volta nel 1874, nello studio del fotografo Nadar, forse non avrebbero saputo dare un significato definito a quella parola. Decisero però che il soggetto dei loro dipinti sarebbe stata proprio la Modernità, questa maestosa signora conosciuta da tutti e da nessuno.
Vennero chiamati Impressionisti, vennero prima disprezzati e poi amati. Il loro modo immediato di dipingere en plein air, la loro approfondita conoscenza dei colori e delle percezioni ottiche, la loro capacità di cogliere la luce nelle sue mille sfumature li ha resi capaci di rappresentare non delle figure, ma delle emozioni, e di trasmetterle limpide, come le avevano percepite sulla loro pelle, sulla tela.
Pierre-Auguste Renoir, pittore di un “impressionismo piacevole”, ha saputo cogliere nelle figure del quadro, che sopra citavo, tutti gli elementi caratteristici dello stile pittorico impressionista.
Con danzanti pennellate scandisce il ritmo del ballo, evocando un’allegra musicalità attraverso il richiamo di determinati colori come il blu e il rosa. Davanti all’osservatore una tavolata di giovani scherza e ride, mentre sullo sfondo, che va via via sfumando in profondità, i maschi stringono avidamente e voluttuosamente le loro donne, allegri e sorridenti.
Quando osservo questo quadro ho sempre la sensazione che nel momento in cui distolgo lo sguardo esso si animi, e inizi a muoversi. Così mi trovo con gli occhi incollati alla tela e in ogni momento scopro qualche sorprendente dettaglio che mi rende sempre più partecipe del ballo al Moulin de la Galette.

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Redazione di Periscopio


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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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