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Parto dal presupposto che le difficoltà di questa nuova situazione siano sotto gli occhi di tutti e che, mai come ora, si senta un bisogno forte di scuola: lo sentono gli alunni (anche quelli ‘insospettabili’), lo sentono le famiglie (anche quelle ‘impensabili’), lo sentono gli amministratori (anche quelli ‘insostenibili’), lo sentono i cittadini (anche quelli ‘inimmaginabili’) e lo sentiamo moltissimo anche noi insegnanti (anche quelli ‘incredibili’).

A mio modo di vedere, però, il bisogno di scuola non si soddisfa con la didattica a distanza, anche se ben fatta, perché non si può normalizzare una situazione che normale non è. È ovvio, però, che noi insegnanti continueremo ad attivarci perfezionandola, perché è l’unico modo che abbiamo in questo momento.
Detto questo mi chiedo come qualcuno possa parlare di ‘normale’ valutazione in maniera così superficiale in una situazione che di scuola ‘normale’ ha ben poco.

Per me, adottare la didattica a distanza vuol dire essere costretti a scegliere una modalità di trasmissione delle conoscenze che non è quella che privilegerei se io fossi a scuola. Quindi se questa non è la mia scuola, la nostra scuola, ‘la scuola normale’, cosa pretendono che si valuti dal Ministero?

Se un bambino o una bambina sono capaci di stare davanti ad un monitor per tante ore?
Se sono in grado di usare una piattaforma web?
Se sanno fare ad inviare una mail con gli allegati?
Se sanno fare bene i compiti a casa?
Se sono bravi a fingersi abili col computer nascondendo l’aiuto che ricevono dai familiari

E come vorrebbero che tutto ciò si valutasse?
Si preoccupano di sapere se tutti i bambini e le bambine di una classe hanno a disposizione uno strumento tecnologico idoneo?
Si chiedono se sono tutti nelle condizioni di partecipare attivamente?
Si interrogano su come coinvolgere gli alunni con disabilità mentre il resto della classe è connesso?
Si domandano come arrivare meglio agli alunni che parlano un’altra lingua?
Oppure c’è solo interesse a valutare se le famiglie possono permettersi un tablet, uno smartphone o un computer e la linea veloce?
Che voto si metterà nella pagella di un bambino che non ha un computer, un tablet o uno smartphone?
Che giudizio di comportamento si scriverà a chi ha pochi giga?
Bisognerà mettere “Insufficiente” a chi non ha i mezzi ‘sufficienti’?

È questa la scuola che dobbiamo prepararci a fare? Io spero proprio di no perché la scuola fatta così sembra un ‘villaggio vacanze’ dove un cosiddetto ‘utente’ vi è stato dirottato dopo la chiusura di tutti gli alberghi ed i campeggi, dove desidera fare un soggiorno ‘normale’, ma si ritrova attorno degli animatori che gli propongono/impongono un sacco di attività (alcune più o meno divertenti e coinvolgenti, alcune davvero insulse o addirittura stupide ed umilianti); dove ci sarà sempre chi non può o non vuole partecipare perché preferisce altro oppure è altro; dove i suoi accompagnatori lo vorrebbero intrattenere diversamente; dove le valutazioni ed i premi finali ci saranno solo per alcuni di quelli che, stando al gioco, hanno potuto o voluto partecipare.

Io credo che, in questo difficilissimo momento storico, occorra stare attenti al rischio di incentivare una scuola delle differenze tra chi ha e chi non ha, tra chi è e chi non è, tra chi può e chi non può. Penso che, in questa emergenza, si stia giocando il senso stesso del fare scuola; avverto il pericolo che conquiste avvenute negli anni passino in secondo piano. Molti genitori pensano al proprio figlio, diversi colleghi pensano alla loro classe, alcuni dirigenti pensano al loro istituto… in sintesi, in un momento in cui ci sarebbe bisogno di un pensiero collettivo, in molti pensano individualmente. Credo sia normale farlo in una situazione simile in cui tutti ci sentiamo sotto pressione, ma noi, noi che siamo insegnanti dobbiamo stare attenti a queste spinte egoistiche e provare a dare equilibrio, dobbiamo provare ad allargare le vedute, partendo dalle certezze che abbiamo e che risiedono nel nostro ‘arcipelago di certezze’, rappresentato dalla scuola della Costituzione.

Un prete scomodo, a cui devo molto della mia visione professionale scriveva, insieme ai suoi alunni: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia”
Mai come loro la scuola ha bisogno di una politica seria che, dal basso, si attivi per affrontare i problemi enormi che questa emergenza ci consegna.

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Mauro Presini

È maestro elementare; dalla metà degli anni settanta si occupa di integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Dal 1992 coordina il giornalino dei bambini “La Gazzetta del Cocomero“. È impegnato nella difesa della scuola pubblica. Dal 2016 cura “Astrolabio”, il giornale del carcere di Ferrara.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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