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Erbacce commestibili. Una volta ci andavano nonni e zie, in campagna, a raccoglierle, tra fossi e distese di ortica, da fare lessare per poi tirarci fuori una sfoglia verde verde che veniva arrotolata e magicamente trasformata in tagliatelle così saporite. Adesso, in città, ce le portano loro, i contadini che mettono su il loro banchetto. Magari l’ortica non c’è, ma la portulaca sì, e ha foglie rotonde e carnose dal sapore croccante e un retrogusto leggermente di limone. “Si mangia tutta, compreso il gambo”, spiega Massimiliano Santi, che in piazza XXIV Maggio la porta dai campi della sua azienda Sole Sereno, lungo la via Consandolo di Molinella. Bordo seghettato e consistenza un po’ vellutata e opaca, invece, per il farinello comune. “Le foglie – dice – si possono mescolare crude in insalata, ma se si lessa, si mangia tutto e ha il sapore degli spinaci, appena un po’ più dolce”. Poi si può avere cicoria, tarassaco, bietola. Gli intenditori sanno che ci sono più omega 3, antiossidanti e vitamine qui, in queste spiegazzate erbe randage, che in mille promettenti etichette lustre e nei barattolini di seriosi e seriali integratori.

In un altro banco le signore che vengono dal Polesine con grandi albicocche, ciliegie, una varietà antica e scura di patate dall’anima viola, patate rosse, gialle e altri ortaggi. Ma quante albicocche colorite ci hanno già ammiccato, adescato e sedotto, finora, per poi deluderci tristemente con la loro inutile, insapore e scialba polpa? Saranno poi davvero buone, queste qui? E le ciliegie? “Le assaggi pure”, ti invitano loro tranquille. In barba all’igiene, non lasci spazio al bluff. Afferri e assaggi. Oh, yeah! E’ frutta. Duroni dal sapore denso, forte, dolce con una punta deliziosamente asprigna. Evvai. Arrivano anche a 5 o 6 euro al chilo, ma alla fine li possono valere. Il problema sarà, piuttosto, quello di tornare agli scaffali del solito supermercato, dove lampeggiano colori e offerte speciali che riempiono sporte, ma lasciano vuote le papille, spiazzate dall’inganno ottico che promette sapori e ricordi che non mantiene.

Un banco di pane e biscotti fa largo alla farina di grani antichi. Ma ci sono anche prodotti a base solo di grano saraceno, che è quello scuro e naturalmente senza glutine, che si gonfia in rotondi pasticcini allo zucchero di canna; poi zenzero candito, amaretti, muffin all’albicocca.

Il banco dell’azienda di Giorgio Donati, che viene da Porotto, ha solo farina e biscotti di farina di mais tradizionale, non ibrido. E’ un mais biologico integrale di una varietà antica chiamata ottofile. Poi ci sono piatti di pesce (baccalà, frittura), uova fresche, una signora che tesse, barattoli di marmellate, succhi di sola frutta. Pochi, sparuti banchi, un po’ di terra attaccata alle radici e gusto di roba vera.

A Ferrara questi prodotti arrivano dalle persone che li fanno il giovedì (ore 16.30-20,ma da oggi anche con alcuni espositori dalle 8 del mattino) nella piazza dell’Acquedotto con il mercato Biopertutti. Altre occasioni il venerdì mattina (ore 8-13) con Campagna Amica accanto a Porta Paola, dove finisce via Bologna e inizia il mercato settimanale; il sabato mattina al Mercato della terra, nello spiazzo imboscato in fondo al sentiero ghiaioso di viale Alfonso I d’Este.

Ancora il sabato (ore 8-14) in piazza Castellina, c’è il km zero di Campagna Amica a ridosso della stazione; una domenica sì e una no (ore 10-18) quello in piazza Municipale, dove i prossimi appuntamenti sono programmati per 5 e 19 luglio, 2 e agosto; 6 e 20 settembre.

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Erbe selvatiche, frutta e patate antiche del mercato Biopertutti (foto Giorgia Mazzotti)
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Portulaca e farinello comune: erbacce commestibili (foto Giorgia Mazzotti)
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Mercato biologico all’Acquedotto di Ferrara (foto di Cecilia Dall’Ara)
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La gente al Mercato della Terra in fondo a viale Alfonso I d’Este a Ferrara
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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, Mantova 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, Bologna 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici Università di Ferrara, Mimesis, Milano 2017). Ha curato la mostra “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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