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LA BOLLA SVEDESE
Roma, 8 agosto 2019

Dato che devo cercare il ricambio di un pezzo del mio frigo, e che per la legge di Murphy i ricambi stanno sempre dalla parte opposta della città, decido di approfittarne e immergermi in un centro commerciale.

E’ il più grande di Roma, un’autentica città del consumo, dove solitamente si aggirano folle di ragazzi sfaccendati e famigliole dieci volte di più che a Coccia di Morto.

In effetti, nonostante abbiano minacciato il bollino rosso e l’emergenza calore, qui a Porta di Roma non si arrende nessuno e la gente allegramente passeggia, complice una temperatura groenlandese, lustrando il pavimento davanti alle vetrine. Pochi di loro hanno pacchetti in mano, per lo più chiacchierano di quello che vorrebbero comprare.

Vengono evocati i sogni come in una seduta di ipnosi collettiva: “Io me farei quello….io me farei quell’altro…” un bell’orologio a pataccone, un reggipetto sexy, una scarpetta alla moda… “Ma lo trovi su Amazon, costa la metà!”

Io però ho poco tempo e siccome mi manca una padella mi ficco nel palazzo dell’Ikea.

Dell’Ikea si è detto ormai tutto, ma ogni volta entrando mi sorprende l’atmosfera, il profumo di candele alla vaniglia e i suoni ovattati che mi illudono (uscendo dalla caciara della Groenlandia) di trovarmi adesso in Scandinavia.

E’ un mondo tutto funzionale, lineare e cromaticamente equilibrato, frequentato da gente con abiti appena lavati e stirati (la quintessenza della classe media).

I bagni sempre pulitissimi non sono mai intasati, non si fa la fila, i bambini vengono depositati in un luogo dove se la spassano: sembra che abbiano previsto tutto in ogni minimo dettaglio. Al contrario dell’ospedale di ieri, qui le ferie d’agosto sembra siano state abolite, sia per chi ci lavora che per i clienti.

Tutto sempre perfetto e sempre uguale tutto l’anno.

Sembra di essere entrati in un enclave transnazionale, che batte una sua moneta e leggi proprie.

Mi fermo a pranzare attratto da un menù a 2 euro e 50. Mi consegnano un gettone.

Mentre addento un hot dog giocattolo e delle cibarie che sembrano i segnalini di Monopoli, guardo il pubblico vicino a me. Due sorelline indiane che chattano sullo smartphone, un padre sportivo che guarda le belle ragazze col figlio brufoloso che invece guarda le sue scarpe, un fidanzato con la barba curata che cerca di placare la furia della fidanzata rotondetta. Lo capisco dal labiale: “Lasciami in pace, stronzo!”

Penso a Carlo Verdone e quanti spunti avrebbe inventato. Ma resta il fatto che tutti quanti sono personaggi Ikea e forse ora lo sono anch’io.      

All’Ikea si può ridere, basta non far rumore. Ma piangere credo sia meglio di no.

Qui dentro non entrano borderline, barboni o accattoni. Non ci sono oggetti di cattivo gusto e una signora che ha avuto un malore, viene subito coperta alla vista da un paravento a soffietto.

I commessi sono tutti estremamente gentili, la mia cassiera di colore parla un italiano da Accademia della Crusca: “Nell’eventualità che lei dovesse effettuare un cambio di prenotazione le verrebbe addebitato nuovamente l’importo già versato” mi dice senza sbagliare un congiuntivo.

Mi domando come facciano a cancellare quel bordello che c’è fuori e restituire quest’immagine impeccabile di un mondo che ormai non esiste più, nemmeno in Svezia.

Forse siamo finiti in un Truman show e qualcuno, da una cabina di regia, ci sta spingendo lungo le frecce, nei budelli foderati di bisogni indotti, di articoli d’arredo troppo convenienti per resistergli, rallentandoci il passo, accudendoci con sorrisi giallo blu, giù in fondo, fin verso le casse.

Quando esco nella calura e al primo semaforo trovo un tizio che vuol pulirmi il vetro, sento che sono tornato nella realtà.

Gli dico, senza guardarlo: “no, grazie, sono rimasto senza un soldo”.

Lui guarda accanto a me un sacchetto pieno di cazzate da cui spunta il manico di una padella.

E  lo vedo allontanarsi nello specchietto, deformato come un miraggio nel deserto.

Sono diventato un replicante.

(continua mercoledì 10 agosto)

Per leggere tutti insieme i capitoli del Diario di Daniele Cini:

Diario di un agosto popolare


Oppure leggili uno alla volta:

ANDARE PER STRADA E ASCOLTARE LA VITA

STRANI STRANIERI

CORPI DIMENTICATI

NELLA CITTA’ DESERTA

COCCIA DI MORTO

FINCHÉ C’É LA SALUTE

LA BOLLA SVEDESE

STELLE CADENTI

LA METRO, IL BUS E LO SCOOTER

FREQUENZE DISTORTE

CANNE AL VENTO

L’OTTIMISMO DURA POCO

LA TORBELLA DI ADAMO

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Daniele Cini

è regista e autore. Dagli anni Ottanta Collabora continuativamente come regista con i programmi più importanti della Rai e realizza reportage in vari paesi del mondo. Nella fiction cura la regia di serie televisive, come “La Squadra”. Per il cinema firma il film “Last Food”, il mediometraggio “Zittitutti”, e due episodi nei film collettivi “Intolerance” e “All human rights for all”. Tra i documentari: “Sogni.com” per Rai Fiction, “Seconda Patria” per History Channel, “Noi che siamo ancora vive” per Rai 3, Globo d’oro nel 2009, “Bambini guerrieri” per Rai 1 e “Hungry and Foolish” per Rai Expo. Nel 2021, in collaborazione con Medici Senza Frontiere, realizza il film documentario “La febbre di Gennaro”, Nel 2022 il documentario “Il ragazzo con la Leika”, 60 anni d’Italia nello sguardo di Gianni Berengo Gardin, trasmesso su Rai 2. Nel 2004 ha pubblicato per Voland “Io, la rivoluzione e il babbo” e nel 2020 per Giunti “Se son rose sfioriranno” .

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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