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Per una cultura della socialità. Il complesso Boldini come simbolo sociale trascurato

Per una cultura della socialità. Il complesso Boldini come simbolo sociale trascurato

Lungo il muro, la coda si allunga a poco a poco. Siamo lì in trenta, in cinquanta, estranei ai passanti, girati verso il cinematografo, uniti per alcuni minuti dalla sola cosache abbiamo in comune, l’attesa di uno stesso film, e pronti a parlare – per così poco tempo – di quel legame provvisorio. Nei brevi commenti che circolano, appare la trama di una rete di corrispondenze, di interazioni, di influenze, basate sul pretesto costituito dalla proiezione. Siamo venuti a vedere il film perché se ne parla, perché bisogna averlo visto, perché vi figura il tale o il tal altro, perché si ha bisogno di verificare-contraddire-discutere i giudizi che già corrono, perché ci si troverà un soggetto di conversazione, perché se ne ha abbastanza di esser quelli che non osano dire niente (…). Assistere – o non assistere – a uno spettacolo: la scelta, a volte, è più importante dell’oggetto che si tratta di vedere; rivela degli interessi, un’attitudine, dei rapporti con l’ambiente, che non si riassumono nell’atto, semplicissimo, di prendere un biglietto e sedersi; eppure è proprio da quest’oggetto che si tendono altre reti, che si costituiscono nuove relazioni. ” (P. Sorlin, Sociologia del cinema, Garzanti, 1979, p. 9).
Ho pensato di esordire con questa citazione “colta” dedicata a Pierre Sorlin, critico cinematografico, saggista, professore di Sociologia del Cinema alla Sorbona III, scomparso nel gennaio scorso.
Dopo un primo articolo, uscito su Periscopio online l’11 giugno scorso (cfr. “Dove eravamo rimasti?“), ho pensato che fosse utile approfondire alcuni aspetti rimasti un po’ in ombra nella precedente esposizione.

LA SALA CINEMATOGRAFICA COME OGGETTO SOCIALE

Per come era ideata e, soprattutto, praticata, la Sala Boldini (e tutti gli spazi di supporto, compresa la video-biblioteca Vigor) non era solo un luogo fisico, ma invece un ambiente facilitatore di interazioni sociali, creatore di esperienze condivise che si faceva volano attivo di aspetti plurimi della cultura e della società.
Nonostante l’avvento di nuovi canali di distribuzione, che hanno intaccato ed accorciato la finestra riservata alle sale cinematografiche, nell’articolo “La sala cinematografica e la sua rilevanza strategica“, sul sito web Instant Documentary, Emanuela Torregrossa annota giustamente che “la centralità della sala non è tanto da giustificarsi per una questione economica quanto piuttosto per l’influenza che esercita sugli altri canali di sfruttamento. A prescindere dai risultati in termini di recupero degli investimenti, infatti, distribuire un film al cinema permette al titolo di ottenere una visibilità tale da spingere le vendite nei canali di sfruttamento successivi. (…) E’ soprattutto attraverso la sala che il cinema può perpetuare il suo ruolo sociale”. 

Lo stato di abbandono, degrado, disattenzione, che potrebbe anche raggiungere possibili manomissioni strutturali e funzionali del complesso Boldini colpisce, a mio avviso ma ho la presunzione di essere in buona compagnia, un luogo simbolo, un patrimonio simbolico da parte di amministratori disinteressati alle sue funzioni culturali e sociali. La cosiddetta bonifica di parti della città, per migliorarne la fruizione futura, ci interroga sulla effettiva capacità di programmazione di chi governa la cosa pubblica a Ferrara, sulla capacità di sapere/volere coinvolgere le associazioni culturali, le cittadine e i cittadini durante il dipanarsi del… “progetto”.
Diversi anni or sono, Fabrizio Giovenale, in “Come leggere la città“, La Nuova Italia, 1977, scriveva che dobbiamo “sbarazzarci una volta per sempre dell’idea sbagliata – che tanti e per tanto tempo si sono affannati a ficcarci in testa – di considerare la città come una cosa da accettare e subire senza chiederci il perché. (…) Più la gente sta in casa, meno si incontra e sta insieme, meno fastidi dà a chi comanda”.

UNO STRAPPO NELLA RETE

L’importanza di fare rete tra servizi, associazioni APS e/o di volontariato, esperti, gruppi di cittadini è una pratica sperimentata in molti ambiti pubblici e privati da diversi decenni. Il Comune di Ferrara ha istituito, dal 2010, un tavolo di coordinamento promosso dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo, con l’obiettivo di coinvolgere in progetti comuni e coordinati i dirigenti dei vari servizi che compongono la Rete Civica del Comune di Ferrara. Sotto la guida di Angelo Andreotti, le biblioteche comunali avevano trovato una casa comune, superando precedenti divisioni. Ricordo, per esperienza diretta, che la biblioteca Vigor era incardinata nell’Assessorato alle Istituzioni Culturali poi, era entrata a far parte della famiglia bibliotecaria comunale. I lavori infiniti al Complesso Boldini e, di conseguenza, l’assenza della Vigor, ha provocato uno strappo nella rete del servizio biblioteche. Non ho traccia di azioni di sollecito, di sprone messe in campo dal Servizio Bibliotecario locale verso l’Amministrazione Comunale per toglierla da questa situazione di incresciosa immobilità. Trovo molto imbarazzante il disinteresse e il silenzio di chi gestisce le biblioteche comunali e di una accademia cittadina che si occupa di cinema nei confronti di un patrimonio come quello della Vigor abbandonato alla deriva in un capannone in Via Marconi.

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Pierluigi Guerrini

Pier Luigi Guerrini è nato in una terra di confine e nel suo DNA ha molte affinità romagnole. Sperimenta percorsi poetici dalla metà degli anni ’70. Ha lavorato nelle professioni d’aiuto. La politica e l’impegno sono amori non ancora sopiti. E’ presidente della Associazione Culturale Ultimo Rosso. Dal 2020 cura su Periscopio la rubrica di poesia “Parole a capo”.

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