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di Pier Luigi Guerrini e Roberto Paltrinieri

In un panorama cittadino in verità povero di incontri sull’argomento, l’associazione ‘Umana Avventura’ ha organizzato nei giorni scorsi un’iniziativa su un evento storico schematicamente definito come il ‘Sessantotto‘, articolata in due momenti: una mostra ed un incontro, nell’aula magna del Liceo Scientifico ‘A.Roiti’, con un testimone di quel periodo, Aldo Brandirali, che è stato e si è presentato come politico ed educatore.

Desideriamo in questa sede condividere alcune riflessioni che ci ha suscitato l’ascolto di tale testimonianza, iniziando proprio pensando a quella parola: educatore.
Pensiamo, infatti, sia di fondamentale importanza fare grande attenzione ogni volta che si parla in un contesto pubblico, in modo particolare a persone di giovane età, in qualità di testimone significativo.
Nella sala c’erano diverse decine di ragazzi che erano lì perché, molto probabilmente, condotti dai loro educatori o stimolati da qualche loro docente. In un’epoca dominata dalle immagini, la fame e il bisogno di senso e di testimonianze credibili sono altissime per giovani e adolescenti, frequentatori spesso compulsivi dell’universo digitale con tablet, smartphone, computer sempre più potenti e facili da usare.
Viviamo in un periodo storico liquido, spesso connotato da una spaventosa superficialità e da continui richiami alla necessità del consumo sempre e comunque.
Ed è a tale pubblico che Aldo Brandirali dice di parlare oggi come credente, di essersi convertito alla fede cristiana – “sono un seguace di Gesù Cristo” – negli anni successivi al Sessantotto, dopo aver conosciuto l’esperienza ecclesiale di Comunione e Liberazione sotto la guida spirituale di don Giussani.

Partito giovanissimo da una esperienza politica nel Pci e nel sindacato della sua fabbrica, dopo la rottura col grande partito della sinistra, divenne leader dell’Unione dei Comunisti Italiani, un piccolo partito di ispirazione maoista.
Nel suo racconto, gli importanti riferimenti alla politica come dono, come gratuità, come servizio si sono mescolati a frasi ad effetto per evidenziare il fallimento di tutto quello che ha fatto parte della sua esperienza sessantottina.
E di tale fallimento e delusione ha riportato diversi esempi. Nel sindacato, la sua lotta nella fabbrica contro la divisione tayloristica del lavoro, la catena di montaggio, come l’organizzazione di tanti scioperi, si è “chiusa” dopo essere rimasto disgustato da “sindacalisti che rubavano i soldi delle tessere”.
Che messaggio educativo diverso sarebbe stato, invece, ricordare alla platea di giovani sopra citata l’impegno e la serietà di centinaia di sindacalisti che, spesso, hanno pagato duramente le loro lotte con il licenziamento o l’inserimento in reparti lavorativi di punizione.
Il desiderio di tanti giovani di vivere rapporti umani più veri e non autoritari, anche con forme “ingenue” di organizzazione e vita sociale alternative come le “comuni”, è stato liquidato da Brandirali, in riferimento alla degenerazione di quella da lui creata, come un fallimento del movimento hippie.
L’esperienza e la militanza nel Pci è stata poi ridotta dal relatore ad alcune frasi di circostanza come “la positività nel socialismo del saggio di profitto” (sic!) o nel ricordare episodi non particolarmente edificanti, quale quello riguardante la sua esperienza del servizio militare quasi obbligato dal partito stesso, mentre ad altri compagni veniva concessa, per vie non proprio trasparenti, l’esenzione. Un partito rappresentato come luogo di politica chiusa, sempre allineato all’Urss e mai critico sui vari sommovimenti sociali come, per esempio, “la primavera di Praga”, mentre sappiamo del travaglio profondo subito da molti militanti in quegli anni.

Da ultimo, ma non certamente per importanza, il riferimento alle Br come “braccio armato del ‘68”.
Un’affermazione catapultata nel vuoto di una riflessione sul terrorismo e sulla violenza che certamente ha fatto parte di alcuni movimenti e partiti nati nel Sessantotto. Fortunatamente però quella stagione politica e sociale, nel suo complesso, ha prodotto anche ben altra ricchezza ed eredità di contenuti; quell’espressione non rende giustizia a chi in quegli anni non ha mai ceduto alle sirene della violenza come soluzione dei conflitti ma ha cercato, nella difesa pacifica dei diritti dei più deboli, la strada principale da percorrere.
Pensiamo, per esempio, all’approvazione dello Statuto dei Lavoratori, alla legge sul divorzio, alla riforma sanitaria e l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, e poi ai Decreti Delegati nella scuola, al Nuovo Diritto di Famiglia, alla nascita e allo sviluppo della democrazia diffusa e del decentramento politico e amministrativo. E poi l’autodeterminazione degli stili e delle condotte di vita individuali, la liberazione dai tabù sessuali, la legislazione in favore delle persone con disabilità, la legge sull’obiezione di coscienza al servizio militare e, in seguito, l’abolizione del servizio militare obbligatorio.

Negli anni Novanta e nel nuovo millennio, Brandirali ha infine percorso politicamente l’ultimo scampolo di vita della Dc. ha  poi ha attraversato parte della galassia post democrazia cristiana fino ad incontrare Berlusconi, fino a entrare in Forza Italia e ad essere eletto più volte in Consiglio Comunale a Milano, e infine nominato Assessore della Giunta Albertini, aderendo al Popolo delle Libertà.
Un’esperienza che, forse, oggi lo imbarazza un po’ visto che nell’esposizione davanti alla platea del suo percorso politico, non ne ha fatto cenno alcuno.

In conclusione, rispettando profondalmente la sua evoluzione religiosa, esperienza biografica su cui non è concesso a nessuno fare apprezzamenti o dare giudizi di valore, riteniamo però che il Sessantotto presentatoci da Brandirali sia stato un percorso ‘seccato’, sostanzialmente ideologico, volto a far tornare i conti più con la propria coscienza che con la realtà complessa dei fatti. Forzando ed estremizzando alcuni aspetti, presentandone altri in forma caricaturale, e non facendo emergere la ricchezza e le contaminazioni sociali, istituzionali, culturali che hanno cambiato in profondità la nostra società, la testimonianza di Aldo Brandirali è risultata essere, a nostro avviso, non all’altezza della complessità di quel movimento di contestazione di ogni autoritarismo e dell’affacciarsi sulla porta della Storia di soggetti deboli, che pur all’interno di contraddizioni e incoerenze, hanno consegnato a tutti noi una grande stagione di desideri, sogni e speranze.

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Pierluigi Guerrini

Pier Luigi Guerrini è nato in una terra di confine e nel suo DNA ha molte affinità romagnole. Sperimenta percorsi poetici dalla metà degli anni ’70. Ha lavorato nelle professioni d’aiuto. La politica e l’impegno sono amori non ancora sopiti. E’ presidente della Associazione Culturale Ultimo Rosso. Dal 2020 cura su Periscopio la rubrica di poesia “Parole a capo”.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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