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Tutti noi abbiamo dei miti, che sia un film che ha rappresentato un momento particolare della nostra vita, oppure un libro od, anche, un brano musicale o, meglio ancora, un musicista che ha percorso, al nostro fianco, parte delle nostre vite. Chi, come il sottoscritto, si è abbeverato dentro le fontane del rock’n roll, è cresciuto, si è accresciuto moralmente, con le note degli artisti preferiti, ne ha studiato attentamente i testi e si è riconosciuto in essi e nei protagonisti di quei brani.

Bruce Springsteen, questo ragazzotto nato nel settembre del 1949 in una piccola località balneare del New Jersey, da Douglas, di origine irlandese, e da Adele Ann  di origine italiana, cresciuto in un ambiente della tipica working class americana, ha saputo, con le sue canzoni, rappresentare e dare voce a quella parte di società che è sempre rimasta ai margini, ha raccontato, in quello che, personalmente, ritengo il migliore album, “Nebraska“, le tribolazioni ed i sogni dei giovani americani cresciuti in un sogno di finzione e spediti a combattere guerre senza senso e al servizio di un capitale a loro lontano e sconosciuto.

In questo contesto, un giovane irrequieto che si credeva un rivoluzionario, non poteva non rimanere folgorato dai suoi brani, attardandosi per ore a consumare la puntina del giradischi assaporando la forza dei pezzi più rock ed emozionandosi dalla forza ed intensità morale delle sue ballate.

Molte generazioni sono cresciute e si sono formate musicalmente, ascoltando i dischi di quello che tutti chiamanothe boss”, pertanto l’occasione di poter assistere ad un concerto dell’amato proprio nella nostra Ferrara è sembrata un’occasione irripetibile, anche nell’ottica che, vista l’età di Bruce, avrebbe potuto rappresentare l’ultimo momento di poterlo vedere e sentire in Italia.

Come tanti, mi sono domandato il perché del parco urbano, non cedendo ai malinformati che parlavano di zona di nidificazione, ma, sopratutto, pensando ad un area che, per sua definizione, è alluvionale e, pertanto, in caso di pioggia avrebbe regalato ai partecipanti una sorta di acquitrino.

Come tanti mi sono domandato il fine di talune polemiche che poco avevano a che fare con l’area e con la musica del boss.

Poi è accaduto ciò che nessuno, nemmeno i più previdenti, avrebbe mai immaginato, ovverosia un mese di maggio con una quantità di precipitazioni tipiche di un anno, non di un mese, e, sopratutto, poco lontano da Ferrara, i notiziari ci informavano di una completa distruzione, di intere aree alluvionate, di città coperte dal fango, di tutta la Romagna che piangeva morti, distruzione e disperazione.

Allora mi sono domandato se il famoso concerto si sarebbe dovuto celebrare ugualmente, e mi sono risposto che, forse, era davvero molto difficile interrompere una macchina al lavoro da più di un anno, e ho concluso, con un semplice “ok vado al concerto, mi doterò di stivali ma, dopo anni tribolati, tra pandemia e la natura che si rivolta alla nostra arroganza di sapiens poco sapiens, si poteva passare una sera di musica in compagnia di uno dei miei miti e al fianco di tanti, che, come me, potevano condividere i suoi brani” tanto – mi sono ripetuto – con la sua sensibilità, Bruce” , noi appassionati lo chiamiamo come fossimo amici da sempre, “ sicuramente aprirà il concerto esprimendo cordoglio per le vittime, vicinanza per la popolazione colpita e, magari, dichiarerà che una parte del suo cachet verrà devoluta ai romagnoli”.

Ed allora, attorno alle 19,30, regolare come un orologio svizzero, dopo un paio di band gradevoli, eccolo che appare…………ed ecco la mia prima sorpresa, esordisce con un, banale e retorico “ciao Ferrara” ed inizia a con “No surrender”, che, al di là del testo che avrebbe potuto ricordare il popolo romagnolo, purtroppo è da tempo il brano con cui inizia i suoi concerti.

Ho continuato ad attendermi un pensiero, un brano dedicato, due parole, ma tutto invano, il concerto ha proseguito come sempre, con grande professionalità, evidenziando l’affiatamento della band, e di un Bruce, che, nonostante l’età e la voce a volte un po’ cadente, in grande forma.

Come detto, grande professionalità e tanto mestiere, ma non ho sentito il cuore battere tra le note dei brani, come non mi sono sentito nato per correre dentro l’anima.

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Stefano Peverin

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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