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DA MOSCA – Oggi è il turno di un gruppo di pakistani e indiani. Li ho visti per la prima volta a fine maggio dell’anno scorso, intenti a rinverdire i giardini di Gogolenskaya: abili, precisi, attenti. Li ho rivisti anche quest’anno, stesso periodo, anzi forse un po’ dopo, stessa zona, stessi gesti, stessi visi, stesse espressioni, stesse mani, stessa precisione, stessa attenzione, stessa dedizione, stessa cura. Sono gli angeli dei parchi moscoviti, quelli che ogni anno, finita la stagione fredda, animano i viali dei giardini per ridare vita ad aiuole spente, svenute, spettinate, congelate e ibernate durante il rigido e lungo inverno.
In una quindicina di giorni fanno rivivere il verde cittadino, danno colore e amore, piantano fiori, violette, rose, gerani, tulipani, gardenie. Scavano, vangano, piantano e ripiantano piccole piantine che a breve diventeranno belle signorine colorate. Lavorano silenziosi, spesso qualche cenno e sorriso.Qualche pacca sulla spalla ossuta.

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Piantine pronte per essere sistemate nelle aiuole

Li vedo anche al Gorky Park, ai giardini dell’Ermitage o a quelli vivacissimi e gremiti di Alessandro, sono ovunque, brulicano come tante formichine gentili e operose che devono sbrigarsi a finire un lavoro in tanti piccoli quadrati di terra. Forza, forza, sembra sussurrare un signore alto e nerboruto che li controlla a vista. Perché quel signore sussurra, non urla, mai, non vuole turbare l’immagine di piccoli giardinieri laboriosi e devoti. Sì, perché questi giardinieri sono anche piccoli, come gnomi simpatici che accarezzano un’erba che sta crescendo. Sono delicati, come ninfe eleganti che sfiorano un tulipano appena dischiuso. Sono sorridenti, come bambini educati che si siedono su un prato a mangiare una fetta di pane con burro e marmellata, preparata dalla nonna materna. Sono gentili come Biancaneve che offre zuccherose mele candite al luna park di periferia che ha comprato giostre italiane. Sono artistici, come il pittore stravagante che poco più in là dipinge ritratti con fiori sullo sfondo. Sono creativi, come lo scrittore pensieroso che siede nella panchina a fianco, intento a descriverli. Sono innamorati, come il poeta eccentrico che disegna cuori a margine delle sue pagine consumate dai pensieri. Sono attenti, come il baffuto conducente di bus che gli passa a fianco, lanciandogli uno sguardo complice. Sono tanti, sono amici, sono belli e sono brutti, sono simpatici e un po’ meno, sono complici e coinvolti come la giovane coppia che passeggia a mano nel parco.
Un passante incuriosito si ferma a scambiare quattro chiacchiere, magari per chieder loro che tipo di piantina stanno maneggiando con tanta cura, per sapere quando finiranno quel bel lavoro. Nessuno si soffermerà sul perché quei piccoli giardinieri sono lì, sul paese da cui provengono, cosa fanno il resto della giornata o cosa faranno quest’inverno, quando le aiuole dormiranno coperte da caldi strati di cellophane. Tutti vedremo solo le belle siepi, i boccioli variopinti, gli alberelli rinnovati, l’erba profumata, le margherite e gli iris. Molti penseranno solo “ma che bel mestiere fare il giardiniere”, senza farsi troppe altre domande. Soddisfatti. E’ così, a ognuno il suo. C’est la vie.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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