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“Well, we are gaining a better position in terms of competitiveness because of the structural reforms. We’re actually destroying domestic demand through fiscal consolidation. Hence, there has to be a demand operation through Europe, a demand expansion.
As you pointed out, most clearly, we, for example, in Italy, are having problems because we have achieved very good fiscal results, but will they really be sustainable in the longer term unless the dominator, GDP, increases through growth.”
È la trascrizione di una famosa intervista della Cnn a Mario Monti avvenuta il 20 maggio 2012. E’ stata usata dai sovranisti per dimostrare che l’allora Presidente del Consiglio si vantava demoniacamente di aver distrutto la domanda interna ma anche dai difensori dell’austerity per dimostrare che i sovranisti distorcevano a propri fini le sue parole. Come sempre tutto e il contrario di tutto, motivo per cui l’ho riproposta in originale e senza traduzione. Ma cosa vuol dire distruggere la domanda interna?
La questione diventa importante perché il 9 luglio scorso Carlo Cottarelli, in uno degli articoli periodici sulle pagine dell’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani di cui è presidente, ha messo giù delle riflessioni davvero interessanti, e che al netto delle interpretazioni del testo di cui sopra, si riallacciano necessariamente, e suo malgrado, a quelle parole.
La domanda interna, o domanda aggregata, in macro economia rappresenta la capacità di spesa di un paese. Ed è ovvio che se un paese è in salute spende di più, sia dal lato della spesa pubblica sia dal lato della spesa privata. Un po’ un termometro all’incontrario, quando il mercurio va su vuol dire che il paese spende e sta bene, quando cala il paese spende poco e sta male. Il mercurio, in questo caso, è l’inflazione. Un po’ di inflazione rappresenta la ripresa in atto e, come dice il prof. Sapelli economista e docente all’Università degli Studi di Milano, il 2% previsto dai Trattati europei non è ancora inflazione.
Nel 2012 venivamo da due momenti di crisi, il 2008 e il 2011, che avevano piegato l’Italia, la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda e la Spagna in particolare ma un po’ la maggioranza dei paesi industrializzati. Gli Usa, la Gran Bretagna ed il Giappone ad esempio. Ma mentre proprio questi ultimi tre intraprendevano subito la via della monetizzazione dei debiti pubblici per aumentare il denaro in circolazione e quindi la capacità di spesa dei loro cittadini e a tutela delle loro imprese, a noi veniva imposta l’austerità e la conseguente “distruzione della domanda interna”.
Il motivo principale della differenza tra le due risposte alla crisi stava nel fatto che in quei paesi c’era coincidenza tra l’autorità monetaria con l’autorità fiscale (cioè esisteva ed esiste un minimo di controllo da parte del Tesoro sulle banche centrali). Nei 19 paesi dell’eurozona invece non esistono più queste relazioni istituzionali. Di conseguenza per avere tale stimolo si è dovuto aspettare il 2015 e il famoso “whatever it takes” di Mario Draghi.
In eurozona comunque ci si è arrangiati e si è proceduto all’italiana proprio mentre l’Italia decideva di germanizzarsi e quindi si decideva il rispetto dei parametri mentre gli altri come Irlanda, Francia, Spagna e persino Germania baravano alla luce del sole. Gli uni spendendo in deficit fino al 33,1%, gli altri eccedendo sulla quota permessa di surplus della bilancia commerciale. Chiaramente nessuno è stato mai multato dalla solerte Commissione europea mentre lo si voleva fare quest’anno all’Italia che, come si vede, ha sforato meno di tutti e per soli tre anni il fatidico 3%.

Dunque, in piena crisi, Monti doveva scegliere se fare tanto deficit come stavano facendo gli altri colleghi dell’eurozona oppure “distruggere la domanda interna”. Non aveva le possibilità del Giappone, della Gran Bretagna o degli Usa ovvero decidere autonomamente politiche monetarie, non poteva agire sul cambio e non poteva nemmeno fare politiche fiscali accomodanti.
Quindi scelta obbligata a carico dei cittadini. Il problema fondamentale in quel momento era il riequilibrio delle partite correnti, cioè avere un risultato positivo nel rapporto tra import ed export. I paesi del mondo, tranne i 19 dell’eurozona, hanno gli strumenti propri e legittimi della politica economica per poterlo fare (cambio, banca centrale, politica fiscale), e questo gli ha permesso di operare per aumentare la domanda interna. Il contrario di quello che abbiamo fatto noi, costretti a “distruggerla”.
Distruggere la domanda interna vuol dire limitare il credito alle aziende, tenere gli stipendi bassi, poter licenziare più facilmente. Tenere una disoccupazione “strutturale” abbastanza alta in modo da poter contrattare al ribasso sui salari e sui diritti dei lavoratori. Basta guardarsi indietro dal 2012 e osservare cosa hanno fatto dopo Monti i governi Letta, Renzi e Gentiloni per una plastica dimostrazione di quanto appena scritto.
L’operazione riuscì perfettamente e siamo passati da un deficit di bilancia commerciale di 68 miliardi di dollari nel 2011 ad un surplus di 51 miliardi nel 2018.

Tutti gli economisti e i politici del mainstream ad elogiare questa crescita e il nuovo miracolo italiano. L’export come soluzione a tutte le crisi, anche se la maggioranza della popolazione, in considerazione dell’aumento del numero dei poveri, dei disoccupati e dei salari fermi ai livelli della fine degli anni Novanta sembrava non accorgersene. Ma si sa, gli italiani sono distratti e sarà per questo che paghiamo Cottarelli, per ricordarci cosa ricordare.

Detto questo, cosa aggiunge Cottarelli con il suo articolo? Ebbene, come a dimenticare tutto quello successo dal 2012 ad oggi e soprattutto che i risultati ottenuti sono dovuti alle scelte fatte da coloro che lo sostengono e che lui sostiene, ci informa che i nostri attuali avanzi sulla bilancia commerciale sono in realtà una specie di fake news. Questo perché se dal 2008 i salari avessero seguito un normale trend di crescita e quindi gli italiani avessero continuato a comprare almeno quanto erano soliti comprare fino al 2008, ed ovviamente se lo Stato avesse seguito lo stesso trend di spesa, non avremmo l’attuale avanzo di bilancio tra import ed export.
Il surplus della bilancia commerciale e quindi l’avanzo delle esportazioni rispetto alle importazioni è dovuto piuttosto che alle buone capacità delle nostre aziende esportatrici, al fatto che agli italiani era stata sottratta la capacità di spendere e quindi acquistavano meno prodotti italiani e tanto più meno prodotti stranieri.
Insomma per aggiustare un bilancio si è distrutto un pezzo di vita reale. Per noi niente di nuovo sotto le stelle ma per i Cottarelli una nuova storia distorta da vendere al popolo ignorante (nel senso che ignora).
In perfetta lingua orwelliana si lamenta del fatto che l’aumento dell’export è dovuto alla nostra mancanza di capacità di spesa, piuttosto che ad un reale aumento delle esportazioni. Abbiamo un surplus perché sono diminuite le importazioni, e solo per questo. Sembra quasi che per l’ennesima volta la colpa sia nostra, o del tempo che è cambiato e si sta mettendo al brutto. Chi può controllare del resto il cambiamento del tempo? Tutto per far dimenticare che in economia succedono invece cose prevedibili, che dipendono dalle politiche economiche messe in atto che a loro volta dipendono dalle teorie economiche che le supporta. Quello che sta succedendo è solo la logica conseguenza della scelta di tutelare tutto tranne i cittadini e i lavoratori.
La giusta analisi dovrebbe appunto prendere in considerazione le politiche economiche messe in atto dall’era Monti e portate poi avanti dai governi di sinistra che si sono succeduti fino a Gentiloni. Ci si è piegati alle logiche austere volute dall’Europa della finanza e degli speculatori che vogliono una banca centrale autonoma e che non solo ogni paese faccia da se in caso di crisi ma lo faccia senza utilizzare gli strumenti propri della macroeconomia, che sono cambio e politica fiscale. Una mission impossible, dunque.
Chi ha ancora a disposizione questi strumenti ha ottenuto i seguenti risultati nel 2018 sul piano della disoccupazione: Usa 3,9% (nel 2010 era 9.6%), Uk 4% (nel 2010 era 7,8%), Giappone 2,4% (nel 2010 era 5%).
È andata bene anche a chi ha speso a deficit nei 19 paesi dell’eurozona preferendo tutelare i propri cittadini piuttosto che i parametri (forse non hanno il Pd): Irlanda 5,7% (nel 2010 era 14,5%), Spagna 15,3% (nel 2010 era 19,9%); Francia 9,1% (nel 2010 era 8,9%); Portogallo 7% (10,8%); Belgio 5,9% (nel 2010 era 8,3%); Olanda 3,8% (nel 2010 era 5%)
Insomma tutti hanno diminuito la percentuale di disoccupazione, la Francia più o meno stabile, l’Italia peggiora. Di seguito graficamente la situazione

L’analisi dovrebbe tener conto del perché questo è successo, e non si dovrebbe prescindere dal confronto con gli altri paesi e sul fatto conseguenziale che questi hanno potuto mettere in campo strumenti che noi abbiamo deciso di non utilizzare sacrificandoli sull’altare… di cosa?
Cottarelli cercando di dire altro e sviare come al solito l’attenzione, non fa che confermare che la politica dell’austerità non ha fatto bene al paese e quindi che chi ne ha fatto una fede ha sbagliato e ha trascinato l’Italia alle soglie del baratro. La tutela della domanda interna, sinonimo di benessere soprattutto per le classi medie e basse, dovrebbe essere la bandiera della sinistra ma è stata invece lasciata in mano alla Lega e ai 5s mentre Cottarelli e l’Osservatorio Cpi oggi attentano ancora alla memoria storica.
La sinistra dopo aver perpetrato all’infinito le ricette sbagliate di Monti si è inventata Cottarelli e Fazio, la difesa dei migranti e della movida ferrarese, tralasciando le istanze di giustizia sociale e di difesa della Costituzione, quindi del credito, dell’uguaglianza e dei confini nazionali, ultimo baluardo al movimento del capitale e della finanza speculativa.

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Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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