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Le voci “da dentro” sono quelle che provengono dalla nostra coscienza e che ci parlano direttamente, ma sono anche quelle voci che provengono da chi è “dentro” cioè da persone che stanno vivendo l’esperienza del carcere. A partire da oggi, Periscopio ospita questa nuova rubrica con lo scopo di provare ad offrire un’immagine della realtà “dietro le sbarre” diversa da quella percepita e filtrata dai media tradizionali affinché, ognuno nel proprio piccolo, combatta la sua battaglia contro gli stereotipi ed i pregiudizi che non aiutano il completo reinserimento di queste persone nella società. È un modo per dar voce alle persone ristrette e a chi opera nel carcere ma è anche per dare orecchio a chi, da dentro, sta parlando alle nostre coscienze. La rubrica è scritta in collaborazione con “Astrolabio”, il giornale del carcere di Ferrara.

Il testo che segue è una proposta per c hi si occupa delle condizioni di vita di chi vive in carcere, sia per aver commesso un reato ma anche per lavoro. A qualcuno apparirà provocatoria, ma è opportuno sapere che chi l’ha scritta la considera seria e trova provocatorie ben altre cose.
(Mauro Presini)

 Il carcere che vorrei (sognare non costa nulla)

di D. G.

Voltaire diceva: “Non mostratemi i vostri palazzi ma le vostre carceri poiché da esse si evince il grado di civiltà di un paese”.

In verità non esiste un carcere che vorrei, va da sé che come tutti quanti vorrei non essere qui ma a casa mia, ma visto che temo di non poter avere scelta, almeno avvenga che io faccia tesoro di questa esperienza non solo per una mia personalissima presa di coscienza ma anche per scrivere qualche riflessione su come vorrei che fosse diversa l’espiazione carceraria in Italia, magari di pubblica utilità in base alla mia esperienza e alla mia sensibilità.

In primo luogo, vorrei che il carcere fosse premiativo. Vorrei che esistesse una sezione distaccata completamente diversa, riservata ai detenuti meritevoli che se la siano guadagnata, a prescindere dal loro reato o da qualsiasi beneficio pattuito con lo Stato.

Ovvero che semplicemente amino comportarsi civilmente, educatamente, come quelli tranquilli, ordinati, che leggono, dipingono o semplicemente abbiano un carattere mite ed educato.

Questa sezione dovrebbe avere porte e non sbarre, giardino a libera frequentazione, finestre normali, libertà di colloqui con parenti ed amici non pregiudicati, possibilità di arricchimento delle camere penitenziarie con elettrodomestici, strumenti musicali o angoli di cucina liberamente allestiti coi propri mezzi, chiave personale, computer. Ovvio che al primo sgarro si tornerebbe nella sezione “comuni” e si perderebbe il “paradiso” per almeno un anno.

Questa sezione dovrebbe avere un solo posto di guardia con soli due piantoni per le emergenze e costerebbe un decimo di una sezione normale poiché sarebbe quasi interamente autogestita. Concederai telefono e internet a proprio pagamento, ovviamente con registrazione dei siti e delle chiamate, magari escludendo chi potrebbe verosimilmente recare danno alla comunità o reiterare i reati. L’ho buttata giù così forse esagerando un po’ con le concessioni ma andrebbe studiata bene perché con un simile obiettivo magicamente le sezioni comuni diventerebbero collegi francescani con diminuzione di rischi e tensioni anche per tutti gli assistenti e gli addetti alla guardia.

Secondo: vorrei che ogni sezione avesse tre portavoce che rappresentassero i detenuti che, assieme a corrispettivi delle altre sezioni, formassero un piccolo sindacato interno che si interfacciasse con l’amministrazione penitenziaria per difendere i diritti e per valutare i problemi, le emergenze, i reclami e i riconoscimenti.

Non sto scrivendo nulla di nuovo, si chiama democrazia e gli uomini la praticano da 2.000 anni.

Ciò servirebbe alla direzione per avere rappresentanze di sezione ordinate, attendibili anziché il caos e ai detenuti per avere una valida alternativa alla legge della giungla per ogni controversia interna e particolare.

Imparare il meccanismo magico della democrazia ovvero la promozione della voce della maggioranza nel rispetto dei diritti della minoranza, sarebbe poi un eccezionale esperimento per una presa di coscienza collettiva del diritto e per una crescita sul campo di quel prezioso senso civico che manca a tanti, soprattutto a chi non ha avuto la possibilità di studiare o di incontrare nella vita dei buoni maestri.

I “fatti” anziché le “prediche”.

Terza idea: vorrei una legge che prevedesse, per ogni magistrato, ogni direttore di Penitenziario, ogni ufficiale di polizia penitenziaria da ispettore in su, tre settimane di carcere sotto copertura (di cui una in isolamento), come fosse un corso di aggiornamento obbligatorio.

Questo periodo detentivo formativo dovrebbe essere necessario senza eccezioni per concorsi, promozioni e nomine di cui sopra con possibilità in ogni momento di interruzione immediata in caso di rivelazione, anche casuale, della copertura o di mancata sopportazione dell’esame, con conseguente sospensione della nomina in ruolo per 5 anni.

Sarebbe d’obbligo comunque il rifacimento daccapo.

Nessun luogo di lavoro come una casa circondariale, io credo necessiti così tanto di esperienza da dentro da parte di chi dovrà gestirne l’amministrazione, il welfare e la sicurezza. Potrebbero bastare anche solo due giorni per capire tutto, ma gli altri giorni sono necessari per ricordare per sempre.

Quarto ed ultimo punto: vorrei che ogni carcere assumesse obbligatoriamente una percentuale dovuta di cittadini italiani di cultura araba come assistenti, in rapporto alla percentuale dei detenuti di medesima provenienza presenti all’interno di quel istituto. Vorrei che ogni regione indicesse relativi concorsi necessari a questa innovazione per favorire la comunicazione e la gestione diretta di una così larga parte di detenuti, spesso ignari da modi e diritti, affinché la legge possa essere un poco più uguale per tutti.

Si chiama Astrolabio il giornale della Casa Circondariale di Ferrara. Ed è un progetto editoriale che, da qualche anno, coinvolge una redazione interna di persone detenute insieme a persone ed enti che esprimono solidarietà verso la realtà dei detenuti. Il bimestrale realizza il suo primo numero nel 2009 e nasce dall’idea di creare un’opportunità di comunicazione tra l’interno e l’esterno del carcere. Uno strumento che dia voce ai reclusi e a chi opera nel e per il carcere, che raccolga storie, iniziative, dati statistici, offrendo un’immagine della realtà “dietro le sbarre” diversa da quella percepita e filtrata dai media tradizionali.

Per vedere le altre uscite di Le Voci da Dentro clicca sul nome della rubrica.

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Mauro Presini

È maestro elementare; dalla metà degli anni settanta si occupa di integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Dal 1992 coordina il giornalino dei bambini “La Gazzetta del Cocomero“. È impegnato nella difesa della scuola pubblica. Dal 2016 cura “Astrolabio”, il giornale del carcere di Ferrara.

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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