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When the levee breaks… (Quando l’argine si rompe…)

​Il concerto di Springsteen a Ferrara: bello senz’anima

Non è sempre facile essere persone coerenti di questi tempi; non so voi ma io confesso che, certe volte, non riesco ad esserlo.
Talvolta, soprattutto di fronte a scelte difficili, provo a vivere le mie contraddizioni anche se questo approccio mi risulta difficoltoso e travagliato; tendo poi a scendere a compromessi con me stesso, anche se è un’impresa molto ardua.
È naturale quindi che certe mie decisioni siano sofferte e tormentate: a volte le credo coraggiose ed intransigenti, altre volte sono ambigue e condiscendenti.

Un esempio al proposito riguarda il concerto di Bruce Springsteen a Ferrara.

Lui è un artista che conosco musicalmente da 50 anni, che stimo moltissimo, che ho già visto in concerto e che rivedrei a oltranza.
Sono stato fra i primi a comprare i biglietti anche se sono rimasto molto sorpreso rispetto alla scelta della location per il concerto perché il Parco Bassani di Ferrara non è certamente un’area appropriata.

Ho preso l’impegno, con me stesso, di andare al concerto ma di usare quei 12 mesi di tempo per lottare affinché la sede fosse spostata nella zona dell’aeroporto, già usata in passato per grandi eventi (vedi Festa Nazionale dell’Unita nel 1985).

Quello che è successo in questi mesi è sotto gli occhi di tutti: l’amministrazione locale, già poco trasparente sui dettagli economici riguardanti il concerto, ha deciso di mantenere la sede del Parco Urbano dimostrando di non saper accogliere le critiche, anche se costruttive, presentate da Save The Park.

Nonostante questo, ho deciso faticosamente di andare al concerto di Bruce Springsteen al Parco Urbano perché è legittimo immaginare che questo sia uno dei suoi ultimi tour mondiali.

Inoltre, quello che è successo in questi ultimi giorni è sotto gli occhi di tutti: a pochi giorni dal concerto, la natura si è ribellata all’uomo e ha cominciato a farsi sentire in maniera molto violenta.

Ha demolito argini facendo esondare diversi fiumi, ha allagato intere città della vicinissima Romagna producendo disastri inimmaginabili.

Il territorio, trascurato da tempo e martoriato da asfalto e cemento, ha vomitato la sua rabbia creando inondazioni tremende e frane terribili; ha invaso e ha distrutto i luoghi dell’uomo. Città e paesi molto vicini a noi sono devastati; diverse persone sono morte.

In tanti abbiamo pensato che fosse giusto rinviare oppure annullare il concerto ma le risposte date dall’organizzazione si possono catalogare sotto la voce: “The show must go on” (Lo spettacolo deve andare avanti), insieme agli affari.

Se provo per un attimo a mettermi nei panni del sindaco di Ferrara, ammetto che non sarebbe stato facile annullare questo concerto pertanto posso capire le difficoltà che ci sarebbero state. Piuttosto contesto due cose: la modalità comunicativa scelta (assente quella istituzionale nei giorni precedenti e solo sui social network nel giorno stesso) e alcuni contenuti del post su Facebook: in particolare, la presunta difesa dei lavoratori dello spettacolo che hanno lavorato molto sodo ed in condizioni difficilissime nei giorni precedenti ma che sarebbero stati pagati comunque anche ad evento annullato e la scelta di destinare una cifra al comune di Faenza che mi sembra irrisoria.

Nonostante questo, seppur con l’animo tormentato, ho scelto di andare al concerto di Bruce Springsteen al Parco Urbano portando con me uno zaino pieno delle mie contraddizioni e del bisogno di sentire dal palco, insieme alle sue canzoni straordinarie, qualche parola di solidarietà sulla tragedia avvenuta a qualche decina di chilometri da Ferrara e, magari, rivolta anche a tutte quelle persone che sono state costrette a rinunciare al concerto.

Durante il percorso fangoso che ci ha portato al nostro settore, accompagnati dall’odore tipico della paglia bagnata messa per terra per rinforzare il terreno, pensavo al Parco e al suo attuale sfruttamento consumistico. Camminando in fila, cercando di evitare gli acquitrini più profondi, mi sono chiesto quale fosse l’albero piantato per mia figlia, nel 1992, dall’amministrazione di allora che aveva dimostrato di saper progettare il futuro mettendo a dimora una pianta per ogni bambino o bambina nati in quegli anni.

Procedendo, guardavo stupito il costo spropositato della merce ufficiale: 40 euro per un cappellino, 50 euro per una maglietta e 90 euro per una felpa; ho pensavo agli anni settanta quando, per molto meno, si contestavano alcuni cantautori per il prezzo dei loro concerti. Mi è venuto in mente il più “alternativo” dei miei compagni di classe di allora che definiva “industrialotti del rock” alcuni dei nostri miti musicali, demolendoceli in un attimo con uno slogan talmente efficace da essere ancora attuale.

Dopo una grandissima performance di Fantastic Negrito ed una buona esibizione di Sam Fenders, alle 19.30 è salito sul palco l’uomo che in tanti stavamo aspettando: il cantante, l’artista, il mito, l’idolo.

Mi aspettavo che Bruce Springsteen iniziasse il concerto parlando della tragedia che stava succedendo intorno a Ferrara; mi sembrava legittimo aspettarselo da uno che non si è mai risparmiato in quanto ad impegno sociale e ad iniziative di beneficienza.

Invece “Ciao Ferrara” e via con le canzoni.

Non è facile, quindi, raccontare questo concerto che è stato bellissimo; certo non all’altezza di quelli visti decine di anni fa ma 3 ore non sono poi così facili da reggere per un uomo di 73 anni che ha scelto una scaletta davvero intensa[1], eseguita con la sua inesauribile energia e la risaputa potenza della E Street Band.

Molti di questi brani sono stati resi unici dal canto all’unisono di tutto il pubblico (“Because the night” in particolare). Segnalo, fra tutte le altre canzoni memorabili, la straordinaria cover di “Nightshift” che i Commodores dedicarono a Marvin Gaye e Jackie Wilson, due immensi cantanti della musica soul; Bruce l’ha interpretata con rispetto e delicatezza lasciando a due suoi coristi un finale davvero da brividi.

In tutto questo alternarsi di pezzi storici, nemmeno una parola sul dramma che ha sconvolto la Romagna.

Conoscendolo come persona sensibile che sa raccontare in modo unico i tormenti della povera gente, quel suo silenzio iniziale è stato straordinariamente significativo; qualche giornalista ha scritto che “No surrender” (Nessuna resa), brano d’apertura del concerto di Ferrara, era un messaggio di incoraggiamento alle popolazioni colpite. Non è così perché la grandissima parte dei concerti di apertura di questo tour iniziano tutti con questa canzone.

Ho sperato che trovasse un momento, durante il concerto, per far sentire la sua vicinanza e che portasse la sua solidarietà, magari introducendo uno dei suoi tanti brani adatti in scaletta. Ho sorriso immaginandomi come Nanni Moretti nel film “Aprile” quando, di fronte alla televisione, pregava D’Alema di dire una cosa di sinistra; io invece lì a sperare che Springsteen dicesse almeno “una cosa di civiltà”. Ho addirittura fantasticato che annunciasse umilmente di destinare una parte dell’incasso alle popolazioni colpite.

Invece mi è toccato restare stupito di fronte all’assenza di uno degli elementi fondamentali presenti nei concerti di Springsteen: l’anima.

Lo show di Ferrara è stato grande, potente, bello, però di un bello senz’anima; tutto l’insieme mi è sembrato un baraccone gigante, portato in giro da un abile imprenditore, pronto ad essere presentato su qualsiasi pubblica piazza ma indifferente a ciò che succede al di fuori.

Anche i suoi due discorsi toccanti prima di “Last man standing” e di “I’ll see you in my dreams”, erano accompagnati da sottotitoli proiettati sul maxischermo a testimoniare la non spontaneità di quelle belle parole.
Non è una cosa che ci si aspetta da un personaggio mitico come Bruce Springsteen; il mio vecchio compagno di classe direbbe che è una cosa da “industrialotto del rock”.

Sono uscito lentamente verso casa riconoscendo che l’organizzazione è stata buona e la città ha retto bene ad un afflusso così notevole di spettatori.

Il Parco Bassani calpestato, fisicamente e simbolicamente, ha subito un colpo durissimo: penso che ci vorrà un bel po’ di tempo per rimetterlo in sesto anche se, di farlo, non credo interessi molto all’amministrazione e a Barley Arts visto che già per il prossimo 2 luglio hanno organizzato un altro evento al Parco Bassani, con addirittura due palchi su cui si esibiranno diversi artisti molto conosciuti.

Anche io mi sono sentito un po’ calpestato, non solo fisicamente sui piedi, ed ora ho bisogno di uscire dall’immobilismo del fango dell’altra sera e di darmi una mossa.

Mentre scrivo ascolto:When the levee breaks (Quando l’argine si rompe), composta ed interpretata da Memphis Minnie nel 1929: parla degli sconvolgimenti dovuti all’alluvione del Mississippi nel 1927. Lo stesso brano è stato reso molto famoso dai Led Zeppelin nel 1971.

Nel testo dice che “quando l’argine si rompe, bisogna darsi una mossa” (When the levee breaks, mama, you got to move).

Nel mio piccolo, ho fatto una prima piccolissima mossa: una donazione alla Protezione civile dell’Emilia-Romagna  (trovate tutti i riferimenti in primissimo piano su Periscopio) per l’alluvione in Emilia Romagna dello stesso importo del biglietto pagato profumatamente per il concerto di Bruce Springsteen.

D’altronde ognuno vive le sue contraddizioni come può, le accoglie se e come vuole e le affronta per come è.

La scaletta del concerto: No Surrender, Ghosts, Prove It All Night, Letter to You, The Promised Land, Out in the Street, Candy’s Room, Kitty’s Back, Nightshift, Mary’s Place, The E Street Shuffle, Johnny 99, Last Man Standing, Backstreets, Because the Night, She’s the One, Wrecking Ball, The Rising, Badlands, Thunder Road.

Questi sono stati i brani eseguiti come bis: Born in the U.S.A., Born to Run, Bobby Jean, Glory Days, Dancing in the Dark, Tenth Avenue Freeze-Out e I’ll See You in My Dreams.

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Mauro Presini

È maestro elementare; dalla metà degli anni settanta si occupa di integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Dal 1992 coordina il giornalino dei bambini “La Gazzetta del Cocomero“. È impegnato nella difesa della scuola pubblica. Dal 2016 cura “Astrolabio”, il giornale del carcere di Ferrara.

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PAESE REALE
di Piermaria Romani


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