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da MOSCA – Quando ho preparato il testo sulla mia Street Photography, pubblicato qualche giorno fa, immedesimandomi a fondo e con (ovvia) modestia, negli scatti dei grandi fotografi camminatori, come amo definirli, mi sono imbattuta, per caso, in Vivian Maier che avevo solo citato di sfuggita, gettando quasi un amo alla vostra curiosità. All’inizio non avevo troppo approfondito il misterioso personaggio che, tuttavia, mi aveva profondamente colpito e lasciato quasi un senso di vuoto che si sarebbe colmato solo con la decisione di rinviare la ricerca ad altro, più idoneo, tranquillo e calmo momento. Immaginatevi, dunque, la mia sorpresa e curiosa eccitazione quando aprendo il The Moscow Times del 29 agosto di quasi due anni fa, alla pagina 12 ‘What’s on’, ovvero il calendario settimanale della vita culturale moscovita (ancora lo conservo), leggevo che dal 4 settembre il Centro fotografico fratelli Lumière della capitale avrebbe ospitato fotografie della Maier, per la prima volta in Russia. Dovevo andare al più presto, anche se, a malincuore (la trepidazione era tanta, troppa), avrei dovuto aspettare una decina di giorni, dovendo prima partire per una pillola di ultima, tenera e romantica vacanza romana e concludere alcuni importanti impegni personali e lavorativi. Roma ne era valsa la pena, davvero, dunque avevo atteso alla fine senza troppa fatica, ma il ritorno in Russia sarebbe stato accolto da questa novità. Ecco allora che, un sabato mattina uggioso e piovoso, mi armavo di ombrello, impermeabile, scarpe da tennis, cartina e indirizzo manoscritto e cercavo il Centro Lumière.

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La locandina del documentario

Trepidante. Perché decido di parlarvene solo oggi a quasi un anno di distanza dalla mostra moscovita? Perché la città, all’avanguardia come sa spesso essere, aveva ben capito il fenomeno Vivian, oggi che il documentario sulla sua vita, ‘Finding Vivian Maier’, realizzato dal suo scopritore John Maloof, è candidato al Premio Oscar.

Quell’estate, dunque, sapevo solo che dovevo attraversare il ponte sulla Moscova vicino alla Cattedrale di Cristo il Redentore, non lontano dalla metropolitana Kropotkinskaya, e dirigermi in uno dei maggiori centri culturali della città, vivo, pullulante d’idee e colori. Camminavo curiosa verso un posto che avrei trovato davvero magico, la fabbrica di cioccolato Einem, aperta nel 1867 dai tedeschi Theodor Ferdinand von Einem e Julius Heuss, nazionalizzata nel 1918 e, nel 1992, ribattezzata Ottobre Rosso. Oggi l’area, che si trova di fronte all’imponente monumento di Pietro il Grande che svetta su un altrettanto imponente nave, ospita centri di fotografia dal forte e penetrante odore di pellicola, gallerie moderne e alternative, con esposizioni temporanee, il bar-biblioteca del Museo di fotografia Lumiere, il suo fornito bookshop. Questo centro è uno spazio per mostre, qui siamo andati a incontrare Vivian. Ho comprato il biglietto, 300 rubli, che conserverò con alcune foto acquistate nel bookshop sulla Mosca degli anni Quaranta – Settanta, e sono entrata, curiosa di ammirare le 50 fotografie esposte, rigorosamente in bianco e nero, quasi tutte risalenti agli anni Cinquanta. Deciderò, allora, anche di contattare John Maloof. Ci avrei provato, e con successo.

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Biglietto della mostra su Vivian Maier

Torniamo a Vivian, le cui immagini spesso sono state comparate a quelle di Henri-Cartier-Bresson e le composizioni avvicinate a quelle dell’ungherese André Kertész. Si dice che fosse amica dell’austriaca Lisette Model, ma, nella realtà, si sa poco della sua vita, avvolta quasi completamente dal mistero. Non si sa veramente se fosse nata a New York o in Francia il 1 febbraio 1926 (dunque compleanno pochi giorni fa?), arrivata negli Stati Uniti negli anni ’30, dove aveva vissuto, a New York, lavorando come commessa in un negozio di caramelle. Dagli anni ’40 si era trasferita a Chicago, dove era stata assunta come bambinaia in una famiglia del North Side.

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Autoritratto di Vivian Maier, © Vivian Maier / Maloof Collection

Appassionata di cinema europeo, aveva imparato l’inglese andando a teatro, vestiva abiti e scarpe da uomo e indossava enormi cappelli. Una donna che non amava parlare, così la ricordano gli impiegati nello storico negozio di apparecchiature fotografiche di Chicago ‘Central Camera’, che ha trascorso i suoi ultimi giorni in una casa pagata dai tre ragazzi che aveva accudito fino agli anni ’60. Sono loro, raggiunti da John Maloof, fotografo per passione e agente immobiliare per professione in cerca di materiale fotografico per la scrittura di un libro sui quartieri di Chicago, a raccontare di una donna misteriosa, socialista, femminista e anti-cattolica, che scattava fotografie in continuazione. Caduta in disgrazia, i suoi mobili furono messi all’asta e 40.000 negativi, dei quali circa 15.000 ancora all’interno di rullini non sviluppati, furono acquistati per poche centinaia di dollari da Maloof. È lui a decidere di far conoscere al mondo intero l’opera di Vivian pubblicando gran parte delle immagini acquisite sul blog Vivian Maier – Her discovered work [vedi], sempre più frequentato. Sboccia così, a metà tra leggenda e virtualità, il mito di Vivian Maier, la fotografa del mistero della quale si conoscono rare notizie biografiche e il cui viso s’intravvede solo in alcuni autoscatti. Si tratta di 40 anni di immagini che sfilano, pensate quanto ancora ci sia da vedere.

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© Vivian Maier / Maloof Collection
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© Vivian Maier / Maloof Collection

A Mosca, avevo ammirato 50 splendide fotografie, peraltro acquistabili in originale, di anziane impellicciate ben pettinate che guardano stizzite l’obiettivo, di uomini con i cappelli che fumano sigari, di bambini che piangono accuditi da mamme attente, di donne eleganti che aspettano, in ordinata fila, l’autobus (forse), di mani di innamorati che si intrecciano, come le mie, le nostre, le vostre.

 

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© Vivian Maier / Maloof Collection
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© Vivian Maier / Maloof Collection

E’ davvero un’emozione passeggiare per quelle strade in bianco e nero e ritrovarsi ancora bambini fra le braccia accoglienti dei genitori, osservando, da lontano, due poliziotti che trascinano un vecchio signore che non ha poi così l’aria da criminale ma solo le sembianze di un’antica sbornia.

Il mistero di questa donna introversa rimane grande, a me piace l’idea di lasciarlo così, anche se tanto si scriverà ancora sulla sua vita, forse perché lei davvero voleva questo, forse perché restare anonimi talvolta aiuta le vite difficili e solitarie. Tuttavia, rivelare una tale anima nascosta è stato sicuramente un grande regalo per tutti, anche se in molte immagini pare celarsi una profonda sofferenza, attenuata dalla curiosità e dall’amore per la vita.

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© Vivian Maier / Maloof Collection

Così, dunque, voglio immaginarmi Vivian, chiusa e riservata ma allo stesso tempo tenera e sensibile alle sofferenze della strada, attenta all’essere umano e alla sua storia fatta anche di tanti gesti teneri e sorpresi. Perché la sorpresa e la tenerezza restano il cuore pulsante di ogni vita.

Il film-documentario “Finding Vivian Maier” è stato presentato a vari festival, fra i quali il Toronto International Film Festival del 2013, e oggi è candidato al Premio Oscar come miglior documentario [vedi].

Ringrazio John Maloof e Franny Vignola della Howard Greenberg Gallery di New York per la collaborazione e la gentilezza dimostrata nella concessione delle immagini.

Per saperne di più visita il sito [vedi]

Le altre foto sono di Simonetta Sandri

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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