Skip to main content

Sarebbe opportuno che di fronte agli errori degli adolescenti gli adulti si interrogassero più frequentemente sul cosa hanno sbagliato nel crescere quelle vite. Ma questo difficilmente avviene, poiché si tende a dare per scontato che sia nella natura di chi è ancora troppo giovane cadere in errore e che l’adulto detenga le chiavi della formazione.
Eppure, se gli adulti nutrissero fiducia nelle loro capacità pedagogiche, i rischi d’errore, per chi è ancora nella fase di formazione del sé, dovrebbero approssimarsi sempre più allo zero. Invece ad essere a zero sono le certezze sulle nostre performance formative e sui loro esiti. La questione è che i piccoli non sanno crescere perché i grandi non sanno educare.
Educare, proprio nel senso maieutico del termine, di condurre fuori, di trarre da sé. Come l’arte della dialettica e dell’ironia di Socrate che sarebbero necessarie ad ogni pedagogia della vita.
Noi, invece, pensiamo sempre di cavarcela con gli insegnamenti. Con la trasmissione orale di contenuti, di dosi di passato, ammaestramenti e ingiunzioni, a prescindere che poi nella vita di tutti i giorni, nostra e degli altri, vi siano coerenze con le etiche oggetto delle nostre istruzioni. I giovani li abbiamo messi nelle classi ad ascoltare verbi che non ritrovano al di fuori dei musei del sapere e della morale.
Così la separazione non è più tra il bene e il male, ma tra il racconto della vita e la vita. Quando le due cose non corrispondono, perché dovrebbero farle coincidere loro che non sono ancora cresciuti, che hanno il diritto di esser più fragili di noi che siamo adulti?
Poi ci inviluppiamo in concioni sul bullismo, curiamo i prepotentelli con i fanghi dell’educazione compensativa, senza mai uscirne migliori né loro né noi.
È che non ci siamo mai liberati dall’essere come le statue nella sonnolenza del meriggio, come la nuvola, mentre alto vola il falco del “male di vivere” che il poeta spesso ha incontrato.
All’indifferenza divina abbiamo aggiunto la nostra, abbiamo disimparato a misurarci con il male di vivere, lasciando sempre più che ci passi accanto, tanto da non accorgerci quando, anziché sfiorare noi, si struscia contro i nostri figli.
Non esiste il vaccino contro il male di vivere e mettere in guardia dai pericoli dell’esistenza non è più sufficiente a fornire gli anticorpi.
Dei giovani bisogna farsi carico, vivere accanto a loro, condividerne le esperienze, dedicargli il nostro tempo, coinvolgerli nella gestione della vita, non come un manuale di istruzioni pronte per l’uso, ma con la propria identità di adulti testimoni responsabili delle proprie scelte: come un manuale di coerenza.
I giovani crescono se hanno modelli, testimoni da imitare, se la fascinazione dell’altro, adulto, li ha incontrati nel loro percorso.
Se, invece, la vita diviene troppo presto un insieme di pagine da staccare giorno dopo giorno, non c’è da stupirsi che gli antidoti siano l’aggressività, il sopruso, il bullismo. Finisce che si uccide perché il volto felice dell’altro diviene insopportabile.
Quanto di umano investiamo nella formazione delle giovani generazioni è una responsabilità collettiva.
Se le esistenze che annegano in mare fanno notizia anziché scandalo, se lo sgombero dei campi rom con le ruspe è un atto di pulizia anziché un delitto, testimone di quale credibilità e coerenza è l’adulto che sta accanto ai suoi figli, ai giovani che dovrebbe crescere come educatore o come insegnante?
Nella società dell’ambivalenza è l’etica che si sdoppia, perché non ci sono più condotte condivise, anzi a prevalere sono destinati quei comportamenti che meglio accarezzano gli istinti aggressivi dell’uomo, specie dell’uomo più giovane.
Nonostante gli sforzi che privatamente si possono compiere per opporsi ad una simile deriva, chi cresce, cresce nell’ambivalenza e nell’ambiguità. Basta guardarsi attorno per comprendere che il nostro male di vivere oggi veste gli abiti dell’ambiguità, dalle proteste dei gilet gialli a quanti sostengono che destra e sinistra non esistono più, dai sovranismi ai populismi.
Questa ambiguità l’hanno scoperta i giovani come Greta, per questo sono scesi in piazza a denunciare il doppio volto del mondo degli adulti che ha tradito le promesse e, dunque, non può più proporsi come testimone degno di fiducia. Lo sciopero della scuola ne è la conseguenza, come significativo rifiuto d’essere formati da chi non è più in grado di essere adulto.
Se il ruolo dell’adulto manca, i giovani sanno provvedere e prenderlo in mano, perché adulto è crescita, è modello di crescita e non può essere assente, ma neppure tutto ciò è esente dall’ambiguità, per tanto può sfociare nell’etica del “Friday For Future”, come in quella opposta della prepotenza.
I giovani avrebbero bisogno di “exempla” in cui credere, in cui immedesimarsi, ma il prodotto interno lordo delle nostre società di exempla non ne produce più e gli adulti ne hanno da tempo perduto il mestiere.

tag:

Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it