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di Federico Messina

Puntualmente ogni anno si ripropone il pasticcio sull’accesso alle facoltà a numero programmato, con le ovvie conseguenze che questo determina negli atenei e nelle famiglie di chi ha sempre sognato una carriera come medico.
Con una sentenza del 3 febbraio 2016, come puntualmente accade da anni, il Tar del Lazio ha ammesso alla Facoltà di Medicina e Chirurgia 9.000 ricorrenti in sovrannumero per l’anno accademico 2014/2015. Se consideriamo gli altri 1.800 iscritti per via giudiziaria al primo e secondo anno negli anni 2013 e 2014, raggiungiamo quota 10.800, che sommati agli studenti che hanno regolarmente superato il test di ammissione portano il totale a 31.000 studenti.

Questa moltitudine di giovani medici nel biennio 2019-2021 si contenderà circa 14.000 contratti di formazione specialistica insieme con i concorrenti che negli anni precedenti non hanno superato il concorso nazionale. Ci ritroveremo dunque in pochi anni a incrementare l’esercito di medici disoccupati e il numero già alto di precari da stabilizzare?
L’unico dato certo è che dopo aver investito nella loro formazione, l’Italia perde il 25-30% dei neo-specialisti a beneficio di altri sistemi sanitari europei. Le destinazioni di gran lunga più comuni sono il Regno Unito e la Francia, seguite dagli Stati Uniti.
Nel Regno Unito i medici italiani sono più di 3.000. All’inizio del 2014, 2.919 medici italiani (1,1% del totale) erano iscritti al General Medical Council e quindi abilitati a svolgere la professione medica nel Regno Unito. Questo numero è in continuo ed esponenziale aumento, secondo un rapporto della House of Lords del 2013. Senza contare quei medici che lavorano nella ricerca di base, nell’industria farmaceutica o nelle agenzie regolatorie.
Come mai la politica italiana sembra disinteressarsi alla sempre più crescente necessità di programmazione sanitaria, del turnover lavorativo e di accesso alle carriere sanitarie?
In fondo il Conto annuale 2014 del Ministero dell’Economia ha evidenziato un netto calo del numero dei dirigenti medici a tempo indeterminato (dai 113.803 del 2013 ai 112.746 del 2014) e l’aumento dell’età media che è arrivata 52,83.
Perché nelle aziende ospedaliere pubbliche c’è da tempo un blocco del turn over che non permette nuove assunzioni e lascia i reparti sguarniti di 5.000 camici bianchi in meno rispetto al 2009?
I sindacati dei medici hanno più volte enfatizzato queste carenze ma, nonostante il recente recepimento della direttiva europea sugli orari lavorativi renda imperativo l’adeguamento del numero di personale sanitario alle sempre più crescenti esigenze di salute dei cittadini, non si percepisce alcuna risposta efficace da parte del Servizio sanitario nazionale.
Forse perché col pretesto di insegnargli a rendersi ‘indipendenti’, i medici specializzandi in formazione vengono spesso utilizzati come manovalanza a basso costo per tappare i buchi di organico delle cliniche universitarie? Tutto ciò avviene ovviamente a discapito della reale formazione della professionalità delle future generazioni di medici che un giorno si prenderanno cura di noi; e chissà se un giorno ci troveremo così a dover importare medici capaci di affrontare il nostro bisogno di salute.

Piuttosto che affrontare questi temi e bisogni, il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin sembra preferire un intervento alla riunione della Commissione Sanità di Federmanager, dichiarando: “È il momento di aprire una seria riflessione sulla sanità integrativa. Mi piacerebbe incentivarla maggiormente”. Ancora un altro passo verso la privatizzazione del Sistema Sanitario Nazionale?

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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