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Un concerto dovrebbe essere e basta, ma in realtà le cose devono essere pianificate nei minimi dettagli.  Devi provare con altri musicisti in modo da ridurre la possibilità di improvvisare e queste cose impediscono che un concerto sia veramente spontaneo”.
Parola di Vangelis, il grande compositore greco, già tastierista dei mitici Aphrodite’s child.

Vorrei partire da questa semplice affermazione e provare a riflettere sui megaconcerti rock. La musica dell’ultimo, quello di Springsteen a Ferrara, volteggia ancora tra le foglie degli alberi del parco Bassani, con la sua lunga coda di polemiche.

Dal primo grande raduno rock a Monterey in California nel 1967 di note ne sono passate nell’aria. Dai tentativi di dare corpo alla controcultura giovanile, con il movimento hippy, alla globalizzazione musicale senza più anima, dove tutti i luoghi d’intrattenimento risultano alla fin fine uguali e quello che conta veramente è non fermare mai la macchina tritatutto dello spettacolo. Una logica perversa, ma stringente, che vola inesorabilmente sulle nostre teste, stringe ancora i nostri stomaci e continua a regalarci emozioni più o meno forti, alla faccia di ogni orpello moralistico. 

Non mi scandalizzo dunque, dei tanti paradossi che i megaconcerti propongono ogni volta, finendo ogni volta per essere bellamente accantonati, perché ritenuti, a torto o a ragione, demagogici. La legge del mercato è inesorabile.

Quindi non c’è storia. Se un musicista ha un cachet che per un’esibizione può arrivare e anche superare il compenso mensile di un’intera comunità di 2000-2500 persone, il problema non esiste: basta fare sold out e avere un indotto sufficientemente largo. Ci guadagnano tutti: promoter, maestranze, albergatori e ristoratori. Ricordiamoci di quello che è accaduto con i lockdown: decine di migliaia di persone ridotte quasi alla fame.
L’immenso circo che accompagna l’esibizione dal vivo di un big della canzone con la sua band è ormai organica alla legge del consumo e se i prezzi dei biglietti, soprattutto dopo la pausa forzata imposta dalla pandemia, risultano spesso proibitivi per molte persone, peggio per loro. [vedi dal sito di RollingStone: i prezzi dei biglietti per i concerti sono diventati folli]. 

Anche in questo caso, la storia degli anni settanta ci ha insegnato molte cose, mettendo per anni il nostro Paese ai margini delle esibizioni live dei giganti del rock, impauriti dalle violente contestazioni sui prezzi.
Inutile ritornare sull’argomento, anche se, questa volta, pure dall’ estero stanno arrivando proteste contro il caro biglietti, rivolte non solo ai promoter, ma anche ai musicisti. Questi, in generale, non sembrano porsi alcun problema di responsabilità “sociale” nelle loro scelte produttive. Quei pochi che ci hanno e/o ci stanno provando, si sono trovati davanti a difficoltà enormi. A solo titolo di esempio i mitici Pearl Jam. [Vedi qui]

Mai come in questi anni il consumo di musica è diventato  tanto largo e diffuso. Schiacci un link e puoi ascoltare qualsiasi musicista, spesso gratuitamente, bypassando con i cookies e la pubblicità,  i costi che qualsiasi produzione musicale deve sostenere per garantirsi un futuro. Le piattaforme ed i concerti dal vivo, lo sappiamo, hanno sostituito la vendita dei supporti fissi. Anche se la fedeltà della riproduzione è ai minimi, la gran massa degli ascolti si accontenta della quantità, al grido di “gratis  è bello”.

qualità audio e frequenza di campionamento
Audio in alta risoluzione: come ascoltare la musica alla massima qualità [Vedi qui]

Non avendo forse mai sperimentato la magica alchimia che, quando ero giovane, derivava dal rumore della puntina sul long playing appena acquistato, spesso a costo di parecchie rinunce. E quel disco lo si ascoltava fino a consumarlo. 

I concerti live restano dunque una delle poche isole “felici” nella nostra esperienza musicale?
Un evento si vive innanzitutto con il cervello:  il primo, collocato nella testa. Il secondo, altrettanto importante, collocato nello stomaco. Se il concerto lo seguite su di un maxischermo che inquadra, come un’icona, il vostro beniamino, allora secondo me avete sbagliato tutto. A parte il “Ciao Ferrara !!!”, che diventerà “Ciao Roma o Ciao Milano !!!” lo spettacolo sarà perfettamente riproducibile a se stesso, come in un disco, con l’unica, non banale differenza, di una riproduzione sonora sicuramente al top.
È come andare ad ammirare la Gioconda al Louvre invece che in una riproduzione cartacea di alta qualità. Vuoi mettere? Modestamente, sì.

Quando arriverò a trentatré anni smetterò. Quella è l’età in cui uno dovrebbe fare qualcos’altro. Non voglio fare la rockstar per tutta la vita. Non potrei sopportare di finire come Elvis a cantare a Las Vegas con le casalinghe e le vecchiette che arrivano con la busta della spesa.
Chissà se Mick Jagger si ricorda di questa sua istruttiva affermazione giovanile. Perché il megaconcerto rock è un fatto culturale ben preciso e circostanziato. Come il mito dell‘autenticità nel rock.  Ecco la voce “
Autenticità e artisticità rock” nella Storia della Civiltà Europea Treccani [Vedi qui].

Riproporlo come un rito senza tempo è ancora una volta un miracolo del capitalismo e della sua capacità di trasformare tutto in merce.
A mio avviso, l’unica dimensione ancora percorribile é quella del teatro, dove la finzione scenica e musicale è palese, ma il contatto con il pubblico, “umana” e dunque sostenibile. So che questa mia provocazione non sarà digerita dai più. Anche per questo la lancio, sperando di ricevere qualche indicazione utile a farmi cambiare idea. In fondo è questa la mia segreta aspirazione.
Ragazzi, il megaconcerto mi manca.

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Alberto Poggi

Fisico di formazione, strimpellatore di chitarre per diletto, scribacchino per passione. Ho attraversato molte situazioni e ruoli nella mia vita. Da due anni sono ufficialmente un pensionato, ma non penso nemmeno lontanamente di andare in pensione con la testa. Non preoccupatevi però, sono un pigro nella scrittura.

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