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Ennesimo Rapporto ambientale, ennesima conferma di un trend di degrado che sembra inarrestabile. Questa volta è l’ISPRA, che circa un mesetto fa ha presentato, in piena bagarre vacanziera, il suo “Rapporto nazionale sul consumo di suolo-2021”

In questi giorni, Legambiente Emilia-Romagna, utilmente e puntualmente, ha rielaborato i dati per la nostra regione, ottenendone un quadro disarmante e allarmante.

Ai vertici del PIL per abitante [Vedi qui]  e per Ricerca e Sviluppo [Qui] l’Emilia-Romagna nel 2021 è però terza nel poco invidiabile primato di consumo di suolo. Peggio di noi fanno solo Lombardia e Veneto. E non va meglio se consideriamo il consumo netto di territorio (ovvero il rapporto tra mq costruiti o impermeabilizzati ed ettaro di suolo): in questo caso scendiamo al quarto posto, perché ci supera anche la Campania.

Fatta la legge, trovato l’inganno, dice un vecchio adagio popolare. In questo caso la legge regionale è la n. 24 del 2017. Il suo corretto recepimento a livello comunale passa attraverso la stesura e approvazione dei PUG (Piano Urbanistico Generale), laddove si impone una soglia di consumo pari al 3% rispetto al 2017. “Rielaborando i dati ISPRA”-  scrivono quelli di Legambiente Emilia-Romagna – “ si trova che tale limite è già stato ampiamente superato da 21 Comuni che hanno prorogato più volte l’approvazione del PUG.” Aggirando dunque bellamente la legge.

Una cartina ci può evidenziare più di tanti numeri e parole questo sfascio. Si trova a pag. 213 del rapporto ISPRA ed evidenzia lo sviluppo dei poli logistici in Italia.  Tra la via Emilia ed il West”, come cantava il buon Guccini, non ci sono più le sconfinate praterie, ma le grandi piattaforme dell’e-commerce, la nuova frontiera del commercio e della distribuzione delle merci, ovvero AMAZON ed i suoi innumerevoli cloni.  Altro che dematerializzazione o merci a km zero.

In una recente indagine sul consumo di suolo in Italia [Vedi qui] pubblicata nel numero di marzo di La Nuova Ecologia  (la rivista di Legambiente) si legge tra l’altro::
Il commercio elettronico disegna nuove geografie e consuma suolo. La Pianura Padana, uno dei luoghi con l’aria più inquinata al mondo, è diventata una grande piattaforma logistica, che serve anche il mercato europeo. Tra Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, centinaia di ettari di suolo agricolo vengono trasformati per realizzare poli logistici collegati a porti e aeroporti, presso i caselli autostradali, gli snodi ferroviari”.

E’ il mercato, bellezza! Ma al consumo di suolo, con tutte le conseguenze che questo comporta, soprattutto per una Regione fortemente antropizzata come la nostra, non si contrappone, come spesso si sostiene, l’aumento dell’occupazione ed il contenimento dell’inquinamento, attraverso la razionalizzazione degli spostamenti delle merci. Continua Elisa Cozzarini  su Nuova Ecologia: Una recente ricerca di EBiComLab, il centro studi sul terziario di Treviso, ha analizzato l’impatto socio occupazionale di sette centri di distribuzione e smistamento Amazon nel Nord Italia, evidenziando che, rispetto al numero di assunzioni all’apertura, poco più del 30% dei posti di lavoro è stato confermato già nei primi anni di attività. A Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza, il polo esiste dal 2011 e oggi occupa appena il 20,7% dei lavoratori che aveva dieci anni fa.”  [Ibidem]

Sui poli logistici le Regioni della pianura padana sbaragliano tutti. Ed in questa ristretta cerchia di campioni, l’Emilia-Romagna la fa da padrona. Senza snocciolare ulteriori dati, basta richiamare la lettura della Tab. 78 a pag. 209 per verificare i numeri di questo scempio:
Non ci illudiamo di poter bloccare l’avanzata della logistica, visto che l’e-commerce alla gente piace sempre di più – spiega Giuseppe Castelnuovo di Legambiente Piacenza – Il nostro obiettivo è almeno contenere il fenomeno, che deve essere governato con una pianificazione corretta, agganciandolo al trasporto su ferro per ridurre al massimo quello su gomma. Anche in Emilia-Romagna la legge regionale ha lasciato aperti varchi enormi, che hanno permesso la proliferazione di poli ovunque, mentre le procedure di valutazione ambientale sono diventate una farsa”. [Ibidem]

Sarebbero tante le informazioni contenute nell’imponente Rapporto dell’ISPRA che citavo all’inizio.  Vorrei citarne ancora un passo significativo.
La relazione tra il consumo di suolo e le dinamiche della popolazione conferma che il legame tra la demografia e i processi di urbanizzazione e di infrastrutturazione non è diretto e si assiste a una crescita delle superfici artificiali anche in presenza di stabilizzazione, in molti casi di decrescita, della popolazione residente (Tabella 11). Anche a causa della flessione demografica, il suolo consumato pro-capite aumenta dal 2020 al 2021 di 3,46 m2 /ab e di 5,46 m2 /ab in due anni sebbene il consumo di suolo annuale pro-capite diminuisca da 1,16 a 1,12 m2 /ab”. [Rapporto ISPRA]

I nostri amministratori farebbero bene a riflettere su queste pagine, perché dietro il consumo di suolo ci sono anche molte delle ragioni che stanno alla base delle conseguenze sempre più disastrose che gli eventi atmosferici estremi si portano dietro. La deregulation connessa al nostro miope federalismo urbanistico, ci richiama ancora una volta ad una legge nazionale per il contenimento del consumo del suolo ed a favore del riuso e della rigenerazione urbana.
Tra l’altro, lo scorso 17 novembre la Commissione Europea ha approvato la nuova Strategia sul suolo al 2030. Questa prevede, tra l’altro, che tutti gli Stati membri si devono dotare di una road map con l’obiettivo di azzerare il consumo di suolo zero entro il 2050.

Se andiamo avanti così, nel nostro Paese rischiamo di chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati. Non sarebbe la prima volta.

Joni Mitchell ne parlava splendidamente nel brano Big yellow taxi, nel suo terzo album, nel 1970, in piena stagione hippie Ladies of the canyon.  Non è tra le sue canzoni più note, ma credo che ci possa far riflettere. Così lo presentava la grande cantautrice: “Qualche settimana fa sono stata alle Hawaii. Era la mia prima visita e ci sono stata solo per due giorni il che è un peccato perché avrei potuto vedere molto di più dell’isola. Sono atterrata alle 11 di notte e il giorno seguente sono corsa alla finestra, ho spostato la tendina ed ecco il paradiso: colline verdi, le montagne davanti a me, uccelli di tutti i tipi che svolazzavano in giro. E proprio lì, in mezzo a tutto questo, stava un immenso parcheggio. E così ho scritto questo pezzo per commemorare l’evento.” [Vedi qui]

Andare alle Hawaii per due giorni mi sembra uno schiaffo alla sostenibilità, ma si sa, agli artisti che ci piacciono spesso perdoniamo tanto.

Cover: foto su licenza Wikimedia Commons

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Alberto Poggi

Fisico di formazione, strimpellatore di chitarre per diletto, scribacchino per passione. Ho attraversato molte situazioni e ruoli nella mia vita. Da due anni sono ufficialmente un pensionato, ma non penso nemmeno lontanamente di andare in pensione con la testa. Non preoccupatevi però, sono un pigro nella scrittura.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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