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La vita da sempre gioca alla roulette russa. Siamo sei miliardi sulla Terra, distribuiti su una superficie di oltre cinquecentodieci milioni di chilometri quadrati, se uno potesse fare la mappa dei possibili accadimenti nell’arco della frazione di un minuto, scopriremmo non di essere una comunità di destino, ma una comunità di casi imponderabili, di una varietà così molteplice da essere impossibile catalogarli e rappresentarli.

Oltre agli ovuli e agli spermatozoi necessari, qualcuno si è mai chiesto come si nasce su questa Terra Patria? È meglio nascere da una sposa bambina o da un utero in affitto? Da un’inseminazione artificiale o da una violenza subita? La roulette russa della vita prevede anche che si nasca morti, o che si muoia per stenti, fame e violenze poco dopo che si è vista la luce, assaporando da subito la brutalità delle tenebre che solo la vita sa riservare.
Non è che l’amore abita ogni luogo della terra, se così fosse la nostra storia sarebbe un’altra.
“L’amor che move il sole e l’altre stelle”, scriveva il sommo poeta, l’amore è il meccanismo del mondo e di tutta la vita.
Quando si nasce, o si incontra l’amore e l’accudimento dell’amore o la vita è per sempre compromessa. L’amore non ha sesso, quella del sesso è tutta un’altra faccenda.
E neppure ha genere. Allevare è levarti da terra, innalzarti a essere te stesso, a realizzarti, a riempirti i polmoni della vita. A levarti da terra nell’antica Roma era il pater familias, indipendentemente dall’averti generato, indipendentemente dalla tua provenienza, solo con quel gesto e per quel gesto ti rendeva figlio. Non erano previste altre figure, né maschili né femminili, tutto il resto era contorno, ovvero quello che noi oggi chiamiamo famiglia.

Sono tanti i modi in cui ci si realizza attraverso l’amore e la scelta di questi non possono deciderla gli altri per noi. L’amore è libero, diversamente non è.
La natura non ha scritto da nessuna parte che la crescita dei cuccioli è prerogativa esclusiva delle madri, non può scriverlo perché la natura è cieca e altro non è capace che di combinare casi a caso.
È la cultura a vergare le norme. E la cultura la scrivono gli uomini per regolare il loro rapporto con la natura.
Mentre la natura non muta, la cultura sì. E può rivedere le sue fragilità, la sua inadeguatezza, la sua inutilità, quanto la sua inattualità.
La cultura è costume, è usanza e le antropologie della Terra ci conducono per narrazioni di genitorialità ibride, i cui codici infrangono la ripetibilità delle regole, perché le storie degli uomini sono aperte alla varietà dei contesti e delle soluzioni. È il problema del complesso che non accetta di essere dipanato secondo le leggi già date, ma richiede sempre di metterne in campo delle nuove.
E se l’amore pretende la ribalta di due madri o due padri, significa che l’amore può anche questo.

Dalla comparsa dell’Homo sapiens, cinquantamila anni fa, l’evoluzione da fisica e biologica è divenuta sempre più culturale, sociale, intellettuale, e questo da allora è il lato nuovo dell’umanità.
Come scrive Edgar Morin, l’uomo è complesso, è nello stesso tempo genere e sesso, e non l’uno o l’altro, non si tratta di sapere in quale percentuale si è sesso e in quale percentuale si è genere. Si tratta di vedere l’intreccio fra queste due componenti. Ed è proprio per via di questo intreccio che oggi ci è dato di trasformare la società liberandola dalle sue convenzioni, perché altre sono le concordanze e le unioni su cui fondare le nostre esistenze e quelle future.
Cosà accadrà alle infanzie con genitori paralleli, sottratte al triangolo freudiano del padre e della madre? Verrebbe da pensare a infanzie libere, cresciute nell’affetto disinteressato, sottratte alla gabbia dei ruoli e dell’identificazione, ai fantasmi dei conflitti libidici, dei complessi di Edipo e di Elettra.

Quanta pedagogia nera ha prodotto la nostra cultura della genitorialità e dell’infanzia, a quanta liberazione, invece, a quante prospettive di rinascita può aprire la strada una genitorialità non di sesso, ma di genere, una genitorialità parallela.
Dopo secoli di tempeste sulla libertà degli uomini e delle donne, sulla forza del loro amore e sulla felicità delle infanzie, gli oscuri nembi delle nostre culture sembrano iniziare a diradarsi, mentre all’orizzonte prendono a splendere le famiglie arcobaleno.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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