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Io sono nata in città, ma vivo a Pontalba da molti anni. La gente di Pontalba è la mia gente. Il rapporto che ho con alcuni pontalbesi è quasi-quotidiano, ci vediamo sempre. Vado da Camilla a prendere il pane ogni giorno, poi a prendere il giornale e poi la frutta.  Il giro è sempre lo stesso, le persone che incontro anche.
A Pontalba ci sono i miei vicini di casa, le mie amiche e i miei parenti. C’è il cimitero con i miei cari morti e ci sono i tre figli di mia sorella che rasserenano il mondo. La gente di Pontalba è gente di pianura. Gente di paese. Siamo in Lombardia, tra i campi e lungo le rive del Lungono, il fiume che accompagna l’esistenza di tutti i pontalbesi. Pontalba fa parte del parco del Lungone Nord e i vincoli paesaggistici fanno sì che l’area abitata resti pressochè immutata, compreso la forma e il colore delle case. Basse e spesso bianche. Sono vecchie case di campagne ristrutturate, oppure villette di nuova costruzione. Quasi tutti qui hanno l’orto, il cortile, il garage. Pochissimi pontalbesi vivono in appartamenti, nessuno paga l’affitto. Le case sono di proprietà, ereditate dai nonni contadini che abitavano la zona prima di noi.
Il Lungono fa parte della nostra vita, della vita di questo paese che cammina piano e sicuro come la sua acqua. L’acqua del Lungone è verde, piatta, profonda.  Diventa molto più bassa quando viene incanalata per irrigare i campi di granoturco d’estate. Poi si rialza e, durante l’autunno e l’inverno, scorre lenta e sicura verso la foce.
Camminare lungo il Lungono rende la mia vita sempre uguale e sempre diversa, una sorpresa al giorno, la certezza di sempre.

Mi sono chiesta spesso che rapporto ci sia fra il nostro desiderio di novità e il nostro bisogno di conferme. E’ un rapporto simbiotico, in continuo mutamento. Quando siamo saturi di certezze desideriamo ardentemente qualche novità e quando arrivano importanti novità che ci destabilizzano veniamo presi da una profonda nostalgia per il consueto, per il già dato che in quanto tale, rassicura. Non ci sono margini di imprevedibilità in ciò che è sempre uguale. Non c’è possibilità d’errore in una aspettativa corrisposta nel modo che sappiamo pensare.  La storicizzazione degli eventi li cristallizza definitivamente nel marmo del tempo che fu. Nel tempo che è già passato c’è la radice di ogni nostra certezza. Nel fiume la cui acqua sembra sempre quella ed è sempre diversa, c’è ciò che ogni giorno proviamo ad essere in questo angolo di mondo.  C’è la certezza della vita che prosegue, c’è la memoria di una storia lineare, c’è una buona aspettativa per il futuro garantita dall’origine di ciascuno di noi. Dal fiume dal quale veniamo e al quale torneremo viene una conferma. Come terra che si depositerà sul fondale e perché no, ritornerà definitivamente al suo pianeta, così siamo noi, futura terra. Questa è la certezza di fondo, la prevedibilità del nostro esistere, lo scorrere lento e regolare del nostro fiume. Questa sicurezza, non spaventa nessuno, accompagna.

Lungo le sponde del fiume si trova anche la novità, si ha un ritorno molto forte del tempo che passa. Le stagioni cambiano, spuntano i fiori, crescono, si seccano, marciscono. Spuntano i funghi, crescono velocemente, qualcuno li raccoglie, alcuni non li trova nessuno e diventano concime. La vegetazione è una sorpresa quotidiana, è una scoperta che accompagna, che evidenzia il tempo così come lo conosciamo, che annulla l’idea di tempo così come l’accelerazione mediatica e consumistica propone. Non c’è accelerazione lungo il fiume. C’è novità. Non esiste un buon rapporto tra novità ed accelerazione. Ciò che viene trovato, consumato e archiviato subito non è naturale, è un artificio pericoloso che porta al disintegrarsi di qualsiasi desiderio. Un fuoco che brucia tutto, impressiona, ma muore subito. Un fuoco morto è triste. Lascia molta desolazione. E poi si ricomincia con una nuova novità che diventa un bisogno impellente e che deve essere bruciata subito. Come il fumo di un bellissimo calumet. Finisce subito. Nell’accelerazione innaturale di questo povero mondo c’è l’invecchiamento brutto. Quello che non anela a novità perché le conosce tutte, che non cerca la pace perché non la riconosce più.

Chi vive lungo un fiume sa che il fiume riporta a una dimensione primordiale. Si torna ad un sentire che, accompagnando il corso dell’acqua, è sempre uguale, sempre diverso, sempre in mutamento, sempre fermo. Il fiume non accelera niente, rallenta, rallenta, rallenta ancora, fino a fermarsi. Il fiume sa sospendere l’incedere inesorabile delle ore. Lungo il Lungone il tempo è contemporaneamente fermo e in movimento e sorprende per la sua grande capacità di rallentare, rallenta il tempo, rallenta la vita, rallenta le preoccupazioni, rallenta le necessità artificiali. Facendo questo è fisico e metafisico insieme, è la nostra storia e il nostro presente, è quel poco di futuro che serve per guardare al domani con fiducia. Possiamo camminare con la consapevolezza che potremo tornare al fiume e lui sarà ancora lì con la sua pace ad aspettarci sempre, a rallentare sempre. Nell’acqua che  scorre lenta c’è lo spazio per la riflessione, ma anche per il sentire, per un sentire che basta a se stesso. Come la sensazione del sole sulla pelle e del vento tra i capelli che sa autocompiacersi, sa portare lontano, non brucia subito, non necessita di alcun artificio, basta per quel che è, garantisce sempre la sua persistenza, il suo stare dentro e fuori di noi, così noi possiamo sospendere il tempo guardando il fiume che pervade tutto, aldilà e aldiquà delle sue sponde.  In una dimensione piccolissima e che può dilatarsi a dismisura, in un tempo fermo e lentissimo che cambia e si muove sempre, possiamo ritrovare noi stessi. Possiamo ritrovare un punto d’incontro tra il nostro necessario bisogno di novità e il nostro incessante ritorno alla prevedibilità quale fonte di tranquillità. Possiamo essere nuovi e tranquilli, nuovi e sospesi, dentro il tempo, dentro l’acqua.
Noi che siamo gente di fiume sappiamo tutto questo, nessuno lo dice, ma lo sa la nostra pelle, lo sanno le nostre mani e lo sa il nostro cuore. Ciò che davvero sappiamo non è ciò che diciamo, è ciò che sentiamo. Il sentire è una forma autentica di percepire noi stessi all’interno del mondo. Una forma molto poco mediata, poco condizionata, senza spigoli. Il sentire ci permette di percepire noi stessi in un tempo lento, sempre uguale e sempre diverso, accompagnato dal fiume e dalla certezza che la sua presenza diffonde.

Spero che Pontalba non cambi mai, che la presenza del Lungono renda l’esistenza migliore, che la pace che da lui deriva e che si irradia sulle vite che lo circondano, sia duratura, permetta a noi di invecchiare ai bambini di crescere. Non c’è storia vera senza la possibilità di fermare il tempo, di rallentarlo, di renderlo adatto alle persone e al loro sentire, al loro essere in questo momento e in questa vita. Il fiume toglie molto necessità impellenti, toglie il consumismo che l’accelerazione sostiene, riapre a un tempo che a volte riesce perfino a sospendere se stesso. Galleggia vuoto e bellissimo nel silenzio. Come una fata di primavera che vestita di tulle bianco dondola su un altalena e non ha più bisogno d’altro perché basta a se stessa per quello che è in quel momento, per quello che sente, così potremo essere noi: leggeri, sospesi, dentro un tempo che sa guardare se stesso e che diventa sorprendentemente trasparente.

Costanza e il suo mondo sono solo apparentemente diversi e distanti dal mondo che usiamo definire “reale”, quasi sovrapponibili ad ogni mondo interiore. Per far visita agli articoli-racconti di Costanza Del Re, può farlo cliccando [Qui]

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Costanza Del Re

E’ una scrittrice lombarda che racconta della vita della sua famiglia e della gente del suo paese, facendo viaggi avanti e indietro nel tempo. Con la Costanza piccola e lei stessa novantenne, si vive la storia di un’epoca con le sue infinite contraddizioni, i suoi drammi ma anche con le sue gioie e straordinarie scoperte.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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