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(Pubblicato il 7 maggio 2015)

Finanza etica, abbiamo provato a parlarne nel più recente degli incontri del ciclo ‘Chiavi di lettura’ organizzati da Ferraraitalia, lunedì 20 aprile in biblioteca Ariostea, convinti che fosse e sia possibile creare valore tra due termini solo in apparenza conflittuali tra loro. Il tema è complesso e incrocia due concetti difficili: finanza ed etica. I richiami concettuali sono molteplici, in primo luogo redditività, ricchezza, interessi, debiti, denaro, in secondo luogo responsabilità sociale, diritti, solidarietà, bene comune, morale. Insieme però richiamano valori, equità, capitale sociale, crescita, sostenibilità e molto altro.
Si sente parlare di finanza etica, si sente dire che le banche hanno smesso di fare le banche. Ma cosa si intende per finanza etica? E cosa dovrebbero fare le banche? I cittadini e le imprese hanno spesso necessità di ricevere sostegni finanziari: un mutuo, un prestito, un’anticipazione, oppure cercano opportunità di investimento o adeguata valorizzazione ai loro risparmi. Le risposte che ricevono sono spesso insoddisfacenti, perché inadeguate alle aspettative o troppo esose.
I quesiti che possono sorgere sono infiniti: il modello imprenditoriale della banca è ancora adeguato agli assetti dell’economia e della società? è possibile un ruolo pubblico da parte della finanza? quanto può influire la funzione di regolazione e controllo di Banca d’Italia, Consob, Antitrust, ministero dell’Economia, Banca centrale europea, Autorità bancaria europea?
Di etica c’è davvero bisogno e l’esperienza di ciascuno conferma la distanza siderale fra le logiche affaristiche degli operatori di mercato e i bisogni dei cittadini ai quali, in teoria, la finanza e l’economia dovrebbero fornire soccorso. Alcune istituzioni no-profit si ritrovano a dovere promuovere le proprie finalità etiche in un contesto di finanza tradizionale e perdono la loro capacità di essere fondamentali agenti di supporto al cambiamento. Per questo sono sorte alcune realtà importanti a partire da Banca Etica e da alcune fondazioni, tra cui Unipolis che ha partecipato al dibattito. Però separare i buoni che propongono la finanza etica e i cattivi che sono interessati solo a fare affari è un modo sbagliato di ragionare. Ci sono anche banche che hanno nel loro operato elementi di solidarietà, a partire dai crediti cooperativi.
L’impresa eticamente orientata deve soddisfare le esigenze delle persone, della società, ma anche di se stessa e dei propri interessi. Deve allora crescere un processo di informazione sociale e di assistenza finanziaria che ostacoli pensieri di sfruttamento e di incapacità. Evitiamo allora la retorica e proviamo a supportare chi è in difficoltà prima che entri in crisi. Serve responsabilità ed equità. Si deve rafforzare una sana capacità all’economia critica e si deve consolidare l’educazione alla corretta finanza. Si può fare? Ne abbiamo parlato e lo proponiamo.

Qui sotto gli audio relativi alla conferenza “I soldi sono un problema”, riflessione sulla finanza etica svolta lunedì 20 aprile 2015 alla sala Agnelli della biblioteca comunale Ariostea, nell’ambito del ciclo di incontri “Chiavi di lettura, opinioni a confronto sull’attualità” organizzato da Ferraraitalia.

1. Andrea Cirelli, Ferraraitalia

2. Demetrio Pedace, Cassa padana

3. Simone Grillo, Banca etica

4. Valter Dondi, fondazione Unipolis

5. Lucio Poma, Università di Ferrara

 

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Ed ecco la galleria fotografica dell’incontro

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Andrea Cirelli

È ingegnere ed economista ambientale, per dieci anni Autorità vigilanza servizi ambientali della Regione Emilia Romagna, in precedenza direttore di Federambiente, da poco anche dottore in Scienze e tecnologie della comunicazione (Dipartimento di Studi Umanistici di Ferrara).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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