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DUBLINO – Lasciarsi alle spalle l’autunno perenne del Nord Europa, bastano poche ore di volo e già le nubi sul continente iniziano a diradarsi. Nizza non è solo destinazione, ma anche promessa. Che raramente tradisce, ed il più delle volte ti accoglie proprio cosi come te lo aspettavi mentre atterri a pochi metri dal mare. Finalmente l’estate, e dal finestrino vedi il mediterraneo riflettere il sole di fine mattina, le barche a vela perse all’orizzonte, le ville immerse nelle pinete. Arrivi in questa città che sì è francese, ma anche un po’ italiana, inglese, russa.
E ti immagini in questo mondo, fatto di tombeurs de femmes e di femmes fatales, di puntate al Casino, di Porsche Cayenne che sfrecciano sul lungomare e Martini bevuti sulle terrazze dei locali. Palazzi belle epoque e megayacth in rada. Una via di mezzo tra James Bond e i vitelloni.

Tra il british style ed il coatto, in questo luogo che e una festa mobile da Cannes a Mentone. Anche se poi scopri che tutto quello che rimane dell’aristocrazia russa fuggita dalla rivoluzioni d’ottobre riposa nei cimiteri in collina, che non pochi grand hotel con facciate liberty all’interno sono pochi piu che ostelli, e che a Roquebrune Cap Martin e decisamente più facile incontrare una coppia di pensionati di Torino che non Rihanna o il Principe di Galles. Ma non fa niente, anzi, forse e meglio cosi. La scatola e vuota ma il sogno rimane. E stai li a crogiolarti al sole, tra il mediterraneo e le Alpi, tra residence e ville a picco sul mare, progettando magari una visita a Montecarlo o Villefranche sur mer. Ed in mezzo Nizza con i suoi abitanti, tensioni sociali, periferie realmente difficili.

E poi quello che non ti aspetti. L’orrore, drammatico ed inaspettato. I corpi dei bambini stesi sulla promenade des anglais. Le fotografie dei passeggini vuoti. Ed e come se ogni parola perdesse ogni significato. Basta che ci sei passato una volta, ed e come se anche tu fossi li. Ti scende il silenzio dentro.

Al mattino incontro un amico di Nizza. Ci guardiamo a distanza ed allarghiamo le braccia. Quasi in segno di resa, sicuramente di sconforto. Non e ancora tempo per le parole. Quelle verranno dopo. E non sembrano trovarle nemmeno in Francia, forse non riescono a capacitarsene. Quale cattivo maestro, quale malata dottrina, quale livello di odio può spingere un individuo a massacrare i propri concittadini, i bambini, in questa maniera ?. E questa volta lo senti, tremolanti condanne dell’accaduto, balbuzienti richiami all’unità nazionale ed ai valori della Republique, anche la conferenza degli Imam di Francia, timidamente richiamare gli Imam a “mobilitarsi per rassicurare la società francese ed isolare tutte le idee di terrorismo e di odio”.
Ancora difficoltà a trovare le parole giuste, perché ripetute già in troppe occasioni. Ma sono da capire anche loro, delegati ad agire e parlare per tutti, che qualcosa la devono pur dire e che non possono solo limitarsi ad allargare le braccia davanti all’orrore. Toni bassi e la paura che la polveriera della convivenza difficile, in Francia, possa scoppiare veramente. Che il vaso sia prossimo al tracollo.

Rimanere concentrato al lavoro e quasi impossibile. Controlli notizie anche tramite iI social nework. Tra chi ha aggiornato la foto del suo profilo con un’immagine estiva in cerca di likes, I tempi in pista di Iannone e Valentino, qualcuno che condivide la foto di una bella cena estiva. Volti sorridenti in un ristorante. E tanti, tanti messaggi per Nizza.

Ed e purtroppo, tristemente, quasi impossibile non imbattersi anche nei post dei sociologi improvvisati, quelli che e “comunque colpa nostra”, “degli amerriccani” o della “società che ti esclude”. Di quelli che l’orrore è in fondo colpa di chi lo subisce e mai di chi lo commette. Perché bisogna “provare a capire” o più semplicemente dare la colpa alla “pazzia” e chiuderla li. E non sono pochi. E fa male leggere i deliri di chi magari ha incorniciata una laurea Alma Mater alla parete e si beffa, essendo persona colta e gran dottore, degli ormai tanto famosi “umarells”, senza esserne purtroppo riuscito ad ereditarne almeno un briciolo di buon senso.

Allora forse meglio tornare a leggersi i tempi di Marquez, o almeno provare a rispettare un dignitoso silenzio quando proprio non si ha nulla da dire.

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Vittorio Sandri

Vittorio Sandri, nato e cresciuto a Ferrara, si e’ diplomato al Liceo Ariosto della città estense, al quale ha fatto seguito un percorso di studi in scienze politiche iniziato presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna e proseguito a Parigi presso l’Institut d’Etudes Politiques (Sciences Po) con l’ottenimento del Diplôme du programme international e terminato con il successivo conseguimento della Maîtrise en science politique all’ Université Paris Nanterre. L’autore ha trascorso lunghi perriodi in Europa tra Spagna, Francia e Inghilterra. Tutt’ora vive e lavora all’estero anche se considera la citta della metafisica, immutabile nella sua bellezza, un porto senza mare nel quale e’ sempre possibile fare ritorno.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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