Skip to main content

Jens Stoltenberg, il Segretario Generale della NATO, ha dichiarato che la guerra sarà lunga e quindi sarà necessario prepararsi. M, ma quanto lunga? Ed esattamente, a cosa ci dovremmo preparare?

Gli ucraini hanno dimostrato al di là di ogni previsione di essere effettivamente in grado di resistere all’attacco di quella che, almeno fino al 14 febbraio scorso, era considerata la seconda armata più potente al mondo dopo gli Stati Uniti. E questi ultimi sicuramente non sono estranei a questo inaspettato successo.

Hanno infatti fornito, dal 2014 al 2020 –  secondo il Security Assistance Monitor del Center for International Policy – un miliardo e 993 milioni di dollari in armi. A queste si aggiungono le armi di altri fornite da Biden nel 2021 con uno stanziamento  di poco meno di 2 miliardi. Oltre all’Ucraina sono stati stanziati dollari per il riarmo anche ad altri Paesi di quell’area: Lettonia, Lituania ed Estonia, rispettivamente 193 milioni, 190 milioni e 156 milioni, segue la Romania (112 milioni), Moldavia (106 milioni) e Bulgaria (96 milioni).

Soldi che probabilmente rientreranno visto che l’Europa sarà costretta ad aumentare le forniture di gas dall’America e grazie alla volontà di riarmo che si sta impossessando dell’animo dei nostri governanti, anche a costo di tagli a istruzione e al welfare.

In questo mese e mezzo abbiamo assistito ad una vera e propria campagna pro guerra al grido di “mandiamo armi all’Ucraina perché vogliamo la pace” che aggiunge linfa all’ipocrisia delle missioni di pace in Iraq, Siria e Afghanistan. Dal punto di vista occidentale esistono le guerre belle, quelle che si fanno sventolando la bandiera multicolore, e non si prova mai seriamente a considerare l’altra parte, quella parte del mondo che vede le nostre missioni di pace come delle ingerenze, dei deliberati attacchi alla sovranità altrui. E senza partire da questo, difficilmente ci potrà essere un futuro di distensione.

Bisogna dialogare di più e non di meno come stanno facendo Draghi e Di Maio che si sono arroccati dietro la convinzione che in questa guerra esista un cattivo da combattere e un buono da armare come se fossimo già parte di essa. Noi siamo terzi e quindi il nostro compito dovrebbe essere quello di cercare una soluzione alla guerra e non continuare ad accendere provocazioni.

Dal nostro punto di vista di cittadini, italiani ed europei, diventa difficile comprendere perché ci stanno preparando ad andare in guerra senza che si sia aperto un serio tavolo di trattativa, che si sia ascoltato le ragioni di tutti e cercato di capire dove e cosa i belligeranti sono disposti a cedere per poi essere garanti.
Certo, prima del 24 febbraio bisognava anche capire che i veri belligeranti reali in campo erano Russia e USA. Adesso stiamo inseguendo gli umori, le dichiarazioni giuste, ma di parte, di Zelensky, continuando a non considerare il ruolo degli Stati Uniti che hanno interesse strategico a che questa guerra continui, che la Russia ne esca più indebolita possibile a spese degli europei e degli stessi ucraini.

E difficile accettare di andare in guerra ma anche di dover prepararsi ad una guerra di resistenza e di logoramento tra i cittadini russi e quelli europei. Il rialzo dei prezzi delle materie prime si trascinerà dietro aumenti generalizzati che porteranno ad inflazione alta, perdita di posti di lavoro sia da una parte che dall’altra, sacrifici giornalieri. Noi saremo aiutati dagli USA mentre i russi da Cina e India e altri paesi, tanti, che non vedono di buon occhio l’occidente e questo cementificherà sempre di più il muro delle divisioni e delle ideologie.

E intanto si parla anche di un esercito permanente ai confini della Russia, il che vorrebbe dire continuare ad armare quei paesi dell’est, ex-sovietici, far sentire sempre di più alla Russia che è percepita dall’Occidente come una minaccia continua. Esattamente ciò che si è fatto negli ultimi 20 anni portando la Nato sempre più lontano da casa e trasformandola da organizzazione difensiva in offensiva e quindi si continuerà ad alimentare le tensioni e ad essere percepiti a nostra volta come una minaccia e dei guerrafondai.

Non c’è intenzione quindi di rispondere alla Russia, all’altra faccia dell’umanità e quindi anche alla Cina, con la diplomazia e la distensione, ma mostrando i muscoli, mostrando le nostre capacità di creare e dislocare armi sempre più letali. E che cosa potranno mai rispondere dall’altra parte della linea rossa se non con la dislocazione a loro volta di armi contro armi?

I nostri governanti stanno dimostrando la loro incapacità di ascoltare e di dialogare. Lo hanno fatto dopo le crisi economiche, durante il periodo della pandemia da Covid 19 e lo stanno facendo adesso portandoci in una guerra “calda” che non vogliamo o in una seconda guerra “fredda” con il rischio continuo di finire inceneriti dalla follia delle armi atomiche dislocate sul nostro continente grazie agli amici americani, inglesi, francesi e russi.

Ci sarà un finale, di sicuro, ma di che tipo dipenderà molto dalle scelte europee cui spetta la presa di coscienza di un conflitto geopolitico in atto tra due potenze nucleari, con un occhio alla Cina che aspetta sorniona di capire cosa succede in Ucraina per decidere come muoversi nell’indopacifico e come risolvere il problema Taiwan.

L’Europa dovrebbe ragionare su se stessa e da potenza, come cerca spesso di fare la sola Francia. Smettere di seguire e cercare di anticipare. Partendo da quei valori che i suoi cittadini hanno acquisito negli ultimi settant’anni di dialogo e di democrazia.

tag:

Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it